sabato 22 dicembre 2007

festa, ahò, finalmente.

le feste sono state create per rendere infelice l'uomo.
credo che non vi sia dubbio su questo.

se simuliamo il creatore, simuliamo le sue beffe. se è un prodotto culturale, si tratta dell'ennesima caduta.

il giorno della settimana in cui si soffre di più è la domenica. la domenica è il giorno in cui per forza facciamo i conti con noi stessi, con la nostra vita. e quindi, fatalmente, stiamo peggio. la domenica in televisione ci sono le ragazze bone, la gente che balla e che si diverte. la maggior parte di noi non balla e non festeggia. la maggior parte di noi la domenica è triste. compie dei riti, anche la domenica, proprio come gli altri giorni della settimana, per sottrarsi allo specchio. chi va in chiesa, chi va al cimitero, chi va a trovare papà e mamma, chi va al parco coi figli. molti non possono uscire. anziani, malati. è per loro che fanno le trasmissioni della domenica. se uno è al parco coi figli non guarda la televisione. l'anziano, solo, malato, non ha alternative. e quindi, teoricamente, è contento di vedere maurizio costanzo.

il natale, ovviamente, è la festa peggiore di tutte.
a natale stanno bene in pochi. i fortunati. tutti gli altri soffrono. chi ha perso una persona cara se la ricorda di più, chi sta male sta peggio. chi è solo si sente perduto. già la gente sta male, e i mezzi di comunicazione non fanno altro che proporre sorrisi, brindisi, allegria. così stanno tutti peggio. tralascio, troppo noto, di dire della morte del dono, simbolo di comunione.

sì, a natale ci si fanno gli auguri, e alcuni sono sinceri. a natale qualcuno si ricorda di essere stato un essere umano. è meglio di niente.
però poi si torna a casa, e quel saluto scompare nel silenzio.

leoni

stamattina ho visto un documentario. forse il più bello che abbia mai visto in vita mia. sulla raiuno alle 11, più o meno. prodotto dalla bbc per la serie planet earth. nonostante abbia visto in vita mia centinaia di documentari sugli animali, questo mi ha emozionato tantissimo. e ho anche imparato qualcosa. un documentario girato in modo magistrale, preciso, fluido, certamente faticosissimo. e anche ben scritto. chissà se lo ridanno, ché mi son perso l'inizio.

ieri sera invece, sciambola.

mi stavo deprimendo in negletta solitudine quando è arrivata la telefonata del mio amico dominicus, il quale mi ha chiesto se lo accompagnavo al cinema. gli ho detto sì e quindi siamo andati a vedere leoni per agnelli.
il titolo, che certamente è tra i più brutti di sempre, è molto più bello del film.
il film è orrendo. pieno di luoghi comuni, scritto coi piedi (da certo signor carnahan, che è anche co-produttore), recitato da cani, girato in economia, privo di senso dall'inizio alla fine.
non dico balle.
c'è il senatore spregiudicato (tom cruise) tutto guerra e bandiera, il professore liberal in jeans e velluto (e splendida dentiera, robert redford al suo minimo) che fa lezioni democratiche e cerca di "salvare" uno studente, l'esercito americano col colonnello che dice "fuck" quando gli dicono che hanno perso due uomini, lo studente (antipaticissimo) che vuole/non vuole cambiare il mondo, il negro e l'ispanico, universitari nati negli slums, che muoiono da eroi. dal completo disastro si salva meryl streep, in due sole occasioni: quando torce leggermente una caviglia durante l'intervista (che è un terzo del film ed è di una noia mortale), unico gesto perfetto, e quando s'incazza col direttore del telegiornale. voto: zero.

lunedì 17 dicembre 2007

insisto sulla conversazione

stanotte, fatto non raro, ho fatto fatica a dormire.
su raisat cinema c’erano tre film del giovane polanski: repulsione, cul de sac, il coltello nell’acqua. il primo è bellissimo, il terzo è bello, il secondo dev’essere bello ma me lo sono perso, preso com’ero in piena notte dalla risistemazione dei canali sul secondo decoder. peccato, perché c’era françoise dorléac.
prima delle ore 4, quando sono tornato a letto, ho avuto la fortuna di vedere un filmone: lettera da una sconosciuta, di ophuls, 1948. e alle 23 mi sono rivisto per l’ennesima volta la conversazione.
ecco, il mio amico AM (ché così si firma) ritiene che il film "le vite degli altri" sia "un film tedesco". credo di interpretare correttamente traducendo "tedesco" in "crucco". ovvero film rigido, scabro, secco.
giusto. ma non solo. resto della mia idea.
idea che, dopo aver rivisto la conversazione, che il destino buono mi ha fatto di nuovo apprezzare, non posso che confermare.
un film perfetto.

venerdì 14 dicembre 2007

cose che ho fatto questa settimana sul lavoro

ho parlato al telefono con un avvocato che difende uno dei più importanti ospedali d'italia e ho fatto molta fatica a farmi capire. per un po' ho pensato che fosse un gran volpone. poi, no.

ho conosciuto un assessore della lega del comune di vigevano

mi sono fatto offrire un pranzo da una signora

ho trattato un po' male una coppia di soci al sindacato del quale ho l'onore di essere presidente provinciale. i soci se ne sono andati sbattendo la porta e urlando insulti. il marito si chiama come un frutto.

ho presenziato a un'udienza civile fissata alle ore14

ho presenziato a un'assemblea condominiale

mi sono agitato pensando di aver toppato una causa. il mio praticante mi ha calmato inventando una soluzione geniale. ho chiesto un rinvio in udienza d'accordo col collega. il giudice mi ha fatto capire che sarebbe meglio che non proseguissi. insomma, il praticante è geniale, ma la causa è stata toppata. però sono meno agitato.

martedì 11 dicembre 2007

arriva l'uomo nero

quando ero piccolo mia nonna, quando lo riteneva opportuno, agitava lo spauracchio dell'"uomo nero". penso che all'epoca interpretavo bene le parole della nonna non pensando ad un uomo nero di pelle quanto ad un uomo vestito di nero.

oggi in tutti i centri commerciali, grandi magazzeni, fast food e negozi di prestigio invece c'è l'uomo nero nel senso della pelle. l'uomo della sicurezza: invariabilmente nero, e vestito di nero (io trovo la parola negro per nulla spregiativa, e sul punto posso addure infiniti argomenti, ma mi hanno fatto notare che siccome loro la trovano tale, non va usata).
evidentemente la pelle nera fa più paura all'uomo bianco.

resto tuttavia perplesso. chissà come si sentirebbe l'uomo medio di fronte al chirurgo nero, o al giudice nero. forse un poco a disagio. l'uomo nero che fa la guardia invece è rassicurante. come il cane nero.

sento una punta di razzismo in questa tendenza a piazzare il bravo negro che fa la faccia cattiva all'ingresso.


se fossi gesù cristo, che bianco e biondo non era, mi arrabbierei.

domenica 9 dicembre 2007

fuoco a volontà

tutto sommato gli zero commenti hanno di buono che uno può scrivere davvero quello che gli pare.

ebbene, il simpatico daniele fabbri, alias daniele luttazzi, è riuscito nella difficile impresa di farsi buttare fuori anche da la 7. la decisione della rete mi sembra un po' una cosa alla bernabei, ma tant'è.

il punto è che il nostro, a prescindere dalle battutacce che gli sono costate il posto, si è rivelato (nel caso qualcuno avesse avuto ancora dubbi) per il nanetto che è. finché stava tra de fornari e de antoni era simpatico, quando s'è messo a fare il letterman ha fatto pena, quando s'è messo a fare il maestro di pensiero non l'ha cagato nessuno. allora ha provato con il turpiloquio, e tanti saluti.
ricapitolando: biagi s'è finalmente tolto dai piedi; luttazzi s'è fatto cacciare, santoro ha mostrato di che pasta è fatto (frolla, direi). forse che l'editto bulgaro fu un raro esempio di lungimiranza?

a tenere alto il vessillo della satira resta benigni. l'altra sera si occupava di dante. confesso che faccio una certa fatica a tollerare la lectio magistralis su dante di uno che normalmente cerca di toccare l'uccello a pippo baudo e la bernarda alla carrà. in più, che il dio-amore me lo venga a spiegare benigni, mi fa vomitare.
d'altra parte, un paese che consegna il pensiero politico in mano a celentano, può anche far recitare dante al buffone di corte.

sabato 8 dicembre 2007

le vite degli altri

le vite degli altri non è un bel film.

mi sono fidato dei pareri entusiasti di coloro il cui consiglio stimo e così l'ho comprato in pay per view. è un film che richiede allo spettatore troppa fiducia. il presupposto che lo sorregge è davvero difficile da trovare, atteso che non ve n'è traccia nella sceneggiatura e nella regia.
chiunque lo trovi bello vada a vedersi la conversazione, il primo capolavoro di coppola. film meraviglioso.

intanto, ho appena finito di rivedere il bellissimo ubriaco d'amore, di p.t. anderson, così ho rinfrancato lo spirito.

le vite degli altri. che brutto titolo.
io fino a una certa età ho covato una sorta di rifiuto per le case degli altri, soprattutto per la cucina. odiavo mangiare cibi cucinati da altri che non fossero mia mamma o mia nonna materna.
da grande ho superato il problema, che è rimasto a lavorare sottotraccia in misura innocua.

oggi provo una moderata repulsione per la spesa degli altri. come tutti, osservo con discrezione cosa compra il mio prossimo.
e inevitabilmente non capisco, sono sgomento e leggermente disgustato.

giovedì 6 dicembre 2007

malo benevolentiam

ci sono sentimenti che godono di stima immeritata.
uno, in particolare.

l'amore, o meglio quello che viene chiamato amore, necessita di un ridimensionamento.

sono un po' stufo di vesti stracciate e capelli strappati in nome dell'amore.
non voglio ripetermi, è che l'argomento mi titilla.

il confine con parenti meno nobili è labile.
non c'è dubbio che i mafiosi, gli uccisori e gli illetterati amino, anche fortemente.
soffrono per la perdita dei loro figli, per la salute dei loro cari, come tutti noi.

ebbene, sono per una equa e solidale ridistribuzione del carico affettivo. amiamo un po' di meno i nostri cari e un po' di più tutti gli altri.
ovvero: ama, se vuoi, ma soprattutto comportati bene.

uno slogan davvero efficace.

redazionale anch'io

luca sofri e matteo bordone si permettono di schernire uno dei tanti poveretti pagati dal foglio per dire peste e corna degli atei e parlare bene del papa. il direttore risponde trattandoli come dei puffi.

premesso che da un uomo grasso come ferrara mi aspettavo un poco più di finezza, nel merito mi trovo quasi in imbarazzo nel dover dire che il poveretto in questione dimentica una cosuccia come quindici secoli di barbarie nel nome del signore.

tuttavia, dal momento che siamo alla vigilia dell'immacolata concezione e nei pressi del santo natale, e dal momento che l'unica cosa che ci può salvare è la speranza, ecco, io spero che tra qualche anno torni tra noi un giornale senza preti, mummie, barbe, bibbie, sigari, motociclette.

martedì 4 dicembre 2007

lasciamo decidere a loro

nell'imbarazzo della scelta, ieri, lavando i piatti, ho chiesto a mio figlio di indicarmi la via:

"preferisci veltrone o berluscone?"

"veltrone"

così sia.

mercoledì 28 novembre 2007

la mia calabria

dal punto di vista della milanesità, sono un mezzo relitto.
sono figlio di genitori milanesi e nipote di nonne milanesi.
conosco e parlo il dialetto (poco, perché non c’è nessuno con cui parlarlo).
mi sento l’ultimo baluardo della milano che non è più.
tuttavia, non dimentico di avere un nonno piemontese, che mi dà il cognome, e un nonno calabrese, che mi dà l’aspetto.

la calabria è una terra disgraziata. dal punto di vista geografico e orografico.
come sappiamo, è la terra che crea i suoi abitanti.
i calabresi hanno la sfortuna di nascere in un territorio difficile, ostile all'uomo.

la civiltà si interrompe in campania e riprende in sicilia.
in mezzo, ci sono 450 km di vuoto.
non ce l’ho con i calabresi (ci mancherebbe altro), né con la calabria.
però resta il fatto che la calabria è rimasta una terra primitiva.
né i greci, né i romani, né i bizantini, né i normanni, né gli aragonesi, né nessun altro è mai riuscito a fare qualcosa in quella terra malnata. non si sono segni della cultura occidentale che si possano minimamente paragonare a quelli che troviamo a napoli, a benevento, a palermo, ad agrigento, a catania, a siracusa, a lecce, perfino a matera.
perché?
attribuisco la colpa al suolo. alle montagne. a quelle coste complicate.
i calabresi, giustamente, guai a toccargli la calabria. farei così anche io.
ma mi viene spesso fatto di pensare a cosa sarebbe stata l’italia, cosa sarebbe anche oggi, se sotto il golfo di salerno ci fosse la sicilia.

se qualcuno riesce a crearmi questa immagine (magari spostando la calabria sotto a s. maria di leuca) gliene sarei grato.

martedì 27 novembre 2007

testimoni

poi, finalmente, ho capito.
non è la risposta. non è la soluzione.
sono lì, semplicemente.
per noi sono sempre state lì, e ci saranno sempre.

la fine comincia nel primo momento in cui volgiamo lo sguardo al cielo
eccolo, il peccato originale. la beffa della creazione.
cercare. chiedersi. domandare.
ovvero fuggire, nascondersi.

allora, quello che dobbiamo fare non è attardarci sull'esistenza, sulla percezione.
è vivere ogni giorno lo sgomento
guardare le stelle.

domenica 25 novembre 2007

voices

sarà solo suggestione o paura o chissà che, ma per me federico bernocchi, matteo bordone e luca sofri hanno la stessa voce.
o forse usano lo stesso microfono malandrino.

sabato 24 novembre 2007

porno e violenza

oggi a roma c'è la manifestazione contro la violenza maschile sulle donne.
si tratta di "un percorso politico collettivo nel quale si sono riconosciute donne singole, collettivi, associazioni femminili, femministe e lesbiche da tutta Italia che hanno condiviso e promosso la manifestazione nazionale" (dal sito www.controviolenzadonne.org)

non ho partecipato alla manifestazione. l'occasione mi concede tuttavia l'opportunità di trattare un argomento che sebbene superato sta nondimeno interessando le mie letture del momento: la pornografia come causa o concausa della violenza maschile sulle donne.
si tratta di brani tratti da opere di esponenti dei movimenti radicali femministi dagli anni '70 in poi.
ritengo opportuno chiarire che, in quanto fruitore entusiasta di materiale pornografico da quasi trent'anni ed esegeta silenzioso da venti, non condivido quasi nulla di quanto segue. trovo tuttavia geniali, seppur datate, alcune dichiarazioni. è il motivo per cui le trascrivo.
in ogni caso, il mio parere non è importante.

andrea dworkin: il meccanismo dell'atto sessuale è intrinsecamente e inevitabilmente degradante per le donne. nell'universo della liberazione sessuale l'obbligo di godere viene esteso alle donne nella forma dell'obbligo di godere nell'essere godute. la propaganda sulla femminilità insegna ripetutamente alle donne, senza mai fermarsi, che deve piacere loro il rapporto sessuale, e la lezione deve essere impartita ripetutamente, senza mai fermarsi.

catherine mackinnon: la sessualità come tale è ancora centrata su ciò che altrimenti sarebbe considerato l'atto riproduttivo, ovvero il rapporto sessuale: penetrazione del pene eretto nella vagina (o orifizio sostitutivo appropriato) seguito da spinte fino all'eiaculazione maschile; l'espressione letterale del potere maschile è l'uso intenso e ripetuto del pene. il pene è centrale, qualsiasi sia l'azione e l'ambiente. la misura della sua durezza e la frequenza del suo uso significano virilità. Nella pornografia il pene viene mostrato mentre si conficca ripetutamente nella donna, e ciò perché è stato realmente conficcato ripetutamente in una donna. il porno mostra come gli uomini vedono il mondo. mostra cosa vogliono gli uomini e glielo dà. la difesa liberale della pornografia è una difesa della subordinazione delle donne. la pornografia causa attitudini e comportamenti di violenza e discriminazione che definiscono il trattamento e lo status di metà della popolazione

susan brownmiller: il porno è un'invenzione maschile progettata per deumanizzare le donne (le femmine non sono che balocchi anonimi e ansimanti, giocattoli per adulti, oggetti deumanizzati da usare, abusare, rompere e scartare). tutto ciò è anche la filosofia di fondo dello stupro

roxanne dunbar: il porno in quanto tale, come discorso complessivo e costruzione estetica, costituisce violenza contro le donne e va equiparato al linciaggio

ti-grace atkinson: le donne sposate o conviventi con un uomo sono "collaborazioniste"; l'atto sessuale è un'istituzione designata a consolidare i ruoli e quindi a perpetuare l'oppressione femminile

charlotte bunch: per la lesbica concedere sostegno e amore agli uomini significa perpetuare il sistema che la opprime

kate millett: la rivoluzione sessuale impone una cultura che facilita agli uomini l'accesso sessuale alle donne, diminuendo nel contempo le meccaniche della loro responsabilità

bibliografia:
Pietro Adamo, il porno di massa, cortina, 2004
Andrea Dworkin: pornography: men possessing women; right-right women; woman hating; letters from a war zone
Kate Millett: la politica del sesso
Germaine Greer: l'eunuco femmina
Luce Irigaray: questo sesso che non è un sesso
Angela Carter: the sadeian woman and the ideology of pornography
Beatrice Faust: donne, sesso e pornografia
Susan Griffin: pornography and silence
Catherine MacKinnon: toward a feminist theory of the state; only words; sexual harassment of working women; feminism unmodified
Susan Brownmiller: against our will: men, women and rape;
Shulamith Firestone: la dialettica dei sessi

mercoledì 21 novembre 2007

conduttori e massoni

la sera, per lo più, guardo la televisione.
per lo più guardo film. se non ci sono film, guardo lo sport. se non c’è sport, guardo i simpson.
non mi interessano i telefilm. non mi piacciono i programmi format. odio ferocemente alcuni programmi televisivi.
tu dici ma se non li guardi, come fai a sapere? beh, io faccio molto zapping e ogni tanto mi fermo un minuto qui e là.
i programmi più pericolosi, quelli che traviano la gioventù, sono tutti quelli di mtv e tutti quelli di maria de filippi (persona che ritengo una catastrofe per l’umanità).
un programma certamente orrendo, per la manifesta bassezza umana e mala fede del suo conduttore è "matrix".

ma il programma più brutto di tutti è quello che va in onda su raitre il martedì sera.
quello condotto dal primo della classe, l’uomo con la bocca senza labbra. quando vedo una bocca così, mi domando come possa una donna pensare di baciarla.
questa trasmissione è una fasullata, una baracconata, un insulto all’intelligenza (come direbbe michael corleone).

innanzi tutto il nome: un quartiere di palermo. certo, mica poteva chiamarsi "parioli" o "vomero" o "santa croce". no. ci voleva il nome di un quartiere popolare di una bella città del sud, noi che siamo vicini ai nostri amici terroni.

poi, la sigla. una bella musichetta (di cirque du soleil) allegra, popolare, leggermente malinconica, amarognola ma penetrante, certo evocativa: il bistrot parigino, la pioggia leggera, l’insegna del metrò, l’autunno. un po’ come biscardi, che metteva in sigla i neonati biondi che giocavano a palla prima di presentare franco melli, xavier jacobelli e il magistrato calabrò.

il logo, che scimmiotta smemoranda, cuore, il cartone, il fumetto.
tutto ciò a significare non più l’impegno orientato verso il disimpegno, ma il disimpegno orientato verso l’impegno.

il dibattito politico: bersani, brunetta, tremonti. altri. facce, smorfie, lasciami finire io non ti ho interrotto non mi interrompere.
mi domando, anzi domando all’ignoto telespettatore se alla fine della trasmissione si sente arricchito da ciò che ha visto o sentito, se il serrato confronto politico cui ha assistito gli ha chiarito le idee, ha sciolto i suoi dubbi. se ritiene la trasmissione un "approfondimento", insomma se va a a letto soddisfatto, dopo aver spento la tele.
almeno vespa va in onda tardi e tutti lo guardano dalla camera da letto per addormentarsi saporitamente. questo invece va in onda alle 21.

qualche sera fa il conduttore era ospite unico a otto e mezzo. sentite le prime lodi sperticate, ho cambiato. il programma di ferrara l’ho visto per anni. è diventato inguardabile, come illeggibile il suo giornale.
per concludere intorno all’orrido in argomento, ho scoperto su wikipedia che il conduttore è "notoriamente massone".

anche io ho coltivato per lungo tempo l’idea di diventare un fratellino col grembiule.
dopo aver compulsato doviziosa bibliografia, mi procurai un incontro con un maestro venerabile. persona squisita, delicatissima, fine, elegante, d’animo nobile e buono. un vero signore. lo conoscevo e lo stimavo già, prima di sapere della sua autorità. è morto da poco, e mi piace poterlo ricordare e salutare.

comunque, all’incontro vennero con me due amici, entrambi avvocati. uno voleva diventare massone per fare carriera, l’altro fece due domande per lui decisive ("quanto costa?", "non ci sono donne, vero?"). nessuno di noi tre, a quanto mi consta, è ancora entrato nel giro.
eppure, la massoneria ha il suo fascino. è nemica della chiesa, cerca la Verità, conosce la Tradizione, coltiva la cultura, insegue la saggezza, postula l’ascolto, sostiene la fratellanza.
anche se al suo interno ci sono degli imbecilli (lo disse anche il maestro, in quell’incontro), non è un buon motivo per lasciar perdere.
continuerò a pensarci su.

giovedì 15 novembre 2007

john dall


sono stato un po' in sicilia e stasera me ne vado nelle marche. alloggerò in un albergo nel quale l'ultima volta mi sono trovato il tappetino del letto pieno di vetri sminuzzati.

ma non disperate, babbini, tra qualche giorno riprendo ad abbaiare.

per l'intanto segnalo che l'altra sera sky ha trasmesso la sanguinaria, film bellissimo con il grande john dall (e peggy cummins) diretto da un maestro dei b-movies, joseph h. lewis. famoso per la sparatoria ripresa in piano sequenza dal sedile posteriore.



venerdì 9 novembre 2007

questione morale

ho esagerato di più io sul mio blog sconosciuto a dire del lezzo delle pagine del famoso giornalista scomparso, o quelli che sul loro blog famoso lo ricordano perché ha parlato bene della squadra del cuore?

giovedì 8 novembre 2007

la verità, vi prego, sull’amore

se penso al numero, forse non piccolo, dei miei amici, faccio fatica a trovarne uno disposto ad ascoltare.
chi gravato dal pregiudizio, chi dall’egoismo, chi dai suoi fantasmi, chi non vuole, chi non può.
quindi ho pensato di rivolgermi a un professionista: lo psicanalista. uno che viene pagato per ascoltarti.
un po’ come la puttana, che pago per non doverle dire che le voglio bene, qui pago uno sconosciuto col quale poi sono esonerato dalla birra con pacca sulla spalla.

sono tutti lì a parlare d’amore. voglio amare, quanto amore ho da dare, che bello amare e via così.

chiedere non è sempre un atto di umiltà. lo è nella misura in cui supero le stupide barriere dell’orgoglio e mi pongo nudo davanti a te. non lo è se cerco soddisfazione, anche spirituale.
chiedere spesso è un atto di aggressione, di cieca autoaffermazione.
così come non chiedere perché non si vuole dar fastidio.

continuo a sperare l’agire degli esseri umani affrancato dal rapporto di forza, ma è sempre più difficile.

ho compiuto anche io azioni meschine, miserabili
ma ti sto cercando
non la tua intelligenza, non il tuo sapere.
la speculazione non serve a niente, ciò che ti chiedo è il tuo corpo.

e poi, se posso,
prima di parlare d’amore, di chiedere amore, affetto, amicizia
forse dovremmo provare a chiedere scusa

notte brava

ieri sera ho visto su sky il film nuovomondo del regista italiano crialese. un film sopravvalutato, come è ovvio. la storia non è originale. i gesti autoriali (che il nostro cinema ci riserva sempre) sono a volte notevoli (gli ortaggi; la nave che si stacca dalla banchina) a volte incomprensibili (le nebbie, i silenzi), i fellinismi come sempre evitabili. i mezzi non si sprecano. si fa economia, non intimismo, e si vede. gli americani, manco a dirlo, sono i soliti idioti e il finale, purtroppo, lascia la lacrima giusto sulla palpebra.

successivamente, dopo aver goduto della notizia che la seconda squadra di milano ha fatto strame dell’ennesimo agnello sacrificale, ho pensato di andare a letto. niente da fare.
mi sono alzato e ho quindi provveduto ad acquistare un film porno grazie alla pay per view. pessimo. filmaccio gonzo semiamatoriale. sono stato ingannato dal titolo (segretarie tuttofare). l’unica attrice che mi piaceva faceva pena.

poi, in attesa del sonno, ho visto:
- cronisti d’assalto (per l’ennesima volta). ron howard è un regista che mi sta un po’ sulle palle. però il film, scritto anche questo da david koepp, mi piace. e poi c’è il grande randy quaid.
- napoleon dynamite (terza volta). fantastico. e basta.
- una relazione privata (seconda volta). me lo ricordavo poco. ho scelto la visione in lingua originale, così ho sentito la viva voce di uno dei miei miti, nathalie baye.

ho raggiunto il letto alle 5.30

mercoledì 7 novembre 2007

il caffè

scrivo questo post stanco delle sue lamentazioni per uscire alla luce.

sappiamo che il cibo, e ancor più le bevande che lo accompagnano e vi fanno da contorno, rappresentano un fatto culturale.
al di là della necessità di riempirsi la pancia, nei secoli cambiano abitudini, gusti, preparazioni, ingredienti.

il caffè nasce come bevanda della borghesia. nel diciassettesimo secolo i commercianti cominciano, grazie alle colonie, a importare spezie dai paesi d’oltremare, e scoprono il caffè.
il caffè è la bevanda delle transazioni commerciali.
i commercianti concludono i loro affari davanti a una tazza calda della "loro" bevanda in un locale che proprio dalla bevanda trarrà il suo nome comune.

la stessa borghesia che riprova oggi l’uso dell’oppio a fine pasto è la stessa che impose tre secoli fa la sua droga.

ora, io non bevo il caffè. non lo bevo non tanto perché non mi piace quanto perché mi fa stare male, malissimo.

quello che però vorrei fare capire è che chi beve il caffè compie un gesto rituale che non ha nulla a che vedere con il gusto, il sapore, l’eccitazione, la digestione, la carica energetica.
compie un gesto culturale, borghese, socialmente apprezzato in quanto condiviso, e appartenente a tutta una serie di gesti socialmente necessari.
ciò non vuol dire che il caffè non vada bevuto o che non sia buono, o che uno non ne possa bere quanti ne vuole.
l’importante, quando si beve il caffè, è che si riconosca, per quanto piacevole sia il risultato, di compiere un gesto indotto e quindi non del tutto volontario. un gesto sociale. tra qualche tempo sparirà e arriverà (o tornerà) qualcos’altro.

alla vostra.

martedì 6 novembre 2007

bad influence

curtis hanson è un buon regista. uno come tanti, in america. come non ce n’è nemmeno uno da noi (da noi ci sono gli autori). ha diretto, tra gli altri, cattive compagnie, scritto da david koepp, che è un bravo sceneggiatore.

la frase più bella del film è questa: "ehi, tony è un ragazzo eccezionale!".

tony, o meglio alex, è un criminale, ladro e assassino.
il barista che pronuncia la frase per difendere tony non lo sa, ovviamente, però è sicuro che il suo amico sia un ragazzo eccezionale.

koepp ha capito che il bello del mondo è proprio questo. che c’è sempre qualcuno disposto a giurare su sua madre che quello è "un ragazzo eccezionale".

anche io son già lì che mi sento un ragazzo eccezionale, solo per aver scritto questo post.

morti

i morti, è opportuno ricordarli.

nils liedholm. mio padre e mio nonno l’avevano anche visto giocare. l’avranno detto in tanti, e avranno fatto bene: un signore.

roberto bortoluzzi. mi ricorda quello che ricorda a tutti. cioè quando ero bambino e mio padre, quando tornavamo in macchina dalle nostre gite domenicali, sentiva alla radio i secondi tempi delle partite.

enzo biagi. una persona squallida. un pessimo giornalista. servo dei padroni per tutta la vita. ha mangiato nel piatto della fiat per quarant’anni mentre biascicava sull’indipendenza della professione (un po’ quello che fa oggi furio colombo).
i suoi articoli non valgono niente. i suoi reportage fanno schifo. le sue apparizioni in video (mi piace ricordare il suo duetto con benigni) quanto di peggio la rai potesse ammannire. i suoi libri puzzano di merda. dopo aver visto il ritorno suo, di santoro e di luttazzi mi convinco dell’opportunità dell’editto bulgaro.
aggressivo e cattivo sotto le spoglie della mitezza e della amabilità.
ripetitivo, ipocrita, falso, bugiardo, venduto, ignorante.
non vedo l’ora di sentire cosa dirà di lui il suo degno epigono, fabio fazio, altro essere spregevole e pericoloso.

lunedì 5 novembre 2007

la vita agra

alla fine del bellissimo "baci rubati" un uomo, fino a quel momento misterioso, si avvicina alla protagonista femminile e le dice: "scelga me, io sono definitivo".

chissà se anche nel resto del mondo la parola "precariato" ha un significato intriso di disvalore come da noi.
in italia piace fare abuso di semantica.
precario è male. stabile è bene. perché?
io, ben felice di non essere cresciuto nel circolo gramsci sotto casa, lo so.

perché è un mondo di schiavi e di automi.
le persone non pensano, ripetono.

tutto è ripetizione, e mimesi.
non solo il lessico, il gesto. è il pensiero.
e non è solo il suv, la scarpa, la battuta di zelig. è anche il bio-tutto, l’eco-tutto, il natura-tutto.
disprezziamo l’uomo sullo yacht, ma l’anarchico, l’incendiatore mascherato di cassonetti, il graffitaro sono figure altrettanto patetiche. simulacri di libertà.
la repressione dell’individuo è già stata realizzata compiutamente.

ieri su sky trasmettevano la vita agra, tratto dal romanzo omonimo di bianciardi. il film, come sempre, non è all’altezza del romanzo. il protagonista a un certo punto si duole di aver firmato tre anni di cambiali per comprarsi la casa.
tre anni.
da noi ormai i trent’anni sono la normalità.
in giappone, mi diceva un amico, è normale stipulare mutui su tre generazioni.

il rapporto di lavoro a tempo indeterminato è la certezza della schiavitù. la busta paga è la porta per il paradiso. ci consente l’accesso rapido al credito, al consumo, alla morte.

da noi è normale pensare di indebitarsi per trent’anni per comprare un tetto senza il quale moriamo di freddo.
ecco, non dovrebbe essere normale.

mercoledì 31 ottobre 2007

l'australia

per sgombrare il campo da dubbi, premetto che io non sono esattamente uno di quelli che corrono in soccorso degli zingari quando qualcuno minaccia di farli sgomberare. né, mi pare, ho mai intonato peana in onore dei salvataggi dei relitti colmi di emigranti effettuati al largo delle acque territoriali.

nondimeno, qui e ora formulo la seguente asserzione: l’immigrazione è una risorsa per un paese.

gli stati uniti d’america, come tutti sanno, sono il paese più potente del mondo grazie ai signori chang, o’grady, esposito e vasquez. noi abbiamo portato anche i corleonesi, si dice. argomento debole. non mi ci metto neanche.

l’altro giorno mi è accaduto di dover sentire mio fratello che tesseva lodi sperticate dell’australia.

l’australia, dico. il paese più stronzo del mondo.

dunque, l’australia è il sesto paese al mondo per estensione: 7.686.850 km2 . venticinque volte l’italia. la sua densità di popolazione è 2,6 abitanti per km2. per densità si trova al 228 posto su 236 paesi. dietro ci sono la mongolia, il sahara occidentale, le falkland, pitcairn (popolata solo dai discendenti degli ammutinati del bounty) la groenlandia e le svalbard.

uno dice urca con tutto quello spazio c’è posto per tutti.

infatti andare a vivere in australia è facilissimo.
se hai meno di 45 anni (altrimenti non puoi andare a vivere in australia) e per qualche motivo non hai nessuno che garantisce per te, devi dimostrare di saperti mantenere, devi avere un lavoro, devi dimostrare di poter fare quel lavoro (che deve essere incluso nell’apposito elenco governativo) anche in australia. soddisfatte queste condizioni, puoi fare domanda. la domanda verrà valutata. e ti faranno sapere.

ora, sapete bene, babbini, che l’australia è stata colonizzata che non è molto tempo dagli inglesi, alcuni dei quali sono stati mandati laggiù perché troppo pericolosi per stare in inghilterra, mentre gli altri, quelli che potevano circolare a piede libero, hanno pensato bene di sterminare tutta la popolazione autoctona.

gli australiani sono ignoranti, arroganti e bifolchi. non hanno mai espresso niente. non sono nessuno. anche oggi, che sono pieni di ricchezze, non di distinguono nella ricerca, nell’innovazione, nell’arte, nella cultura.

sono zero. l’australia è zero. il suo peso politico è zero.

dovrebbero regalarle, le loro terre. regalare le concessioni a tutti quelli che si presentano.
dovrebbero diventare una nazione, invece di restare un covo di piduisti analfabeti.

fottuta australia.

martedì 30 ottobre 2007

I consigli del collega

difendo il conduttore di un immobile adibito ad uso negozio.
la proprietà vuole l’immediata riconsegna sostenendo che questi non ha alcun titolo per stare dentro, poiché il contratto si è risolto con provvedimento del giudice ed è stato anche eseguito il rilascio. io sostengo che c’è stata successiva stipulazione verbale, consacrata dalla consegna delle chiavi, che consente al mio cliente la detenzione. e promuovo ricorso perché il suo diritto venga accertato dal giudice.

il proprietario nella notte cambia la serratura.

stamattina scrivo un fax al collega che difende la proprietà per dirgli che: a) pende il ricorso; b) è opportuno che il suo assistito desista dall’uso arbitrario delle proprie ragioni.

un minuto dopo la ricezione del fax mi chiama il collega

"ma lo sa chi sono i miei clienti?"
"mi sta minacciando, collega?"
"no, non la sto minacciando. lo sa o no chi sono i miei clienti?"
"lo so, certo"
"ecco, allora si regoli di conseguenza"

tralascio il resto.

ora voi numerosi lettori vi chiederete chi sono i proprietari dell’immobile.

lunedì 29 ottobre 2007

una buona regola

ci sono film misteriosamente fortunati (il rocky horror picture show, per esempio, che a milano proiettano ininterrottamente da trent'anni, un po' come febbre da cavallo a roma) e altri film che la fortuna se la cercano, magari venendo alla luce nel momento giusto. per esempio il grande freddo. che nonostante quando uscì sembrasse il classico prodotto della cultura democratica anni '80, è un bel film. è scritto bene, c'è qualche bravo attore (kline, goldblum), qualche attore sopravvalutato (close, hurt), qualche onesto lavoratore (place, williams, tilly, berenger).
kasdan è un regista e sceneggiatore le cui qualità sono state apprezzate meno di quanto meritassero.
invece di citare i suoi titoli (wikipedia, all'uopo) cito appunto una frase dal grande freddo, che mi pare esprima una regola buona anche per i post sui blog.

"dove lavoro io abbiamo una regola: non scrivere mai niente che non possa essere letto da un uomo medio durante una cagata media"

venerdì 26 ottobre 2007

pelle d'oca

marco ferreri

tra i paradossi che turbano me e la mia ansia di comunicare, il mio preferito è questo: c’è sempre qualcuno o qualcosa che risponde alle mie domande, senza saperlo.

oggi alla storia siamo noi si raccontava un po’ la vita e l’opera di marco ferreri.
la risposta l’ha data lui. di meglio non potevo aspettarmi.

la moglie, racconta, lo sollecita alla lettura di libri, e lui risponde " ma no, ma va’, mettersi lì, con un libro, a leggere. noiosissimo".

alla domanda "che rapporto ha col cibo?" ha risposto "un rapporto di fame".

grande ferreri. uomo intelligente, fortunato nelle amicizie, inseguitore di un indifeso ottimismo, in perenne conflitto, delicato, affaticato.
uno che aveva capito il senso delle cose. o quanto meno, che è quasi tutto, dell’importanza di una tavola.

autore di uno dei più bei film di sempre: dillinger è morto.

"loro"

il post precedente era sul pesante.
ritengo opportuno alleggerire la zona tornando sui binari e sugli argomenti a me più cari.

la dottoressa clementina forleo, magistrato della repubblica, ha tenuto di nuovo banco (e con lei altri due magistrati) in televisione ieri sera (tre ore fa, insomma).

tra le altre cose ha dichiarato che è dovere del magistrato esporsi sui media. esporsi e finanche sovraesporsi.

ebbene, io credo che i magistrati per legge non solo non dovrebbero poter parlare; non dovrebbero nemmeno avere né un nome né un cognome. dovrebbero chiamarsi magistrati. come i soldati. come i preti.

solo la carica. solo così.

don siegel

lo sgomento prende vieppiù piede.
il sentire del momento è nel senso del supplizio.
e il blog aiuta a stare peggio.

è un po' come i cattivi: c'è sempre uno più cattivo.
c'è sempre un altro libro, un'altra intelligenza. un'altra scoperta.
c'è sempre un passo in più da fare.

e nello stesso tempo la percezione dell'inanità dello sforzo.

tuttavia, non ho il coraggio di andare in groenlandia e stare solo tra i ghiacci, nel silenzio, senza paura. e poi, se è peggio, non invoco, e non sento la Chiamata.

vivo qui e penosamente agogno la vera atarassia.

senza preavviso mi viene in mente che sta circolando nelle sale il terzo remake del capolavoro di don siegel. ogni quindici anni lo rifanno. gli americani sono specializzati nel veicolare surrettiziamente messaggi attraverso l'apparente affermazione del loro contrario. questo perché gli americani non hanno stima dell'opera d'arte. non pensano che le opere abbiano dignità in sé, che sopravvivano al loro autore o, peggio, che gli si possano rivoltare contro. rozzi come sono, incapaci di considerare la creazione come qualcosa di diverso dal creatore, pasticciano sempre. come se l'opera fosse morta, anziché nata. ma sono anche ingenui, e per questo non colpevoli. troppo facile vedere dove si va a parare.

periodicamente ci si salva dalla fine del mondo. dagli alieni, dai virus, dai mostri.
periodicamente si scopre che era tutto un sogno, che era tutto finto.
sempre resta dunque la domanda.

e torniamo a siegel e al perché ci ripropongono gli ultracorpi.
il motivo è chiaro.

alla fine sognamo tutti di smettere di sognare.

martedì 16 ottobre 2007

le palme selvagge

donne, merda
così termina “le palme selvagge” di william faulkner.
non è un romanzo. sono due storie parallele, alternate, che non si incrociano mai.
la storia di due amanti e la storia di un galeotto che salva una donna incinta.
milan kundera giudica la scelta come arbitraria e ingiustificabile e tuttavia data da un es muss sein (deve essere - una frase che a lui, par di capire, è sempre piaciuta) che la salva.

l’es muss sein di kundera è un po’ un grimaldello.
io azzardo un’ipotesi diversa.
le due storie sono unite. e sono unite proprio dalla Donna.

le donne sono i veri pilastri delle storie.
la prima è la forza, la volontà, il coraggio.
la seconda è la propulsione inconsapevole, la guida muta, il movente silenzioso.
la prima è la morte, la seconda la vita.
la prima, con il suo carattere fermo, capace di determinarsi a scelte esiziali, capace di lasciare un marito benestante e due figlie per un medico fallito, capace di lasciare la sua arte, capace di darsi un destino e seguirlo fino alla fine, è nel suo grido disperato. è la parola.
la seconda non parla mai, non se ne conosce nemmeno il nome. è simbolica. è madre.
ma è anche corpo, peso, obbligo. è il segno.

entrambe seguono i loro uomini, la prima in giro per l’america, tra miniere in mezzo ai ghiacci, città e ferrovie, la seconda sempre e solo in una barca, un legno mezzo marcio lungo un fiume mostruoso che esonda e travolge campi e paesi.
seguono e guidano. forze antiche, oscure, universali. immote e soverchianti.

sublim

ho scritto più o meno un centinaio di canzoni. la prima a 12 anni, l'ultima a 23.
qualche mese fa la mia vena creativa, che pensavo irrimediabilmente inaridita, si è risvegliata e ha dato un nuovo frutto.
fa così: sublim, sublim, sublim sublim sublim.

herbert marcuse

oggi cito.
cito chi ha scritto molto prima e molto molto meglio di me.
il totalitarismo democratico. la tolleranza repressiva. la non-libertà.
il libro è l'uomo a una dimensione. 1964.

"Il fatto che la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno riprovevole. La distinzione tra coscienza autentica e falsa coscienza, tra interesse reale e interesse immediato, conserva ancora un significato. La distinzione deve tuttavia essere verificata. Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall’interesse immediato al loro interesse reale. Essi possono far questo solamente se avvertono il bisogno di mutare il loro modo di vita, di negare il positivo, di rifiutarlo. È precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di "distribuire dei beni" su scala sempre piú ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell’uomo".

"Alla negazione della libertà, e perfino della possibilità della libertà, corrisponde la concessione di libertà atte a rafforzare la repressione. È spaventoso il modo in cui si permette alla popolazione di distruggere la pace ovunque vi sia ancora pace e silenzio, di essere laidi e rendere laide le cose, di lordare l’intimità, di offendere la buona creanza. È spaventoso perché rivela lo sforzo legittimo e persino organizzato di conculcare l’Altro nel suo proprio diritto, di prevenire l’autonomia anche in una piccola, riservata sfera dell’esistenza. Nei paesi supersviluppati, una parte sempre piú larga della popolazione diventa un immenso uditorio di prigionieri, catturati non da un regime totalitario ma dalle libertà dei concittadini i cui media di divertimento e di elevazione costringono l’Altro a condividere ciò che essi sentono, vedono e odorano".

lunedì 15 ottobre 2007

ecco lui per esempio

in questo momento serena dandini sul divano della sinistra democratica e colta sta conversando amabilmente con un magistrato. si danno del tu. dietro di loro un enorme poster col suo nome.
si tratta di un uomo meridionale, bello, sicuro di sé, camicia nera con maniche rimboccate, jeans slavato, sorriso compiaciuto. alle domande della conduttrice risponde con disinvolta vanità. scrive libri. si parla dei suoi vizi, si parla del codice penale, si parla di politica, del fratellino disegnatore di fumetti. applausi. citazioni letterarie. non sbaglia una battuta. è una star.
ecco, costui è esattamente il contrario di come dovrebbe essere un magistrato.
si chiama carofiglio. gianrico carofiglio.

domenica 14 ottobre 2007

l'uomo dell'angolo occasioni

io ti conosco, sai.
conosco tanta gente.
è bella la gente. le persone, gli altri. mi piacciono.
anche tu mi piaci. io ti guardo, ti osservo, anche se non sembra.
chissà cosa pensi di me. forse pensi che sono un po' strano, un po' stupido forse.
che buffo. può essere, non lo so.

sono quello che lavora all'angolo occasioni.
sì, nel famoso capannone, quello dei mobili.
quando sono arrivato, poco più che ragazzino, mi hanno messo all'angolo occasioni. io lo sapevo che non era un posto di grande responsabilità, ma ero contento lo stesso. e poi ero appena arrivato, mica potevo pretendere gran che. i capi l'avevano capito subito, che ero un buono. gli altri avrebbero storto il naso, avrebbero cominciato a lamentarsi. mettiamoci quello, all'angolo occasioni, si erano detti. e io ci sono andato volentieri.

l'angolo occasioni è in posto dove passano tutti. quindi posso vedere un sacco di gente. quelli che conosco già e tutti quelli che devo ancora conoscere. è un posto bellissimo.

sono passati tanti anni. e sono ancora qui.
li ho visti tutti. i miei amici, i miei compagni di classe, quelli che venivano alla mia stessa scuola, quelli del mio palazzo, del mio quartiere. e poi li ho visti crescere. ho visto i loro figli, le loro famiglie, proprio come ho visto la tua.
e poi ho visto i figli dei tuoi figli. e i loro figli.
ho visto tanta gente. me li ricordo tutti.
non è faticoso per me il ricordo, è piacevole. e mi viene facile. ogni tanto mi diverto a ricordare a qualcuno una sua frase, qualcosa di cui si era scordato, e vedere il suo stupore.

anche io però ho avuto il mio oblio. di quei giorni là non mi ricordo molto.
non mi ricordo, come invece possono altri fortunati, la luce, la mano calda, la veste bianca, il cuscino soffice, la quiete serena. niente.
quando mi hanno rimandato giù, non mi hanno detto niente. mi hanno sorriso, e basta.

ed eccomi qui. i miei occhi, i tuoi occhi.
un inganno, ma non sempre.

sono vecchio. anche se nessuno sa quanti anni ho (non lo so nemmeno io), sono vecchio.
un domani, credo, anche per me sarà il tempo di tornare. tutto sommato mi sta anche bene.
chissà come sarà, quel giorno. immagino un giorno come tutti gli altri. finisco il turno di lavoro, saluto i colleghi e torno a casa.
ecco, quel giorno sarà triste perché guarderò per l'ultima volta, commosso, i miei dischi, i miei strumenti.

magari te li prendi tu, tu che mi stai leggendo. a me va bene.
adesso te lo posso dire.
tutti mi chiamano con un soprannome, ma mi chiamo francesco, proprio come il santo.
io non sono tanto santo. direi di no.
mi hanno mandato qui non so nemmeno perché.
direi che quasi mi vergogno un po' di quello che sono.
infatti non lo dico a nessuno. vendo i mobili e basta. vendo i mobili e mi ricordo di tutti.
e li porto dentro di me.

dentro di me, per sempre.

mercoledì 10 ottobre 2007

i miei problemi con il cinema

che bello, il cinema.
è il regno della compressione.
per fare innamorare una ragazza bastano poche righe di sceneggiatura.
e quando ci si deve lasciare, o arrabbiare, si scelgono sempre le parole giuste, dette nel modo giusto.
il cinema è la vita semplificata, disidratata, liofilizzata.

ma a me non piace la vita del cinema.
mi piace la vita vera. quella con le pause, gli imbarazzi, le parole sbagliate, le facce brutte, le incomprensioni, le ripetizioni.
i corti di olmi sono un po’ così. lunghi, noiosi, estenuanti
muccino è uno che ha pensato di fare vedere la vita vera, lui e le sue urla, i suoi piagnistei. non c’è riuscito. il peggiore di tutti è gianni amelio, che ha voluto girare il film realista e poi ha detto "è cinema dalla prima all'ultima inquadratura".

quando andremo in patagonia o in umbria a ritrovare noi stessi dopo una lacerante separazione non incontreremo, nella modesta locanda ove andremo a riposarci, la barista bella e sensibile che si innamora di noi.
non incontreremo nessuno, staremo soli e torneremo soli.

quando vado al cinema non voglio vedere rappresentati i miei desideri, realizzati i miei sogni. non voglio vedere famiglie felici e cattivi in gattabuia. soprattutto non voglio vedere più persone intelligenti di quante non ne potrei incontrare uscendo dal cinema. è avvilente.

herzog e pasolini, i due esempi che mi vengono per primi, sono riusciti a non fare del cinema verità facendo del cinema puro.

alcuni registi vorrebbero disegnare, non filmare.
disegnare è meglio. disegnare è creare qualcosa che prima non esisteva. filmare è utilizzare materiale esistente. disegnare è attivo, filmare è passivo. disegnare è scopare, filmare è guardare.

quel pirla di fellini, nella sua ansia plastica, con la sua smania di fare il "regista visionario" (espressione squallida se ce n’è una) non ha saputo fare bene né una cosa né l’altra.
terry gilliam, per fare un esempio, è invece uno che fa un cinema che si avvicina al disegno.
così anche von sternberg, ophuls, wilder, per fare esempi meno evidenti.
il sottoprodotto sono i registi di videoclip

molti registi avrebbero voluto creare i loro attori. avrebbero preferito avere un po’ di terracotta sulla quale alitare.
se sapessi disegnare passerei la giornata a inventare donne con grosse tette, magari strizzate in guêpière nere, oppure con maglioni attillati, magari celesti, con le maniche corte e il collo alto, i capezzoli bene in rilievo.
poi, naturalmente, mi innamorerei di qualcuna delle mie creature e, geloso, non tarderei a godere delle disgrazie nelle quali le vedrei precipitare, per salvarle all’ultimo momento.

quelli che non sanno disegnare, scrivono.
l’ansia della creazione. se non per immagini, per suggestioni, per indizi.

il cinema, purtroppo, cancella gli errori, i malintesi, gli equivoci dell’esistenza. conosce i suoi propri errori, errori di una lingua diversa, poco interessanti.
ed è un peccato che le esigenze grammaticali sacrifichino tanta parte della nostra realtà. anche perché poi, per spirito mimetico, cerchiamo di aderire a quel linguaggio, di copiarlo. e finiamo, nella migliore delle ipotesi, col non capire più niente.

il cinema americano, più di altri, è candeggiante. pulisce le scorie della vita. concentra.
il cinema francese è sospendente. c’è sempre un non detto, un non visto, un non capito.
il cinema italiano è deprimente. c’è sempre un romano, un rimpianto, un tramonto.

venerdì 5 ottobre 2007

io sto col Ritardato

viva raisat extra.
ho visto la puntata.
ha ragione il professore. santorre fa pena.
aveva ragione berluscone, e adesso ha ragione lui.
e hanno torto tutti gli altri.
e poi mastella è bello.

nota a margine: la forleo era, evidentemente, l'imitazione della forleo.

i magistrati, gli avvocati, le parti.

ieri sera ho visto il film l’appuntamento, di jean delannoy (1961). bello. ben girato. annie girardot emozionante.
quindi mi sono perso la puntata della trasmissione di santorre nella quale, ho poi visto, è intervenuta la clementina nazionale.
qualche parola sui magistrati.

i magistrati si rompono i coglioni.
entrano in magistratura perché essere magistrati è bello, dà lustro, onore, gloria, un po’ di danaro, e diverse immunità.
quello che non sanno quando passano il concorso è che poi devono fare le sentenze.

gli avvocati invece lo fanno solo per il grano
fare l’avvocato è facile. una volta superato l’esame, e prima o poi lo superano tutti, si comincia.
è un mestiere che può fare chiunque. non bisogna essere particolarmente intelligenti, preparati, colti, onesti.
è un po’ come fare il benzinaio, o il cameriere.
la cosa bella è che puoi chiedere al cliente quello che vuoi tu.
e allora fuoco a volontà.

i clienti, generalmente, sono brutta gente.
non è sbagliato dire che un po’ sono stati male educati dagli avvocati.
mentono, non si fidano, non pagano, scappano, ti si rivoltano contro.
già quindici anni fa sentivo dire l’orrida frase "il cliente è il tuo peggior nemico".

insomma, io cerco di fregare te, tu cerchi di fregare me. questo è il rapporto cliente-avvocato.
sopra di essi c’è il giudice.

il giudice si alza la mattina e solo al pensiero di un’udienza con 40 avvocati alle ore 9.30 gli viene il mal di testa.
infatti a volte non ce la fa. chiama la cancelleria e dice "ho mal di testa, mettete fuori dalla mia aula un cartello che le cause sono tutte rinviate a data da destinarsi". e torna a letto. o porta il bambino al parco. quando ce la fa, arriva (in ritardo) e comincia l’udienza. le cause sono sempre tante, troppe. non gliene interessa nemmeno una. sempre le solite palle. la solita gente che litiga senza motivo. e poi gli avvocati, che prendono più soldi di lui e lui gli deve pure liquidare le spese, gli avvocati che spingono i clienti a fare ‘ste cause senza motivo. all’ora di pranzo ha finito e va a casa.
a casa lo aspettano milioni di sentenze da fare. si sente male. lui cerca di farle, ma quelle più ne fai e più te ne danno da fare. è un inferno. dopo un paio d’anni di questa vita comincia a vivere in un mondo tutto suo. sogna, levita, se ne va, sparisce. resta il suo corpo. alcuni si mettono a scrivere libri, diventano ospiti fissi al processo del lunedì, scendono in campo, cambiano mestiere.

l’avvocato si alza la mattina ed è in tensione per l’udienza. vada come vada la quale, tornato in studio pensa a come portare a casa un po’ di soldi. lo studio costa. e poi deve comprare la macchina nuova. e poi c’è la famiglia. quindi si concentra sulla parcellazione. qui ognuno ha il suo sistema. verso le 19 o verso le 20 va a prendere l’aperitivo con altri stronzi come lui. dice cose che non pensa a gente che non lo ascolta e che guarda solo come è vestito. dopo l’aperitivo, a casa a rompersi i coglioni oppure fuori a cena a continuare la mascherata. dopo un paio d’anni alcuni si convincono di quello che stanno facendo e proseguono tranquilli. altri diventano dei disadattati e prima o poi finiscono con il massacrare la famiglia o nel silenzio perpetuo di un eremo.

giovedì 4 ottobre 2007

siamo rimasti in tre

il grande dida

per me nelson dida è un buon padre.

mercoledì 3 ottobre 2007

la chiesa democratica

questo dovrebbe essere uno strappo alla regola (che vorrebbe il blog lontano dal costume), ma non ne sono tanto convinto. né dello strappo, né quindi della regola.
parentesi. l’espressione strappo alla regola mi fa sempre venire in mente la trasmissione di cabaret “due di tutto”, una pezzentata pazzesca che davano sulla rai più di vent’anni fa in cui a un certo punto arrivava una con le bombe grosse e una maglietta con la scritta “la regola” e siccome il numero seguente sarebbe durato più di due minuti, si dava luogo allo strappo. e alla visione delle bombe.

non so quanti lettori abbia perso o guadagnato il foglio da quando il suo direttore ha scelto di mutare la linea editoriale e farlo diventare l’organo ufficiale della CEI.
avrà perso un po’ di liberali e guadagnato qualche baciapile, immagino.
l’altroieri sera da ferrara c’era il teologo vito mancuso.
il teologo. persona degnissima, s’intende, ma sempre teologo.
ieri sera si parlava della birmania.
ferrara ha esordito dicendo che in birmania “il clero si batte per la libertà”.

ora, io sono contro il relativismo.
e sono quindi a favore di un pensiero forte. rectius, del pensiero.
la sinistra ha avuto il grande demerito, tra i tanti altri, di favorire, all’alba del fallimento marxista, l’ascesa del pensiero debole, attraverso i vattimo e i cacciari.
pensiero debole che ancora oggi è portato avanti dall’intera classe politica. in questo caso, oltre tutto, filtrato dalla pochezza culturale dei suoi campioni quando non rappresentato addirittura in modo inconsapevole.

ebbene. la scelta di sposare il Pensiero s’imponeva, di fronte alla dilagante ascesa dei simpatici maomettani.
ritengo, nel mio piccolo, che la scelta di sposare la chiesa cattolica sia stata la più facile, la più comoda e la più pericolosa.
la più facile e la più comoda perché ci sono biblioteche sterminate, pensatori finissimi, strumenti infiniti.
quando hai a disposizione san tommaso, non ti serve scomodare massimo fini.
la più pericolosa perché conduce a una strada chiusa.
la chiesa cattolica non è democratica (piantiamola con questa cosa patetica che i cattolici, loro sì, ci lasciano essere atei, se vogliamo. vorrei anche vedere); essa è, anzi, espressione del pensiero reazionario nel senso deteriore del termine.
vorrei chiarire: la religione è una cosa seria (come può esserlo il male). la chiesa cattolica no.
bisognerebbe cercare di non fare confusione.

sì, perché san tommaso va bene anche a me. e anche sant’agostino.
la speculazione filosofica cristiana è, spesso, altissima.
è la filosofia anche cristiana che possiamo riguadagnare, da cui possiamo tornare a prendere le mosse.
ma non sono i papi.
per svegliare le coscienze intorpidite dal relativismo, per contrapporsi alla teocrazia islamica non è necessario vagheggiare anche da noi il potere temporale dei papi.

e poi, forse, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato non l’ha detto solo gesù.

non basta pubblicare ogni tanto un articolo su drieu la rochelle
si può, per esempio, fare ciò che la sinistra italiana, finché ne ha avuto la possibilità, ha impedito. rivalutare la storiografia cosiddetta di destra, lo spiritualismo, il tradizionalismo. per esempio riparlare di julius evola. per esempio riparlare di gnosticismo, di neoplatonismo, dello spirito liberale che animò i mutamenti politici del diciottesimo secolo. del terreno culturale sul quale nacque la massoneria.

no. il papa.
il papa, i cardinali, i teologi.

la teologia è una disciplina di eccezionale interesse.
ma per chiudere le moschee non serve.

martedì 2 ottobre 2007

intorno alla verità

dice che il pm de magistris, poco amato, pare, dal ministro mastella, sta scrivendo un memoriale. dice che è già arrivato a 400 pagine.
sarà una bomba, penso io, quando uscirà.
chissà quanti memoriali stanno crescendo nei cassetti in attesa di venire alla luce.
chissà che cosa ne pensano le toghe lucane.

l’altro giorno in aeroporto sono stato tentato di comprare il libro di felice casson, la fabbrica dei veleni. mi hanno trattenuto due circostanze, una soggettiva, l’altra meno. l’altra è il fatto che il libro fa parte di una collana diretta da gianni minà. l’una che il libro, come tutti i libri di questo mondo, racconta una versione.
ed è a proposito di questo che debbo dire due parole. non avendo memoriali in gestazione, ho questi pensieri vagolanti che piano piano - qui, per l’appunto - trovano il loro povero approdo.
è da un bel po’ che giro intorno al problema della verità.
è da un po’ che cerco di trovare una spinta per cominciare.
oggi ho trovato.

nel blog di quarky viene riportato un brano di un’intervista (bellissima) a sergio givone a proposito del paradosso della verità di kierkegaard: "ecco il grande paradosso della filosofia kierkegaardiana. La verità che vale per me e che tuttavia non è soltanto qualcosa di soggettivo, perché altrimenti non sarebbe più la verità: questo è l'insegnamento di Kierkegaard. Quella di Kierkegaard è, quindi, anzitutto una filosofia del paradosso. Il paradosso consiste nel fatto che la verità per me - dunque quella verità che evidentemente è diversa dalla verità per te e dalla verità per l'altro - continua a essere qualcosa a cui io conferisco una validità universale. Non nel senso che posso dimostrare oggettivamente che è quella la verità, ma nel senso che la posso rendere oggetto di comunicazione".

ecco, è il punto centrale.
ha ragione il filosofo cristiano. è vera nel senso che la posso rendere oggetto di comunicazione.
nel mondo di oggi la verità è decisamente declinata al singolare.
io che non posso non dirmi cristiano ma che cristiano non sono cerco invece la verità universale.
e insisto nel pensare che l’unico motivo per cui siamo al mondo è che se siamo in due in una stanza e uno dice una cosa all’altro e fuori dalla stanza raccontiamo versioni divergenti ci deve essere qualcuno che sa la verità.

la doppia verità è il vero paradosso.
facendo il mio mestiere vivo e mi nutro nel sistema della doppia verità.
ogni fatto o atto può essere raccontato da due punti di vista diametralmente opposti.
e il giudice, decisamente, non è Dio.

dobbiamo leggere tutti i giornali per sperare di escerpire un minimo di verità?
dobbiamo sempre sentire l’altra campana? e poi, sarebbe sufficiente?
non esiste alcun accadimento che non sia stato oggetto di interpretazioni tra loro incompatibili.
perché?
il mio mestiere è forzare la verità. piegarla per uno scopo.
mi serve un perito che possa dire che il palazzo sta crollando? eccolo.
me ne serve un altro che dica che è più solido di un diamante? pronti.
che cosa conta? la coscienza pulita?

la coscienza potrebbe essere pulita.
sarebbe bello dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. sarebbe la cosa più bella. ma nemmeno i bambini, così puri di cuore, ci riescono.
forse proprio per quello che dice kierkegaard.
dice givone: "La forza della vita etica consiste nell'essere autosufficiente, nell'essere fondata su di sé, nel non aver bisogno di nient'altro. L'uomo davvero etico, quello che è riuscito nel costruire la sua personalità in questo capolavoro che è la vita autosufficiente, è in pace con se stesso. Sa che gli si può fare qualsiasi violenza, ma il suo cuore è puro, nel senso forte del termine, egli è inattaccabile, nessuno gli può rimproverare niente, neanche Dio. L'uomo etico, in fondo, è l'uomo che ha imparato da Kant che la religione, se ha senso, è una religione che si risolve totalmente, non tanto nei limiti della ragione in generale, ma nei limiti della ragione pratica. Questo tipo di religione autorizza l'uomo etico a ritenersi salvato; ci si salva, appunto, con la pace del cuore, ci si salva sapendosi in pace con se stessi, sapendo di avere fatto tutto quello che si poteva fare, tutto quello che era giusto fare. Ma questa autosufficienza della pace interiore - ecco il limite, ecco l'equivoco di fondo della stessa vita etica - dal punto di vista della vita religiosa è il male. E' il male radicale, poiché è la presunzione di autosalvarsi. Nel momento stesso in cui l'uomo etico, per così dire, celebra il suo trionfo, collocato su un piedistallo, asserragliato dentro una roccaforte che nessuno può smuovere, proprio nel momento della sua massima forza, compie un atto di superbia che lo condanna. Nel momento in cui crede di essere perfettamente al sicuro, egli si espone al peggiore dei peccati".

non possiamo salvarci da soli. non possiamo nemmeno cercare la verità universale.
posso essere un po’ scosso da tutto ciò? sì.
per tornare a bomba: su porto marghera istintivamente penso che la verità del libro si avvicini molto alla verità universale.
ma sono ormai troppo ferito per crederci davvero.

lunedì 1 ottobre 2007

modello 5

il mio amico andreone mi ha appena telefonato per dirmi che si è dimenticato di inviare il modello 5 alla cassa previdenza avvocati. voleva sapere la sanzione.

gli ho risposto non lo so. e poi oh bella, me ne sono dimenticato anche io.

mal comune, mezzo gaudio.

forse.

e ciao ciao a 95 eurini

domenica 30 settembre 2007

dear dwight

mi accingo a un'impresa difficile.
il lettore non tarderà a comprendere che il post è la spiegazione del post, nel nobile solco della teoria riduzionistica.
il film "rita, rita, rita" (il titolo originale, educating rita, deve essere sembrato poco incisivo ai nostri beneamati distributori) racconta la storia di una parrucchiera ignorante che alle soglie dei trenta vuole elevarsi culturalmente e si iscrive all'università.
tra varie traversie, rita cercherà il suo equilibrio, ma si sentirà un po' nel mezzo. non più parrucchiera, non mai intellettuale.

la sorte di molti somiglia a quella di rita.
la massificazione della cultura porta verso il basso, secondo i noti principii, e sta bene.
l'accesso universale all'istruzione superiore, internet, la velocità di diffusione delle informazioni attraverso i media sono tutte cose buone.
ma io ho una paura.
confesso che, per esempio, faccio un po' fatica a rapportarmi con la signora diciassettenne separata con un figlio che vive qui sotto e che sta tutto il giorno a sbraitare in dialetto siciliano con la vicina. faccio fatica allo stesso modo a prendere in mano per esempio un testo universitario di filosofia del linguaggio.
ma sì, ho letto lepsky, chomsky, saussure, benveniste, barthes, eco e compagnia cantando ma non li ho letti come avrebbero dovuto essere letti.
nemmeno mommsen ha avuto l'attenzione che si meritava. perchè se ne meritava tanta.

credo di trovarmi nella medesima situazione, ritiana, di altri.
ciò che temo è non avere più punti di riferimento alti. è la perdita della cultura.
la preparazione dei professori, a tutti i livelli, è andata gravemente e progressivamente riducendosi.
quando penso all'amico che ho perso, penso anche a quello che hanno perso tutti.
una persona colta, nel senso più ampio possibile, è un bene per l'umanità.
è sacrosanto che ogni parrucchiera abbia il diritto di prendersi una laurea e imparare il greco e studiare shakespeare. non vedo perchè questo debba portare come conseguenza necessaria l'abbattimento della cultura media.

i musei sono sempre pieni. le mostre di pittura vedono code esagerate dappertutto. il festival della letteratura di mantova, il salone del libro di torino fanno il tutto esaurito. si stampano sempre più libri.
e però?
però i laureati in lettere sbagliano a scrivere in italiano e omero in greco non lo sa leggere nessuno.
tutti, assolutamente tutti sanno recitare "Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi" ma poi si fermano lì. nemmeno il secondo verso.
prima si fanno indigestioni di quadri e poi si cagano commenti sui pittori.
insomma, non è più né masscult, né midcult.
è noncult.

voglio stringere la mano alla figlia del soffiatore

io non ce l'ho con luca sofri, no no.
ha un faccia un po' strana, sembra disegnato, sembra un cattivo dei fumetti. un po' alla edward g. robinson.
ma è un ragazzo in gamba e dice quasi sempre cose intelligenti.
io poi, quanto a faccia, dovrei starmene zitto.
mi è antipatica, la mia faccia. mi è antipatico anche il mio corpo. il mio cazzo mi piace. ma è un po' poco.
soprattutto non mi piace il modo in cui mi muovo. ogni volta che mi capita di guardarmi mi trovo sgraziato, brutto, storto. e poi sono sempre gobbo.
in più, sono convinto che dalla mia persona promani un'aura di decadenza.
insomma, mi sento un po' come un essere in decomposizione.

forse dovrei andare a frequentare uno di quei corsi del comune di milano, ma poi sono convinto che mi troverei in mezzo a un sacco di vedovi, divorziate e single che dopo poche settimane cominciano a organizzare la pizzata del dopo corso e allora lascio perdere.

però il sofri non mi può dire che la più bella canzone di tutti i tempi è the blower's daughter di damien rice.
ognuno, per carità, può dire ciò che vuole. anche che la più bella canzone è sharazan sharazan di carrisi-power.
però, se tu sei la guida riconosciuta alla cultura musicale, ci vuole un poco di temperanza nel giudizio.
con tutto il rispetto per il signor rice e la sua toccante svenevolezza, di canzoni belle così ce ne sono tante.

io la più bella canzone di tutti i tempi non lo so qual è.
so qual è la sola canzone che ha cambiato il mondo.
(anche a proposito di quelli che hanno cambiato il mondo c'è una certa vastità di opinioni. l'ultima che ho sentito è gli U2 hanno cambiato il mondo. ancora un po' e arriviamo a dire che il mondo l'hanno cambiato gli erasure)

la canzone in questione è I want to hold your hand.

qui lo dico e non ho alcun timore di smentita.
i beatles erano a fare colazione al george V a parigi nel gennaio del 1964 quando brian epstein seppe che la canzone aveva raggiunto il numero uno nelle classifiche USA e lo disse ai quattro.
da quel momento e, incredibile, solo grazie al passaggio dal mi minore al si nella strofa, il mondo cambiò. poco, ma cambiò.

rumori

una quindicina d'anni fa, più o meno, io e mio fratello ci trasferimmo per qualche giorno in una microbaita in val d'aosta. la baita era stata locata a nostro zio, ma lui ci andava poco.
ci portammo il nostro fedele registratore a quattro piste, tre chitarre, un basso, una batteria completa, cibo, varie suppellettili. tutto nella panda.
mi ricordo di dormite colossali, di una passeggiata, di un prato fiorito, di alcuni inviti ricusati a trascorrere la serata in quel di aosta, di inviti accettati.
mi ricordo di un ragazzo del luogo che si chiamava Wilmo - un nome così ce l'hanno solo lì - un bravissimo ragazzo, molto simpatico nonostante i capelli biondi.
e mi ricordo che lì confezionammo il nostro ultimo LP.
mio fratello, come sempre, fu il produttore, il cuoco, il trovarobe.
esistono, o dovrebbero esistere, alcune fotografie testimonianza di quei formidabili giorni.
esistono le registrazioni.
durante una sessione ricordo che stavamo per attaccare un pezzo quando non so come cadde da una mensola un ferro da stiro. un ferro di quelli di una volta, solo ferro, senza alimentazione, pesantissimo. ora, se pensiamo che nel momento in cui il grave toccò il suolo io ero con le cuffie alle orecchie pronto a sussurrare nel microfono e che il suddetto grave terminò la sua caduta a pochi centimetri dal microfono stesso, possiamo immaginare il lieve turbamento che prese la mia persona.
l'incidente è immortalato su qualche nastro, insieme con il mio freddo commento: "io odio il rumore".
il pezzo fu poi terminato ottimamente e in buona scioltezza.

alcuni anni prima dell'incidente col ferro, io e mio fratello ci trovavamo in camera nostra a registrare una puntata della nostra trasmissione radiofonica (nel senso che usavamo una radio-registratore). eravamo lì con l'ospite in studio (gli ospiti erano tutti interpretati da mio fratello) oppure intenti ad abbaiare una qualche canzonaccia quando entrò con il solito fare perentorio nostro padre. spalancò la porta e disse:
"che cos'è stato?"
"che cosa?" dicemmo noi
"ho sentito un gran frastuono" disse nostro padre
"noi non abbiamo sentito niente" (in effetti un rumore c'era stato, una sedia che si era spostata, ma noi non potevamo ragionevolmente far rientrare quel rumore nella categoria "gran frastuono")
"ma come?" insisté il nostro - "io ho sentito un gran frastuono"
"...."
"ho sentito un gran frastuono!" ribadì, ma ormai era un uomo solo.
stette lì qualche momento sulla porta e poi se ne andò.

l'altro giorno è stato festeggiato il compleanno di mio figlio. c'erano un bel po' di compagni di classe, qualche parente, le solite cose. c'era anche l'animazione (chissà perché si chiama così).
mio figlio è uno che odia il rumore.
non solo odia il rumore. lui pensa che tutto il male provenga dal rumore. quando è spaventato, per esempio, si tappa le orecchie con le dita, sperando, in questo modo, che il problema si risolva. ebbene, mentre quasi tutti i suoi compagni di classe si scalmanavano con l'animazione (balli, canti, salti, girotondi, trenini) lui, pietro e giuseppe (il primo è il suo fido scudiero, il secondo è suo cugino) se ne stavano nella stanzetta attigua, tranquilli. quando il rumore di là era troppo forte, lui si tappava le orecchie. il momento peggiore per lui è stato quando l'animatrice ha dato il via allo scoppio dei palloncini. tutti i bimbi si sono scatenati. mio figlio, che era il festeggiato, se ne stava con le orecchie tappate mentre si stava colmando la misura. siamo intervenuti.

due giorni prima ho festeggiato con i miei amici il mio quarantesimo compleanno. è stata una bella festa. eravamo in 34. ho alcuni rimpianti. il primo è non aver potuto stare più tempo con i miei invitati. il secondo è aver suonato in modo un po' cialtronesco. quando è arrivata la torta e si è trattato di spegnere le candeline ero emozionato.

due giorni dopo attraverso il mirino della telecamera vedevo mio figlio dove mi ero trovato io, cioè davanti alla candelina.
l'ho visto spegnerla e poi sollevare la testa. e poi sorridere, e distogliere lo sguardo.

martedì 18 settembre 2007

käthchen di heilbronn

mi sento subissato.
mi sento impotente.
la sensazione che provo, nel momento in cui realizzo che su un argomento di attualità, poniamo beppe grillo, stanno scrivendo migliaia di persone, ognuno sul suo blog, è di disorientamento.
che cosa posso scrivere io, penso, di meglio, di più originale, di qualche interesse per chicchessia, su un argomento di cui nello stesso momento trattano persone che ne sanno molto più di me, che scrivono meglio di me, che fanno ridere o riflettere molto più e molto meglio di me? niente, è la risposta.

le soluzioni sono tre:
o fare il blog alternativo, quello con l’alter ego che pasticcia con la sintassi, parla delle sue calze bucate, del rincaro del tonno, del collega di lavoro, dell’alito cattivo e del mare
o fare il vero blog, cioè il diario. ma c’è il problema della pubblicità, cioè del fatto che ti può (in teoria) leggere chiunque. per cui uno non scrive mai tutta la verità
o fare il blog-contenitore. il cesto della memoria. appunti, speranze, rimembranze, guaiti.

scelgo la busta tre. e mi do alla critica letteraria. si fa per dire.

parentesi
amo molto la timidezza. uno dei più bei film sulla timidezza è tirate sul pianista, di françois truffaut.
heinrich von kleist, drammaturgo stellare, non riusciva a parlare in pubblico e soffriva di una specie di dislessia. si impappinava, biascicava, sputazzava.
oggi vedo continuamente gente sicura di sé davanti alle telecamere, ai riflettori, al pubblico. io mi vergogno come un ladro se attorno a me c’è più di una persona a sentirmi. invece oggi, a parte quelli che uccidono il vicino di casa e poi vanno a mangiare la pizza e concedono interviste con una naturalezza da attori consumati, ecco, a parte questi, che non sono pochi, mi sembra di vedere sempre di più un mondo senza timidi.
mah.

insomma, heinrich von kleist ha scritto alcune delle opere più alte della letteratura di sempre. la marchesa di O.., pentesilea, il principe di homburg, michael kohlhaas, la brocca rotta, käthchen di heilbronn.
la caterinetta di heilbronn. un’opera magnifica.
kleist ha disegnato donne di una bellezza, di un coraggio e di una altezza incredibili. pentesilea, la marchesa di o..., la caterinetta.
käthchen è il personaggio femminile più delicato e commovente che abbia mai incontrato. non conosce l’inganno, l’artifizio, la furbizia. la sua arrendevolezza rompe ogni trama, ogni barriera.

la storia è questa: la ragazza entra nella bottega del padre, vede un cavaliere e immediatamente cade in deliquio. da quel momento la sua vita è legata per sempre a lui.

atto primo, scena prima.
siamo davanti a un tribunale, un tribunale segreto che si chiama Tribunale della Sacra Vehme.
siamo in una caverna.
un fabbro accusa un conte di avergli sedotto la figlia
il conte si difende e respinge le accuse
viene sentita caterina
ecco come entra in scena:

Käthchen (gira lo sguardo sulle assise e, appena visto il conte, piega un ginocchio avanti a lui): Signore mio!

il conte viene assolto.
perché caterina, dal primo momento in cui l’ha visto, segue il conte ovunque egli vada, perché gli si getta ai piedi, dichiarandosi la sua umile serva, devota fino alla morte?
è una storia di sogni, di visioni, di apparizioni.
è una storia di angeli, di figli illegittimi, di assedii, spade, fruste, fiamme, fumi, pozioni velenose, astucci, medagliette e fazzoletti.
e naturalmente è una storia d’amore.

sabato 15 settembre 2007

K-19

ci sono film che sono fatti per piacere ai critici. per esempio i film italiani, i film cosiddetti "indipendenti" (una parola completamente senza senso), i film dei registi ottuagenari.
questi film presentano infatti i requisiti cari allo scrittore: acrobazie sintattiche, significati inespressi, misteri narrativi, sovrumani silenzi.
ci sono film che invece hanno la disavventura di avere tutte le caratteristiche per soddisfare le brame censorie degli esperti del settore. megaproduzioni, buoni che vincono, trame rigorose.
un film del secondo tipo è K-19, di kathryn bigelow. un capolavoro.
l'ho appena rivisto per la quarta volta e per la quarta volta mi sono commosso.
la delicatezza dei miei sensi non è di per sé criterio universale, certo.
tuttavia, a parte una frase di troppo ("adesso è un eroe"), a me è sempre parso un film finito, vero, perfino scabro. la regola militare, il coraggio, l'amicizia virile, il sacrificio sono trattati con misura e senza retorica. retorico è, a mio avviso, chi scrive il contrario.
nel momento estremo non ci sono libri, né sciarpe, né spille.
c'è una scelta da fare. e quella giusta è una.
certo, è solo un film.

la realtà è questa.

silenzio.

giovedì 13 settembre 2007

shrek terzo e altro

ieri sera - evento straordinario - sono andato al cinema.
ho visto shrek terzo.
mi sono divertito da morire.

oggi invece ho visto in tivù i seguenti film
- dalla una alle tre di notte: ore 10 calma piatta, di philip noyce.
- dalle 3 di notte alle 5 di mattina: rivelazioni, di barry levinson
- dalle 9 alle 10.30 del mattino: ore 9 lezione di chimica, di mario mattoli.

il primo - lo rivedevo per la seconda volta - è un buon filmauro. dignitosamente prevedibile.
il secondo - lo rivedevo per la terza volta - è un film con un po' di bachi e di posticci, ma ottimo per la fascia oraria.
il terzo, per me nuovo, è bellissimo. e poi c'è alida valli.

martedì 11 settembre 2007

la giornata della memoria

anche io sento di dover dare il mio piccolo contributo

il questionario di proust

non solo da marzullo ancora non ci sono andato, ma neppure io donna mi ha ancora sottoposto il questionario. alla seconda di queste deplorevoli manchevolezze posso porre rimedio. me lo faccio da solo. e per di più, nella versione originale.
ogni blog dovrebbe averlo.


Il tratto principale del mio carattere
La fretta

La qualità che desidero in un uomo
La lealtà

La qualità che preferisco in una donna
Le tette

Quel che apprezzo di più nei miei amici
La generosità, la lealtà, la forza d’animo, la volontà di costruire

Il mio principale difetto
L’impulsività

La mia occupazione preferita
Struggermi, incolparmi, fare l’amore, fare il buffone, masturbarmi

Il mio sogno di felicità
Il sorriso di mio figlio

Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia
Perdere mio figlio

Quel che vorrei essere
Un amico, un marito, un padre, un avvocato, un uomo

Il paese dove vorrei vivere
Il paese in cui gli uomini abbiano smesso di inseguire dèi falsi e bugiardi, valori criminali, speranze ridicole

Il colore che preferisco
Il blu, in tutte le sue gradazioni

Il fiore che amo
Mi piacciono tutti (quelli che conosco)

L'uccello che preferisco
Mi piacciono tutti, in quanto volatili

I miei autori preferiti in prosa
Nabokov, Borges, Dostoevskij

I miei poeti preferiti
Virgilio, Dante, Lucrezio

I miei eroi nella finzione
Il mago Wiz, Sir Brandolph, Roger Thornhill

Le mie eroine preferite nella finzione
Adele H.

I miei compositori preferiti
Beethoven, Paul McCartney, John Lennon

I miei pittori preferiti
Nessuno. Con la pittura è in atto un conflitto irrisolto

I miei eroi nella vita reale
Chiunque salvi una vita

Le mie eroine nella storia
Gloria Swanson

I miei nomi preferiti
Anna, Maria, il nome di mio figlio.

Quel che detesto più di tutto
Utilizzare le disgrazie altrui per trarne beneficio

I personaggi storici che disprezzo di più
I personaggi storici non si possono disprezzare, per definizione

L'impresa militare che ammiro di più
Non ammiro imprese militari. La più straordinaria è certamente la conquista di mezza europa in un anno ad opera dell’esercito del terzo reich

La riforma che apprezzo di più
Quella dell’università, quando la faranno

Il dono di natura che vorrei avere
La calma e una statura più alta

Come vorrei morire
Subito dopo una possente eiaculazione

Stato attuale del mio animo
Ordinariamente ansioso

Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza
Quelle che siano conseguenza dell’ingenuità

Il mio motto
Pensi di essere un’eroe? Sei solo merda.

giovedì 6 settembre 2007

i mille

i mille hanno ragione.
svecchiare, pulire, rammendare. tutte ottime proposte, anche per chi non è di casa.
è il logo che mi rattrista.
francamente, non se ne può più della i minuscola.

mercoledì 5 settembre 2007

spigolature

oggi ho letto un post divertente e opportuno.
l’autore, mi sembra di capire, deve essere uno di quelli che contano, e di lungo corso. infatti è bravo. peccato che la fama porti sempre con sé qualche sgradevole strascico, come i commenti off topic, gli insulti tra i commentatori, i trollaggio selvaggio, il lazzo gratuito.
nel post, tra le altre cose, ho gradito la citazione all’antilingua. quindi linko ankio. il sito è interessante.
tra i commenti, merita dottor d.

outing

ieri mattina ero fermo all’incrocio tunisia/lazzaretto e avevo appena finito di parlare al telefono con un geometra quando due individui hanno attraversato la strada.
uno di loro era di una bellezza ammaliante.
più o meno la mia età, magro, scarmigliato, trascurato (il trascurato vero, non finto), impercettibilmente allegro, istintivamente disinvolto.
poteva essere straniero, forse slavo.
la prima cosa che ho pensato, palpitando, è stata immaginarmelo mentre si alza la mattina e si veste.
poi mi sono ricomposto, ho acceso la vespa e sono ripartito.

saw II

certo che bisogna essere dei deficienti per fare un film come saw II.
avrei dovuto immaginarlo, ma il primo saw aveva qualcosa di interessante.
così, ieri sera l’ho visto.
quella mammoletta del nanni nazionale se la prendeva con harry pioggia di sangue, che invece non è affatto un brutto film, anzi. saw II è invece un film pessimo. nefando, mefitico e banale. pieno di luoghi comuni (il poliziotto aggressivo con la mano al pistolone / il cattivo mite e sereno; i poliziotti ottusi / il cattivo intelligente; il cattivo coi messaggi, il cattivo col Messaggio, il cattivo moralista, il buono con la macchia, il finale lugubre, lo scontro generazionale, il team col bravo negro, la mignotta, il ragazzino, il forzuto, il viscido, la povera scema), traboccante di inutilità, ammiccante, ripetitivo.
mentre vediamo e ascoltiamo il cattivo che placidamente ci sussurra quant’è importante la vita, osserviamo quello che si spara nell’occhio, quella che si tuffa in un vascone colmo di siringhe sanguinose e infette, quello che si taglia via col coltellaccio un pezzo di collo, quella che infila le mani in mezzo ai vetri e vi rimane impigliata per sempre, quello che uccide il compagno a mazzate chiodate sul cranio, quello che entra nel forno e viene arso vivo e infine quello che sega la testa all’altro.
un filmone, insomma.
e quel che è peggio, siccome sono un vecchio trombone, è che mi immagino torme di ragazzini che si trovano la sera per rivederlo e apprezzarne le scene più violente, che ne parlano a scuola con eccitazione e che indossano la maglietta che sicuramente il merchandising avrà confezionato. tutte cose che mi rompono ancora di più i coglioni.

p.s. per ferzan. non ti preoccupare, le tue fate ignoranti restano saldamente al primo posto. inarrivabili.

lunedì 3 settembre 2007

la massa di perdizione

un paio d'anni fa ho acquistato presso la libreria "ritorno al reale" in milano il libro "ritorno al reale", di gustave thibon. la libreria è diretta emanazione dell'editore, che di persona la gestisce, che si chiama fabio de fina. il catalogo e il personaggio sono caldamente da consigliare a chiunque desideri conforto al proprio impulso antisemita. per altro versante, rappresentano bene quella ampia frazione del cattolicesimo oltranzista che raccoglie fondi per i bambini palestinesi e pubblica libelli al fiele contro la lobby ebraica.

thibon tuttavia, il filosofo-contadino, è di ben altra pasta. il libro è un po' spezzettato, quasi una sorta di raccolta di piccole orazioni, o lezioni, ma contiene pensieri non piccoli
(online è possibile leggerne la lunga introduzione, a cura di marco respinti).

in particolare, ricordo l'argomento intorno alla responsabilità.
nel post precedente, un mezzo pasticcio, non mi ci sono soffermato abbastanza.
l'argomento è il seguente: grande potere implica grande responsabilità (lo dice anche lo zio dell'uomo ragno mentre, saggiamente, muore).

ebbene, mi pare che tale massima non trovi grande applicazione, nel presente.
ricoprire una importante carica pubblica deve essere un peso, non un vantaggio.
essere magistrato, ufficiale di polizia, ministro, professore non è un beneficio, ma un pregiudizio.
solo chi ha la piena consapevolezza di ciò può aspirare a ricoprire alti uffici.
la vita del dirigente deve essere peggiore di quella del dipendente.
la vita del finanziere peggiore di quella del contribuente.
la vita del ministro un'odissea.
la vita del magistrato un incubo.

non si entra in magistratura per finire sui giornali e scrivere libri. non si entra in guardia di finanza per porre fine ai problemi col modello unico e alle cartelle esattoriali. non si fa politica per avere i privilegi. dico cose banalissime, ma la realtà, spaventosa, è che invece, qui, si fa proprio così.

la strada è lì, si può tornare indietro e intraprenderla.
altrimenti non resta che il (purtroppo) bellissimo finale preconizzato per noi da albert caraco, nel suo "breviario del caos". altro libro da comprare. cupissimo, colmo di disperazione, apocalittico, esiziale. piluccando in rete ho scoperto un blog omonimo. il suo autore è uno che pensa, mi sembra, bene.