domenica 26 ottobre 2008

4

sono un po' contrario alla proprietà di beni immobili.
quindi vivo in affitto, in una casa popolare (pagando un canone immane).

al piano sopra il mio vive un uomo sui 55. solo. si masturba clamorosamente, tutti i giorni. secondo alcuni gode a farsi sentire. ha allestito anche una specie di palestra in casa. così, quando non si masturba, si dà all'allenamento, e fa comunque un gran baccano. ogni tanto qualche brutta donna va a vivere da lui. sta qualche settimana, poi va via.
all'ultimo piano c'è una vecchia, gobba, con due figlie. alla prima, assai squinternata, hanno tolto i figli. non si fatica a crederlo. l'altra ha un'aria da battona. ma anche l'una.
al secondo piano vive una vecchia che guarda ossessivamente la posta di tutti. aspetta il postino fuori dal portone per vedere chi riceve cosa. puzza, non si lava.
al piano terra c'è una signora bisognosa d'affetto, abbandonata dai figli, che sfoga i suoi dolori in parrocchia. è troppo invadente. non la sopporta nessuno.
nella scala di fianco vive un ladro. è uscito con l'indulto. ruba moto giapponesi di grossa cilindrata, alla luce del sole. tutti sanno, nessuno parla, me compreso.
nell'appartamento che confina con il mio vive un uomo in pensione. ha i capelli bianchi e modi gentili. assomiglia al signor rossi di bruno bozzetto. una persona per bene. sua moglie vive a letto. è malata. si lamenta tutta la notte. ansima, geme. tutte le notti quest'uomo dorme di fianco a una moglie che soffre, costretta a letto. naturalmente lui si deve occupare di tutto. la spesa, la casa, tutto. non va in vacanza, non va in giro. a volte ci incontriamo sui rispettivi balconi. le solite chiacchiere di circostanza. il tempo, l'italia.

spesso faccio fatica a dormire tutta la notte. quando mi sveglio, a volte ascolto la moglie del mio vicino.

c'è un'ora della giornata che rappresenta il momento peggiore, il punto più basso.

sono le 4, e le 16.

le 4 e le 16 sono le porte dell'infimo.

in tutti i casi, è meglio essere svegli alle 3 o alle 5 che alle 4. le 4 sono il punto più profondo della notte, il più buio, il più doloroso, il più difficile.
allo stesso modo le 16 sono il momento più difficile del pomeriggio, quando tutto può ancora succedere, la giornata è ancora infinita, la sera è lontana, il riposo è lontano. nessuno lavora volentieri alle 16. chi meglio alle 14, chi meglio alle 18.

bisognerebbe studiarci su un po', su questa cosa delle 4.
forse è un'ora simbolica. l'ora più lunga, l'ora staccata.


p.s. mi sono accorto che ho scritto questo post proprio il giorno in cui torna l'ora solare. strano? non credo. il tempo è sempre più furbo di me.

aforisma

è bello vedere una coppia di ragazzi che si tengono per mano.

crudele non intervenire.

un sogno

mi ricordo il mio ultimo sogno.
ho un appuntamento con un uomo che non ho mai visto prima, in una città non nota, forse anche milano. penso all'appuntamento con ansia e pieno di aspettative. ammiro molto quest'uomo, infatti, guardo a lui come a un idolo, e non vedo quindi l'ora di incontrarlo.

lo incontro in mezzo alla strada. lui è a bordo di una mercedes nera decappottabile, lunghissima e lucidissima, un modello anni '50, quelle con quei radiatori giganteschi. con lui c'è la sua famiglia. moglie e due figlie, bionde. mi saluta rumorosamente.

resto sorpreso un po' da tutto. ma la sorpresa aumenta subito dopo, quando ci troviamo in un locale e lui si presenta. è vestito in modo orribilmente trasandato, ma ostenta una disinvoltura eccessiva, come se fosse a casa sua, solo, la domenica pomeriggio, davanti alla partita. ha una specie di felpa o maglia arrotolata malamente sulla vita, a mo' di cinta.
è a piedi nudi.
ci sediamo. la moglie non dice nulla. le figlie parlano una lingua straniera, mi pare inglese.

la conversazione è assurda. lui è spumeggiante, sicuro di sé, allegro e a suo agio. io sono deluso. mi aspettavo un ingegnere, un tetragono, un pensatore fine e posato. e mi trovo seduto su un cubo di velluto a guardare un guappo col ciuffo.

dopo un po' si congeda sorridendo. in un istante però decide di ricomporsi. ha indossato un completo grigio, molto fine.
sto cominciando ad apprezzarlo, quando mi sveglia il citofono.

venerdì 24 ottobre 2008

cavallacci

anche a me piace dicotomizzare, verbo caro a roberto vacca.

il mondo si può sempre dividere in due macrocategorie.
chi mangia carne e chi no, chi va a letto con le mutande sotto il pigiama e chi no, chi si lava il sedere dopo aver fatto la cacca e chi no, chi ascolta dischi di ligabue e chi no, e così via.

le mie preferite sono:
- chi mi rompe i coglioni e chi no
- chi ha le tette e chi no
- chi capisce le cose e chi no
- buoni e cattivi

si potrebbe dire che esiste anche la categoria di quelli che vanno al cinema perché vogliono trovare un mondo che non c'è, e di quelli che invece no.
la stessa cosa accade con la letteratura.
prendiamo, per esempio, il libro all the pretty horses, di cormac mc carthy, tradotto in italia con il titolo cavalli selvaggi, certo più intrigante di tutti i cavallucci.
il libro racconta la storia di un ragazzino di 17 anni che dopo la morte del nonno e la separazione dei genitori va a cercare il suo destino.
ebbene, questo ragazzino, nel volgere di pochi mesi compie le seguenti attività:

- scappa di casa col suo cavallo e vive nel deserto, nutrendosi di bestie ammazzate là per là
- doma, con suo cugino, sedici cavalli selvaggi in quattro giorni
- si fa assumere da un haciendado come acchiappatore e domatore
- discute a muso duro con cowboy di lungo corso, proprietari terrieri, carcerieri, vecchie signore e negozianti
- conosce la figlia del fattore, bellissima e inarrivabile, di cui si innamora perdutamente. fa l'amore con lei per dieci notti di seguito
- finisce in galera ingiustamente con l'accusa di furto di cavalli
- assiste impassibile all'omicidio di un tredicenne
- finisce nuovamente in galera
- prende un sacco di botte per giorni e giorni dagli aguzzini e dai carcerati, ma non parla
- uccide un uomo a coltellate
- esce di galera grazie ai soldi della zia della sua bella, che paga purché lui non la veda più
- attraversa il messico a piedi, a cavallo, in autostop
- torna da lei. si dicono che non possono stare insieme. lui l'accompagna alla stazione e la guarda uscire dalla sua vita per sempre, impassibile
- compra una pistola e minaccia un capitano di polizia di ridargli il cavallo che gli è stato ingiustamente sottratto. sequestra il capitano e lo ammanetta. recupera il suo e altri tre cavalli, sempre portandosi dietro l'ostaggio
- inseguito, si trova coinvolto in una sparatoria. viene ferito alla gamba.
- altra sparatoria
- per cauterizzare la ferita, mette la canna della pistola nel fuoco ardente e quindi, una volta incandescente, se la infila nella coscia, da parte a parte. poi versa l'acqua sulla ferita e quindi tranquillizza il cavallo, che aveva sentito raspare per terra
- viene minacciato dal capitano-ostaggio che aveva approfittato del momento di relativa difficoltà del protagonista per impossessarsi di un fucile. disarma prontamente l'ostaggio. il capitano ha una spalla lussata.
- infilando il piede sotto l'ascella del capitano, con abile mossa rotatoria gli rimette a posto l'articolazione.
- consegna il capitano ai messicani e prosegue alla volta del texas, sempre a cavallo.
- si presenta allo sceriffo della contea e racconta al giudice tutta la storia
- torna al paese. ritrova il cugino, al quale riconsegna il legittimo cavallo. gli dicono che suo padre è morto.
"l'avevo immaginato".

grazie, videobox

ieri, nel senso che per me è ancora oggi ma invece è ieri, come direbbe mogol, ho scritto un breve post sulle manifestazioni degli studenti e la reazione del governo. poi l'ho cancellato. mi sembrava stupido. resto dell'idea che gli studenti occupanti abbiano, come direbbe scalfaro "il cranio pieno di aria", e resto dell'idea che il premier abbia lo straordinario dono di non riuscire a non parlare. così, a questo punto, ho praticamente riscritto quello che avevo scritto e poi cancellato.
mentre invece volevo parlare dei led zeppelin.

allora. una volta, tanti anni fa, in una galassia lontana lontana, esisteva una cosa che si chiamava videobox. era una cabina piazzata in alcune città (a milano era in galleria) in cui chiunque volesse poteva registrare un suo messaggio audio-video di breve durata. qualunque cosa. poi qualcuno sceglieva i migliori e li trasmetteva sulla raitre.

un giorno vidi un messaggio di due ragazzi che dicevano: noi vorremmo parlare di quello che secondo noi è stato, dopo i beatles, il più grande gruppo di tutti i tempi: i led zeppelin.

restai annichilato. ma come, due zarri che riconoscono i beatles come i più grandi e che ci piazzano dietro i led zeppelin? ma chi sono? non li avevo mai sentiti.
così il giorno appresso mi recai da buscemi, negozio di corso magenta, e acquistai led zeppelin, il primo album dei led zeppelin. i primi dieci secondi della prima canzone del primo album sono una delle dichiarazioni d'intenti più potenti della storia.

e la storia continua. il giorno 30 gennaio io e i miei compagni di ventura suoneremo, a dio piacendo, in un locale a milano. sarà un led zeppelin tribute. solo pezzi dei led. un'oretta o poco più.

passo quindi a presentare il gruppo.

il cantante è bravo ma intimidito
il batterista è un tamarro
il chitarrista è un fighetta con la sindrome da prima donna
il bassista, che sono io, è tignosetto e sfigato.

allo stato ci sono ancora molte opzioni sul tappeto, ma non è escluso che si attacchi con good times bad times.

cheerio.

martedì 21 ottobre 2008

il maestro

l'altra sera stavo saltabeccando da un canale all'altro, senza pace, quando mi sono imbattuto in un programma condotto da carlo conti. carlo conti è un altro dei tanti supermiracolati d'italia, e non ne parliamo più. a un certo punto il conduttore annuncia un grande ospite: amedeo minghi.
e subito scattano le lodi sperticate e il ripetersi di un appellativo un poco strano: "maestro".
maestro qui, maestro là, prego maestro, si accomodi maestro.
maestro? amedeo minghi?
io non ho mai sentito nessuno in vita mia dire "il mio cantante preferito è amedeo minghi", ma neppure "che bella questa canzone di amedeo minghi", e nemmeno "ho appena comprato l'ultimo lp di amedeo minghi", e neppure "però, simpatico quel minghi".
non ho mai visto nessuno comprare un disco di minghi, o ascoltare un disco di minghi, o parlare bene di un disco di minghi. mai.
secondo me nessuno ha mai comprato un disco di minghi. i dischi di minghi non esistono. esiste uno che viene pagato per fare delle ospitate in orride trasmissioni televisive e suonare orribili canzoni che nessuno mai riascolterà.
e infatti il minghi si è messo al pianoforte e ha suonato due pezzi di sconfortante bruttezza.
che cosa dire?
sarà per via del fatto che se la tira, che si dà arie da maestro, per il codino paglia e fieno, per la posa decadente, la palpebra cadente, la voce suadente, il bianco dente.
maestro.
ora, a parte che maestro, a casa mia, si chiama gente come von karajan, szell, muti o furtwangler, a parte questo, a me pare di ricordare che il signor minghi sia conosciuto in italia per una sola cosa. per una canzone cantata in coppia con la cantante mietta. la canzone è vattene amore, meglio nota come "trottolino amoroso".

trottolino amoroso.

e invece, maestro.

oibò, che sia maestro elementare?

il progresso

a me sembra di un'evidenza cristallina e terribile.
la condizione attuale, checché ne scrivessero trent'anni fa - ma con ben altre ambizioni - è quella della morte del senso.
nondimeno per qualcuno è il migliore dei mondi possibili, ciò che mi sembra, prima ancora che una sconfitta, il pensiero iniziale dell'insetto.
mi arrendo alla logica del nulla, ovvero della necessarietà del tutto.

Il problema del bene e del male resta, per coloro che cercano in buona fede di chiarirlo, un caos insondabile; per coloro che amano disputare è un gioco intellettuale: sono dei forzati che giocano con le loro catene. Quanto alle persone del volgo, che non pensano, esse sono abbastanza simili a quei pesci che vengon fatti passare da un fiume in un vivaio: non sospettano di trovarsi là soltanto per esser mangiati in quaresima. Così noi, con le nostre sole forze, nulla sappiamo intorno alle cause del nostro destino. Mettiamo dunque alla fine di quasi tutti i capitoli della nostra metafisica le due lettere dei giudici romani, quando non riuscivano a intendere una causa: N. L.,non liquet”, la cosa non è chiara.

(E. Chiari, Voltaire e il concetto di filosofia nel pensiero moderno)

sarebbe meglio così, alla fine: che la cosa non fosse chiara, che non si potesse vedere, ma che ci fosse. meglio questa ipotesi di quella in cui non ci fosse nulla da chiarire, da vedere, da capire.

(la nona di beethoven è, a ben vedere, spazzatura; shakespeare è in ultima analisi palloso, fontana è senza dubbio un grande artista, il machu picchu decisamente da evitare).

tuttavia, è così: tutta la verità sta nella negazione dell'esistenza della verità.

il mondo che sarà dei nostri figli è già oggi troppo lontano da noi, che crediamo ancora esista il bello, il buono, il giusto.

idioti, cercheremo ancora di trovare il senso delle cose
e una scarpata, meritatamente, ci seppellirà.

triste destino

i brasiliani sono come i delfini.
obbligati alla simpatia.

lunedì 20 ottobre 2008

la castagna non ha segreti per l'ometto

chissà se ti ricorderai di quel giorno che salimmo sopra fornazzo, nel parco dell'etna, e ci fermammo presto perché si scatenò il temporale, e mangiammo in macchina panini con la salsiccia comprati a zafferana. perché io me lo ricorderò, forse per non essere solo, che trovasti tante castagne e le mettesti nel tuo sacchettino ed eri felice e orgoglioso di te. e poi i funghi che crescevano sotto i nostri occhi in quei minuti. e le foglie, le meravigliose foglie. e quanti ricci appena caduti dagli alberi! quanti colori! l'autunno, la stagione mia e tua, ha un colore solo, eppure infiniti. ti ricorderai di quando scesero le nuvole, la nebbia, e ci avvolsero in quel bosco "castagnoso" e ci fermammo presso un dirupo, nel silenzio umido e lento, e tu eri stupefatto da tanta bellezza. c'è una foto, c'era, da qualche parte. tu avevi un giubbottino rosso e sembravi, eri, il padrone del mondo. era il diciotto ottobre del duemilaotto.

mercoledì 15 ottobre 2008

all'inferno, per i secoli dei secoli

decisamente i devoti atei sono molto peggio dei credenti.

la legge non punisce chi commette il reato in stato d'incapacità, mentre punisce, giustamente, l'actio libera in causa.

così come il volenteroso carnefice è più colpevole del povero invasato.
così come il reverendo jim jones o l. ron hubbard sono esseri umani peggiori dei loro adepti.

ma anche da un altro punto di vista, a stretto rigore, dal momento che questi sanno bene quello che fanno, non saranno perdonati (Lc 23, 34).

voglio dire, se mai ci dovesse essere, il Big Boss non si fa certo fregare da quattro pellegrini.

lunedì 13 ottobre 2008

il buio tutto il giorno

che paese è un paese in cui non si ha il diritto di morire?

sabato 11 ottobre 2008

ieri

dalle tre alle cinque del mattino sono sveglio, a letto, e penso con ansia alla sorte di un preliminare di compravendita. dal momento che i clienti rischiano di perdere una forte somma, non so decidermi intorno alla strategia da seguire.
mi sveglio molto tardi. accendo il telefono. qualcuno, come sempre, mi ha già cercato. fisso un appuntamento in studio per le 11.
non sto bene. varie vicende mi causano parecchio nervosismo.
come ogni mattina da vent'anni a questa parte, non faccio colazione.
arrivo in studio in ritardo. ricevo il cliente. mi faccio dare del denaro, col quale saldo, in ritardo, i collaboratori.
torno a pensare al preliminare. alla fine risolvo di mandare una diffida. con molta, molta inquietudine invio mail al cliente in cui consiglio il da farsi.
chiudo la mattinata facendo varie telefonate.

non pranzo. non ho alcuna fame.

alle 14 arriva un amico, che deve vedere alle 15 la mia collega di studio, alla quale l'ho girato per una separazione consensuale pesantissima (la moglie non gli lascia sentire né vedere i figli). sto con lui e poi con la collega fino alle 15.30 e discuto in ordine all'inadempimento degli impegni presi con la sottoscrizione del verbale.
do disposizioni ai ragazzi e vado a fare le mie consulenze fuori sede.
ricevo una giovane signora, dai capelli rossi e radi, che correttamente indovino impiegata in ambito farmaceutico. ricevo un tipografo.

digressione: i tipografi sono il gradino più basso della scala evolutiva dell'uomo. non esiste nessun tipografo che sia in grado di adempiere correttamente all'incarico ricevuto. il tipografo sbaglia sempre. quando corregge l'errore, ne commette un altro dove prima non c'era. l'incontro con un tipografo è un'esperienza straniante, una comunicazione con un mondo diverso, un mondo che non è più, o che certamente non è qui.

ricevo il tipografo. socio nuovo, devo trattarlo bene. le sue lamentele si indirizzano, guarda un po', verso l'amministratore del condominio, colpevole di lasciare troppo potere alla portiera.

digressione n.2: i portieri, si sa, partono in sordina, poi piano piano prendono piede e poi si impadroniscono del palazzo, seminando il terrore, dettando legge e regnando sovrani incontrastati per anni e anni, finché morte non li stronchi.

il tipografo è completamente pazzo. è alto, indossa un giubbotto da moto. porta gli occhiali. mi rammostra almeno una ventina di raccomandate recapitate da lui stesso nelle mani dell'amministratore, che egli definisce uno "strafalcione". il tipografo sa quello che dice.
dopo tre quarti d'ora di colloquio riesco a liberarmene. ma lo vedrò ancora lunedì.
varie telefonate.

comincio a essere stanco. non mangio un atomo di cibo dalla sera prima.

ore 18: mi preparo per la riunione delle 18.30, fissata con i promissari acquirenti di box e immobili da una società poi fallita.
18.20: sono al telefono. sull'altra linea la praticante dallo studio mi dice che ha urgenza di parlarmi. finisco la telefonata e la chiamo. abbiamo un problema. in una causa importante il nostro consulente non ha ancora trasmesso al CTU la sua relazione. il termine scade il 10 ottobre.
18.30: mi mandano la relazione via mail. la leggo sul blackberry. la relazione è impresentabile. la correggo al telefono con la dottoressa e la prego di intervenire presso il CTP perché sia lui a modificarla. vengo a sapere che non l'ha nemmeno scritta lui.
19.00: chiamo il CTU, sperando di trovarlo ancora in studio. risponde. gli spiego, mentendo, che il mio CT di parte ha avuto problemi col pc e dico che la relazione gli verrà recapitata lunedì, invocando la sua clemenza. il CTU accondiscende. richiamo la dottoressa e le dico di strigliare il consulente.
19.30 finisco la riunione. chiudo la baracca. torno in studio. telefono a mio figlio, che piange perché sente i rumori. i miei tentativi di riportare la calma vanno a vuoto.
altre telefonate. chiudo anche lo studio. alle 20.06 sono in macchina.

20.27: arrivo sotto casa. suona il telefonino: numero sconosciuto. rispondo. "buonasera qui è la eurisko, chiamo per una indagine di mercato".

appendo, irato, sparando due sillabe incomprensibili, con vago senso di colpa.

venerdì 3 ottobre 2008

a day in the life

avevamo la pancia piena e due bottiglie di liquore che mi susciteranno sempre tenerezza.
c'era il vento fresco. e dall'alto si vedeva la strada tutta curve. e il mare, naturalmente, e le case basse, e bianche, del litorale lungo lungo. i colori erano il grigio, soprattutto il grigio, il viola e il beige.
c'era una chiesa, che poi seppi famosa, e che ricorderò per quanto vi lessi. e gruppi di turisti stranieri, dietro le guide. e mio figlio che diceva hello e bye bye e loro che rispondevano, sorridendo. e lui che voleva andare su al castello, seduto sulle mie spalle.
restammo per un po' a perdere tempo, a fare avanti e indietro, indeciso il padre sul come e sul quando. prendemmo delle rose bianche dagli addobbi di un matrimonio. ma il profumo era per le strade, tra le case, cresciute, discrete, come boccioli spontanei.
non si poteva non guardare lontano, e restare senza respiro, senza pensiero.
una signora rompeva con un sasso gusci di mandorla. quando le fummo accanto ci fermò e ci riempì i pugni. salimmo i gradini e arrivammo alle rovine. c'era un fico d'india, c'era un lucchetto che impediva di proseguire. eravamo almeno a quota 500 metri, dissi.
quindi me lo presi su, e scendemmo.