mercoledì 18 novembre 2009

fotografie

sono fotografie.
la fotografia, con la quale l’uomo riesce finalmente a cogliere, a capire se stesso, è gesto ad un tempo sublime e lugubre.
il cinema è barbaro, a questa stregua, perché si prende gioco di noi e della persistenza retinica.

essere, sappiamo, è stare fuori dal tempo.
ciò che è, è.
ma anche noi, anche noi siamo coloro che siamo.
anche noi.

l'essere è ingenerato e imperituro, tutto intero, unico, immobile e senza fine
(Parmenide, Sulla natura, 28, 8)

le forme dell’arte, per esempio.

sembra essere un passo, una progressione, una novità, una scoperta, una invenzione, un concetto, un guizzo.
non è nulla di tutto questo.
non esiste l’idea, non esiste il nuovo.
è una fotografia.
un uomo dipinse una madonna con bambino, un altro una battaglia, un altro ancora una chiesa e un santo. un altro uomo spruzzò vernice a terra, un altro dipinse una scatola di legumi.

non fu “un” uomo a inventare il fuoco, o la ruota, o la macchina a vapore, o il telegrafo.
né alcuno inventò la teoria della relatività.
essa è sempre esistita, come il fuoco, la ruota, la madonna col bambino e la zuppa di legumi. e il resto che saremo costretti a vedere.

dalla prigione dell’esistenza, qui, ora, in ogni tempo e in ogni luogo, sfugge solo ciò che non può essere fotografato.
la divina commedia, la nona sinfonia non appartengono al regno dell’arte, dell’assoluto, del sublime.
non appartengono all’uomo, condannato all’eternità, ma alla memoria.
esse non sono, muoiono.

per questo noi, poveri immortali, le amiamo.

mercoledì 28 ottobre 2009

natale a new york in compagnia dell'anello

l’altra sera ho visto il film natale a new york.
prodotto da aurelio de laurentiis, uomo raffinatissimo, diretto da neri parenti, scritto da neri parenti, fausto brizzi, marco martani, alessandro bencivenni, domenico saverni. un team di scrittori.
l’ho visto tutto.

ne racconto volentieri un breve e gustosissimo brano

il personaggio interpretato da fabio de luigi, un medico incline alla sottomissione (vessato è il suo cognome, senz’altro appropriato), si deve sposare, a new york, con un’americana legnosa, à la sex & the city.
due sere prima del matrimonio egli deve portare il regalo di natale al nipote del suo capo, che vive a new york e ha fama di studente universitario modello.
il nipote, si scopre invece presto, è un orgoglioso fannullone e trascina il nostro eroe a una festa in cui si beve, si fuma e si fa l’amore. qui il nostro fa la conoscenza di una cheerleader e ci finisce misteriosamente a letto.
la mattina dopo deve andare dai promessi suoceri a mostrare le fedi ma una delle due (quella per lei) non c’è più.
la ragazza, furba, se l’è portata via. bisogna assolutamente recuperarla.
scopre che la cheerleader è fidanzata con un cestista negro, grosso e iracondo, il quale indossa proprio quell’anello al mignolo, evidentemente regalatogli poco prima dalla fidanzata, forse per rabbonirlo. il cestista è in palestra e i tentativi di avvicinarlo finiscono presto a botte.
dopo l’allenamento, il negro va a fare la doccia. si sfila l’anello e lo appoggia sul portasapone.
il nipote del nostro, agile e di corporatura minuta, a quel punto si infila con destrezza nel bagno scivolando sotto la porta e si colloca alle spalle del negro il quale, ben insaponato anche sul volto, non si accorge di nulla.
purtroppo nell’eseguire la manovra il nipote finisce col premere con la parte terminale della schiena il rubinetto miscelatore dell’acqua, che quindi smette di scorrere.
il negro, assai seccato per l’inconveniente e ancora ottenebrato dal sapone, cerca con la mano il miscelatore, ma trova il pene del nipote, che ad ogni buon conto brandisce con vigore e comincia a muovere in alto e in basso, convinto con tutta evidenza che si tratti di altro strumento, nella speranza che torni l’acqua.
l’acqua in effetti torna, poiché il nipote ritiene di azionare personalmente il miscelatore.
dopo di che questi con svelta mossa recupera l’anello, poi sgattaiola sotto la porta della doccia, inseguito però a quel punto dal negro e da altri suoi pari che lo hanno scoperto.
non lo acchiapperanno, perché giusto fuori dalla palestra c’è il nostro che lo aspetta in automobile col motore acceso e lo porta in salvo.

purtroppo sorgono altre complicazioni.

il nipote ha a sua volta indossato l’anello, e nonostante le sue dita siano ben più tenere di quelle dell’atleta di colore, non si riesce più a toglierglielo.
mille sforzi sembrano vani, finché un robusto strattone del nostro strappa sì l’anello dal dito del nipote, ma, complice la velocità del movimento e la momentanea perdita di contatto tra mano e oggetto, lo scaglia nella gola di un amico di questi, compagno di scorribande, che coadiuvava nell’operazione.
l’unica soluzione, non c’è dubbio, è espellerlo dal retto.
l’amico viene costretto a bere liquidi lassativi, finché, dopo diverso tempo, comincia a percepire un certo stimolo a livello intestinale.
si reca quindi d’urgenza in un giardino, dove provvede a defecare abbondantemente e con piacere.
il problema a questo punto diventa quello di tergere il sedere e tutta la zona perianale, verosimilmente interessata dalla presenza di ampio materiale fecale di consistenza anche non troppo solida, attesa la qualità e la quantità delle bevande ingerite prima della deiezione.
il fogliame presente negli immediati dintorni, soppesatane la consistenza, non appare utile alla bisogna.
la fortuna assiste il personaggio, presentandogli un cane, un barboncino dal pelo morbido e immacolato, tesoro della promessa suocera, il quale stava gironzolando per quei luoghi in beata impertinenza.
il personaggio è dunque lieto di potersi nettare il posteriore con il barboncino, per tutta la sua lunghezza.
il barboncino, dopo essersi sottoposto all’intervento, farà ritorno in casa tra le braccia della padrona, la quale lo accoglierà non senza provare sorpreso fastidio per il forte lezzo.
la cinepresa mostra la schiena del cagnolino, la quale presenta una decisa striatura longitudinale di colore marrone scuro.
dell’anello non sapremo altro.

martedì 20 ottobre 2009

matematica elementare

la somma di me stesso più qualsiasi altra cosa dà come risultato l'altra cosa.

venerdì 16 ottobre 2009

sono raffreddato

giovedì 8 ottobre 2009

pazzaglione

mercoledì 7 ottobre 2009

che cazzo vuoi che me ne freghi di una marmotta

uno che vende kakà e compra huntelaar, non c'è lodo che tenga.

che venga il compagno gheddafi, e anche presto.

mercoledì 30 settembre 2009

stracult - o la filosofia perenne

"Dio mi conceda la serenità di accettare
le cose che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare quelle che posso,
e la saggezza di comprendere sempre
la differenza."


Questa bella invocazione (stralcio) che ho trovato nel bellissimo, struggente Mattatoio n. 5, il quale finalmente ho letto dopo anni in cui ci siamo annusati senza unirci, l'ho vista attribuire a:

Pastore Friedrich Cristoph (senza cognome)- 1782
Tommaso Moro
Reinhold Niebuhr
Michael J. Fox (non scherzo)
Sant'Agostino
I Cherokee (famosa preghiera indiana)
e appunto Kurt Vonnegut stesso.


In effetti, con estrema probabilità, la preghiera è stata effettivamente scritta da un pastore riformista, da un capo indiano, da un cinese del XII secolo, da un eretico, da un attore americano malato di parkinson, da uno studente brufoloso, da un mistico, da un odontoiatra...
Aldous Huxley la chiamò la filosofia perenne. Altri parlarono di immanenza.
La spiegazione è che l'uomo è trascendente e Dio immanente.


Detta preghiera compare come biglietto da visita di numerosi frequentatori abituali di forum, alla stregua di vasco rossi o friedrich nietzsche.
Rossi, Nice e la preghiera appartengono di fatto allo stesso mondo, suscitano le stesse emozioni, sono perfettamente fungibili.

Io posso solo stare zitto.
Qualche anno fa ho pianto perfino rivedendo per la milionesima volta il gol di tardelli nella finale del 1982. E a me della nazionale non me ne frega un cazzo.

sono una creatura

Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo


Giuseppe Ungaretti
Valloncello di Cima Quattro, il 5 agosto 1916


lunedì 28 settembre 2009

polpette sotterranee che volano

a questo punto, manca solo il quotidiano diretto da danielina, avec l'article captivant de mr. rocco.

sorry, ma sono sempre più d'accordo col dalemone.

giovedì 24 settembre 2009

42

domani alle 19 inizia il mio 43° anno di esistenza in vita.
43 anni fa questi extraterrestri licenziavano il più grande album di tutti i tempi.

martedì 22 settembre 2009

un kebab, senza insalata, per favore

un regista émigré di scarso talento si è accorto dello spaventoso progressivo degrado culturale del nostro paese.
una persona un po' famosa il cui consiglio stimo mi ha detto qualche tempo fa che sex and the city e i soprano sono da includersi a pieno diritto nel canone occidentale.
ciò nonostante, sono d'accordo. è l'onda lunga del '68.
ho scoperto l'esistenza dei neuroni specchio. confortante, alla fin fine.
un tale a me sconosciuto ha sostenuto che la fortuna del modesto libro "la solitudine dei numeri primi" sia dovuta positivamente alla seconda parola del titolo.
brillante. temo non abbia torto.

a volte capita di restare in studio fino a tardi, e perfino di dormirci, ma non per lavorare.
in studio c'è la mia chitarra eko fatta in cina. è di scarsissimo valore ma il suono è molto pulito e accogliente.
nel palazzo sono tutti uffici, quindi dopo le nove non c'è più nessuno, e io posso anche sentire i beatles (remastered 2009) via youtube a volume alto con la finestra aperta.

magari ti compri un kebab
poi prima delle nove vai al supermercato e recuperi kinder, galak, togo classic latte, gardena e girelle.
poi, mentre guidi, ti capita di incappare in heart of glass alla radio
e per quattro secondi sei felice.

giovedì 17 settembre 2009

non ti sveglierai.
continuerai a soffrire, e a far soffrire.
e non riuscirai a porvi fine.

mercoledì 26 agosto 2009

ho il pallino delle stelle

l'altro giorno mi sono fissato di impartire la prima lezione di astronomia all'ometto.

dunque vedi, quella azzurra è la terra. poi c'è venere, marte...


poi c'è giove, che è più cicciottello.


ecco, il sole invece,


ma guarda arcturus.


e antares.


potremmo proseguire all'infinito. antares, in tutta la sua rotondità, non è che un granello di sabbia (avrei potuto dire: se preferisci, il granello di sabbia della spiaggia è come antares. ma avrei complicato ulteriormente le cose, e poi ci sarebbe mancata solo una acuta disquisizione sulla produzione di bertrand russell).

e questo è tutto, più o meno.

al che, vista la manifesta incapacità del docente, l'ometto si è allontanato in direzione del nintendo ds.

altolà al sudore

ma sì, sam mendes ha ragione, non c'è niente di più bello di un sacchetto spinto qui e là da refoli di vento. ha ragione senza aver capito un cazzo. che è come dire che ha ragione il papa, oppure, se vogliamo fare i fighi, plinio il vecchio, nella famosa citazione di borges.
anche io, l'altro giorno, qui sul terrazzo, con uno dei sacchetti totalmente biodegradabili e compostabili dell'auchan. l'ho legato a una fettuccia e l'ho guardato volteggiare per un sacco di tempo.
tuttavia è sempre questione di facce.
non conta più il come, né il chi.
l'hanno capito i cervelloni, che fanno indossare a tutti 'sti occhiali da sole.
il genio di carpenter: essi vivono. occhiali da sole.
nasconditi.
anche perché volare, non vola nessuno.
a meno che non si abbia il mare dentro.
e poi la scena della frittata in big night, un film meraviglioso.
fottuti dentisti.

mercoledì 5 agosto 2009

di sassi e stelle

ero solo, deliberatamente e stupidamente.
seduto su un muretto basso e stretto, le spalle a un edificio ove si trova un'elegante associazione che aiuta i poveri. pensavo che avrei potuto passare la notte lì, avendone il coraggio. ma il coraggio, io lo so, mi manca sempre.
c'era vento.
quando il cielo è pulito e non devastato dalla luce artificiale, che è ovunque, è bello guardarlo.

l'unica cosa che siamo stati capaci di fare con le stelle è dare loro un nome. ciò che dà la dimensione e la risposta a tutte le cose.
la risposta non c'è, e non ci sarà mai. questo dicono le stelle a noi, dal giorno in cui siamo comparsi, in un modo o in un altro, su questo pianeta.
per questo continuo a guardarle. per avere la certezza di non avere la risposta.
sono rimasto con gli occhi in alto. ho fatto le mie solite congetture senza senso, mi sono commosso, poi mi sono inquietato, poi ho capito cosa dovevo fare.

ho guardato per terra.
per terra.
il pavimento era di mattoncini autobloccanti. questi. tra un mattoncino e l'altro, nella cosiddetta fuga, ho visto un sassolino. ho cercato di estrarlo con la mano ma non ci sono riuscito. sono rimasto a guardarlo per un bel po', una mezzoretta. poi ho cercato di estirparlo con il tacco della scarpa, anche qui senza successo. mi sono fermato un altro po', un'altra mezz'ora. poco lontano dai miei piedi c'era un altro sasso sul pavimento, libero da costrizioni. un sasso qualunque. ho usato lui. in poche mosse ho scalzato il sassolino. era un poco più grande di quanto pensassi. me lo sono rigirato nella mano, osservandolo attentamente. e poi me lo sono messo in tasca.

vorrei conservarlo per sempre.

eccolo qui.

mercoledì 10 giugno 2009




mercoledì 27 maggio 2009

4 maggio 2009

Solo guardare le nuvole bianche, immense, sotto di me

Solo sentire l'odore di mio figlio, nella stanza vuota

Come le alte nuvole lasciano gigantesche ombre sulla terra,
così tu, dentro di me.

lunedì 6 aprile 2009

mia madre

una quindicina di anni fa, durante una partita di calcio, a seguito di un tackle piuttosto ruvido, caddi a terra sbattendo il cranio.
in pochi secondi mi si formò sulla tempia una enorme palla piena di sangue.
feci la doccia e andai a casa (vivevo coi miei).
mi aprì la porta mia madre. mi sedetti a tavola. mangiai.
mia madre non si accorse di nulla finché non le dissi "mamma, hai visto cosa mi sono fatto in testa?".

un paio di mesi fa mi sono preso una specie di influenza.
mia madre mi ha chiamato per sapere come stessi.
le ho risposto bene, mamma, non ti preoccupare, solo un po' di tosse e raffreddore
"bene, allora ti faccio tanti auguri".

tanti auguri.

ho perso quattro chili e rotti di peso nell'ultimo mese. la circostanza è piuttosto evidente.
ieri sera sono andato a casa dei miei.
mia madre mi ha guardato e mi ha detto "ti vedo ingrassato".

ecco, questa è mia madre.


p.s. non paga, dopo un po' mi ha detto:"hai comprato il libro di quell'avvocato, studio illegale?"

ormai non so più se farle una carezza o darle una botta in testa.

domenica 5 aprile 2009

chi

ti piace essere pressato dagli eventi, spinto dalle circostanze.
ti piace l'ansia buona, la fretta cui non vuoi rinunciare, il sangue che pulsa, la corrente dentro il corpo.

e ti piace riflettere, pensare, analizzare, trovare risposte.
ti piace indagare, osservare.

fai un gran parlare.
ti piace comunicare, sempre e comunque, ascoltare, far entrare i pensieri dentro lo stomaco, il fegato.

ti piace correre, muoverti, andare, uscire, partire, dire, fare, costruire.

finché ti trovi a non sapere più niente, a non capire dove sei, chi sei, chi sono tutti, e sentire tanto freddo.

sabato 28 marzo 2009

il maestro /2

mentre scrivo, la rai uno trasmette un concerto del Maestro dall'auditorium di roma.
con tanto di orchestra, ospiti a sorpresa, tenori, trottolino e lino banfi.

ecco, l'orchestra. ma dico, uno si cucca dieci anni di conservatorio per poi andare a suonare le canzoni del maestro? per questi musicisti confesso di provare un sentimento a metà tra la pietà e il disprezzo.

me lo sono sciroppato per un po' senza grandi slanci, poi, improvvisamente, l'ho capito, il maestro.
il Maestro possiede la caratteristica principale dell'uomo di successo.
è un uomo dalla splendida, inarrivabile, disarmante mediocrità.

e poi è un uomo senza vergogna.
se da un lato egli è davvero convinto del suo talento di autore, cantante, musicista; se è davvero convinto del compiacimento del pubblico, da un altro la sua enfietà è buona perché magnificamente inconsapevole.

il Maestro è uno che non ha paura di nessuno. non ha paura di nessun palcoscenico, di nessun pubblico, di nessun appuntamento. non ha paura di essere stonato, ridicolo, assurdo. non ha paura di se stesso. non ha paura di essere una parodia vivente. non ha paura di esibirsi davanti a grandi e piccini, giovani e vecchi, piazze e teatri. un uomo universale. un uomo totale.

alla fine, non si può non amarlo.

venerdì 27 marzo 2009

ibrahimovic ignora parmenide

oggi ho detto all'amico e collega w.b. (ognuno l'avrà detto a un suo amico) che l'inter, se improvvisamente morisse zlatan ibrahimovic, il simpatico giocatore, perderebbe lo scudetto.
w.b. era d'accordo.
allora ci siamo immaginati il giocatore steso sul più classico dei letti d'ospedale, con la consueta cannetta nel naso, ormai spacciato e destinato a sicura dipartita.

poi ho pensato che ibrahimovic è già nel letto d'ospedale, con tutto il contorno, solo che lui ancora non lo sa.
è il tempo, la fregatura.
ha ragione parmenide.
esiste già ibrahimovic steso sul letto.
e come lui, tutti noi.

mercoledì 18 marzo 2009

il papa

il papa è un coglione.

lunedì 9 marzo 2009

apologo

ero stanco. me ne andai al parco. quando mi sento male, devo vedere il verde. ci vado in macchina. parcheggio al limitare dei giardini. a volte resto seduto dentro, mi basta guardare. altre volte esco, faccio qualche passo, cerco pace. dopo un po', sto sempre meglio.

quel giorno c'era un uomo anziano seduto su una panchina. notai che mi somigliava. nella posa, nei tratti.
non faceva niente. non aveva cani, non pasturava animali, non leggeva il giornale.
mi avvicinai, senza motivo. mi sentivo misteriosamente invitato.
mi fece cenno di sedermi accanto a lui.
cercai di dire qualcosa, forse sul tempo. lui non rispose.
stette in silenzio per un paio di minuti, poi parlò. anche la voce mi ricordava la mia.

io vengo qui tutti i giorni.
lo vedi quell'uccellino, laggiù?
è per lui che sono qui. per vedere lui.

lui viene qui ogni tanto. da tanti anni.
mi conosce, mi conosce bene. qualche volta mi si avvicina, mi fa qualche confidenza, sta un po' con me, canta per me. è sempre felice.
io arrivo e lo aspetto.
è l'amore della mia vita.

l'america

Black girl, black girl, don't lie to me
Where did you stay last night?
I stayed in the pines where the sun never shines
And shivered when the cold wind blows

dicono nata nei primi del ventesimo secolo. forse tra gli schiavi. forse prima.
nel 1970 ne inventariarono 160 versioni.

pura, magnifica tristezza che promana da un bosco, da un brivido, da tre note, da un cuore spezzato, dall'ombra, dalla lentezza, dalla solitudine, dall'attesa.
e immancabilmente dai tre quarti, a me sempre oscuri, come tutti i misteri che sottendono le forme musicali.

being there

oggi, parafrasando chance giardiniere, o una storia zen, ho sostenuto che ci sono tre modi di leggere, a prescindere dal livello di istruzione.

il primo è la lettura passiva.
come guardare la televisione. si possono leggere in questo modo l'opera di dostoevskij come la guida programmi tv. non è esclusa l'emozione.

il secondo è leggere per capire quello che si legge. è prevista la concentrazione.

il terzo è quello giusto, che conoscono in pochi.

domenica 8 marzo 2009

into the wild

come sognano di morire le persone?
nel sonno, o ammazzate, o cadendo da altezze infinite.

si muore anche guardando il sole tra le nuvole, in un bosco, soli, dopo aver capito tutto.
into the wild, di sean penn.

sean penn è bravo di una bravura un po' antipatica, didascalica.
il film è bellissimo, soprattutto al di là della storia, vera, e della sua realizzazione.
il ragazzino ventenne "con la testa sulle spalle" è fin troppo maturo (dispensa consigli di vita un po' a tutti quanti, si permette di disdegnare le attenzioni di una sedicenne). non mi è piaciuto l'attore protagonista, emile hirsch. sarà questione di faccia. non mi è sembrata all'altezza la sceneggiatura. per dirne una:"se vuoi una cosa, prendila" si poteva evitare. rovina non poco la delicata costruzione.

anche qui il coraggio, il cammino, come in quel capolavoro immenso che è the straight story, di david lynch.

qui il merito è ricordare che nessuna esperienza equivale a un bosco, a un torrente, a una cascata, a una montagna. nessuna degna esistenza può essere lontana dalla natura, da thoreau a tolstoj.

il ragazzo uccide un'alce ma non riesce a conservarne la carne. è la sua più grande tragedia.

nota:
il problema dei vegetariani è che pensano di essere più evoluti dei non vegetariani in quanto non ammazzano animali. pensano, i vegetariani, di essere antropologicamente superiori. ma hanno torto. uccidere un animale per mangiarselo non è gesto barbaro. è sano, giusto, e naturale. barbara è la sua industrializzazione, così come barbara è stata l'adozione del denaro in luogo del baratto.

vorrei smettere di avere paura.
e andare.

giovedì 5 marzo 2009

massimo moratti

ogni volta che mi capita di vedere o ascoltare il presidente dell'internazionale, massimo moratti, penso sempre la stessa cosa:

un uomo a cui un giorno qualcuno dovrebbe avere il coraggio di dire la verità.

giovedì 26 febbraio 2009

my death

If I'm lucky, I'll be wired every whichway
in a hospital bed. Tubes running into
my nose. But try not to be scared of me, friends!
I'm telling you right now that this is okay.
It's little enough to ask for at the end.
Someone, I hope, will have phoned everyone
to say, "Come quick, he's failing!"
And they will come. And there will be time for me
to bid goodbye to each of my loved ones.
If I'm lucky, they'll step forward
and I'll be able to see them one last time
and take that memory with me.
Sure, they might lay eyes on me and want to run away
and howl. But instead, since they love me,
they'll lift my hand and say "Courage"
or "It's going to be all right."
And they're right. It is all right.
It's just fine. If you only knew how happy you've made me!
I just hope my luck holds, and I can make
some sign of recognition.
Open and close my eyes as if to say,
"Yes, I hear you. I understand you."
I may even manage something like this:
"I love you too. Be happy."
I hope so! But I don't want to ask for too much.
If I'm unlucky, as I deserve, well, I'll just
drop over, like that, without any chance
for farewell, or to press anyone's hand.
Or say how much I cared for you and enjoyed
your company all these years. In any case,
try not to mourn for me too much. I want you to know
I was happy when I was here.
And remember I told you this a while ago--April 1984.
But be glad for me if I can die in the presence
of friends and family. If this happens, believe me,
I came out ahead. I didn't lose this one.

- Raymond Carver -

mercoledì 25 febbraio 2009

una volta era la vaga sensazione d'incompiutezza.
oggi è la certezza di qualcosa che sfugge.

merito una chitarra
e mele marce.

martedì 24 febbraio 2009

aridatece massaia

per primo me l'aveva segnalato l'amico w.b., che in queste cose è sempre un passo avanti.

grazie all'avvocato-blogger "che mette sottosopra il mondo dei professionisti", ora scopriamo l'esistenza di giovani avvocati vessati, costretti a lavorare fino a tarda notte e orbati della vita privata, roba che neanche easton ellis.

se fossi in lui, mi dimetterei dallo studio e intraprenderei come un sol uomo la carriera di scrittore (si lavora meno, si guadagna di più, si scopa).

e poi, "ormai è un eroe".

sì. è un eroe per tutti noi.
ma a questo punto confesso che un po' di sconquasso lo sento pure io.
quasi quasi mi metto a trascrivere le istruzioni della lavastoviglie.

lunedì 23 febbraio 2009

red carpet

ho appena visto i bambini di bombay sul tappeto rosso degli oscar.
pare che siano i famosi protagonisti del film candidato all'oscar. dice che vivono nella baraccopoli.
i bambini hanno detto che sognano di incontrare george clooney (il maschietto) e angelina jolie (la femminuccia).

a questo punto, il minimo che possiamo fare è invitare qualche ragazzino rom ai telegatti.

domenica 22 febbraio 2009

intorno a coleridge

1
un uomo sogna un'immagine. uscito dal sonno la riproduce. un altro uomo vede la riproduzione e il giorno dopo la sogna.

2
un uomo sogna un palazzo. uscito dal sonno lo disegna. un altro uomo vede il disegno e il giorno dopo costruisce il palazzo. un altro uomo lo ha già costruito, in qualche tempo e in qualche luogo. prima di lui molti lo avevano sognato.

3
un uomo sogna un dialogo. uscito dal sonno lo scrive. altri due uomini lo interpretano in teatro. all'uscita del teatro tutti gli altri uomini lo ripeteranno.

4
un uomo vede un bosco, o un torrente. la notte li rivedrà in sogno.

giovedì 19 febbraio 2009

lezzeno 1982

nel 1982 l'italia vinse i mondiali di calcio.
vidi la finale con mio fratello nella casa che i miei nonni materni avevano in affitto a lezzeno, sul lago di como.
mio nonno era morto poche settimane prima.
quando era morto il nonno, la nonna era stata qualche giorno da noi, poi era tornata a casa sua, sola, e poi si era spostata al lago, con sua mamma, la mia bisnonna. papà e mamma avevano detto a me e mio fratello che avremmo potuto stare un po' dalla nonna nella casa di lezzeno: alla nonna avrebbe fatto piacere.
non c'era molto da scegliere.

durante la giornata non si faceva granché. era un po' noioso.
la sera giocavamo a carte, tutti e quattro, io e mio fratello contro le nonne, e qualche volta cercavamo di barare, convinti che le nonne non se ne accorgessero.

la nonna era triste per la morte del nonno ma non lo voleva dare a vedere. la bisnonna era una generalessa, severa e integralista.

dopo alcuni giorni papà al telefono mi disse che se avessi preferito sarei potuto tornare a casa.
io dissi sì.
allora andai dalla nonna, che era fuori sul balcone, in piedi, e guardava il lago, e le dissi nonna io torno a casa a milano.

lei mi guardò, poi tornò a guardare lontano. subito dopo si mise a piangere e disse: "ma io non mi arrendo. non mi arrendo".

sono nato ma

la sorte non mi ha accordato, quando sono venuto al mondo, una solenne biblioteca.
non ho avuto la fortuna, o forse la necessità, di compulsare in tenera età rari manoscritti della letteratura scandinava.
e poi ci ho messo del mio.
a 14 anni il mio orizzonte letterario era costituito da p.g. wodehouse e al cinema andavo per vedere i film di celentano.

se fossi cresciuto in un salotto scrupolosamente ombreggiato non avrei oggi il problema della collocazione.
inoltrarsi in questioni relative, per esempio, ai programmi televisivi è il destino di chi è stato consegnato ai molti. di chi deve, dunque, inventare la sua rivoluzione, oppure immaginare di vivere nel migliore dei mondi possibili.

tra costoro, i peggiori sono coloro che desiderano distinguersi.

oggi, per essere davvero snob, bisogna dichiarare di essere grandi fan del festival di sanremo e di guardarlo con entusiasmo tutte le sere.

ieri sera hanno trasmesso quinto potere. un capolavoro, checché ne dicano i soloni.

dalla sceneggiatura, splendida, di Paddy Chayefsky:

You are an old man who thinks in terms of
nations and peoples. There are no nations!
There are no peoples! There are no Russians.
There are no Arabs! There are no third worlds!
There is no West! There is only one holistic
system of systems, one vast and immane,
interwoven, interacting,
multi-variate,
multi-national dominion of dollars!
petro-dollars, electro-dollars, multi-dollars!
Reichmarks, rubles, rin, pounds and shekels!
It is the international system of currency
that determines
the totality of life on this planet!
That is the natural order of things today!
That is the atomic, subatomic and galactic
structure of things today!
And you have meddled
with the primal forces of nature,
and you will atone!
Am I getting through to you, Mr. Beale?
(pause)
You get up on your little twenty-one inch screen,
and howl about America and democracy.

There is no America. There is no democracy.

lunedì 16 febbraio 2009

ho scoperto

i bambini fanno la lotta, corrono, si lanciano le cose, spaccano tutto, tirano calci al pallone, danno sfogo al testosterone.
le bambine pettinano le bambole. preparano torte nel dolce forno. si mettono mollette nei capelli. scelgono i vestitini delle winx, che vengono sistemate in accoglienti salottini o esclusive palestre.
i bambini si divertono, le bambine no.
l'infanzia delle bambine è triste.
per questo quando diventano grandi, giustamente, non la danno.

la separazione del maschio

non conoscevo francesco piccolo finché il mio amico balda non mi ha regalato, giovedì, il suo ultimo libro, che ho letto tra milano e roma.
fino a pochi minuti fa non sapevo nemmeno, mea culpa, che l'autore è anche sceneggiatore. vedo la sua firma apparire in calce ad alcuni lavori che reputo di non grande valore.

la separazione del maschio è un libro per maschi.
mi sono fatto delle risate, ho apprezzato moltissimo la citazione dei quel capolavoro che è the weather man, mi ci sono inevitabilmente ritrovato, da padre separato sofferente quale sono.

a noi maschi sciovinisti col pensiero rivolto alla bernarda non può non piacere un libro del genere, sebbene non sia che l'ultimo di una lunga serie.

ad ogni modo, non siamo in presenza di un grande romanzo. vi sono intuizioni geniali, ma resta senso di qualcosa che non si eleva al di sopra dei pensieri di un uomo comune durante una pausa pranzo o tra una fermata e l'altra del tram.
un paio di pagine di troppo (la descrizione dell'incontro a tre) e la tecnica del montaggio alternato, che sembra dettata da motivazioni editoriali, non contribuiscono a migliorarlo.

va tutto bene

"Sanremo: aria di crisi tra supercompensi e tagli"

"Colaninno licenzia l'hostess del Grande fratello"

"Cassano? Sì, ci interessa"

"La bici di Stasi fu lavata"

"Fiat scopre la 500 Cabriolet come la prima"

"Smog, limiti superati ben 77 volte"

"Foibe/Alemanno: La nostra non e' una lettura ideologica"

"Tifoso genoano investito è stabile ma grave"

"Boom di allergie, ne soffre un bimbo su tre"

"Sulla castrazione An frena la Lega"

domenica 15 febbraio 2009

osservare latina

venerdì mattina alle ore 8.13 sono salito sull'eurostar alta velocità denominato "frecciarossa" in partenza da milano centrale alle ore 8.15. arrivo previsto a roma alle ore 11.45.
il treno è entrato a roma termini alle ore 11.30.
un quarto d'ora d'anticipo. un fatto incredibile.
prima di allora, in tutta la mia vita non avevo mai preso un treno che fosse arrivato in anticipo.
così ho preso la coincidenza per latina 45 minuti prima.

la terra che separa roma da latina mi ha offerto delle immagini stupende. a tratti, sono rimasto senza fiato. come non emozionarsi davanti a una serie di colline così verdi, a un pastore con un gregge, a un cavallo bianco fermo sull'argine di un fiume?

la cosa meravigliosa del treno è che si guarda dal finestrino. il mondo lo capisci solo andando in treno e guardando dal finestrino. non è necessario starci appiccicati. a volte, anzi a ben vedere per me è sempre così, sento una sorta di richiamo. sento il paesaggio che mi dice guardami. allora chiudo il libro o quello che sto leggendo e guardo fuori. un po' come respirare. guardo e respiro.

poi sono arrivato. la stazione di latina, caso più unico che raro, è lontanissima dalla città. quando la costruirono, gli architetti del duce pensavano che Littoria si sarebbe sviluppata intorno alla stazione, verso le montagne. invece, gli uomini hanno costruito le case verso il mare, e la stazione è rimasta lì, isolata e strampalata.

hanno mandato a prendermi. il mio chauffeur si è rivelato una ragazza dal profilo aguzzo, quasi caricaturale, con occhiali da sole d'ordinanza e guida champagne. durante il tragitto, nell'abitacolo avvertivo, a zaffate, puzza di cacca. forse aveva pestato, forse scoreggiava crudelmente in silenzio.
in tutti i casi, il finestrino del passeggero era bloccato.

l'ufficio del mio presidente si trova proprio di fronte al famoso "palazzo M", chiamato così perché è fatto a forma di M. la M di mussolini.
a me l'architettura littoria piace. mi piacciono da morire il tribunale di milano e la stazione centrale. e mi piacciono i palazzi con i mattoni rossi a vista e le finestre in marmo bianco. per questo latina, che è città assurda, ha le sue bellezze. la geometria, la pulizia delle sue case, del suo volto, è comunque affascinante.

la sera abbiamo mangiato a latina lido, in uno di quei ristoranti a menù fisso (ci sono sempre) in cui ti ammazzano di pesce. poi, ciucco, mi sono trascinato sull'ampio letto nella camera d'albergo a me riservata.

sabato ci siamo trasferiti a roma.
roma, che possiede i colori delle sabbie.
una giornata non brillante, né fortunata. risparmio la cronaca di una sconfitta annunciata e accettata.

poi, il ritorno a casa.
altro eurostar, ma di quelli con fermate a bologna e firenze.
mi siedo a casaccio, cerco un posto isolato.
quando il treno si ferma a firenze spero che nessuno venga a rompermi le palle esigendo che gli lasci il posto, con contestuale esibizione di idoneo titolo. di solito mi va bene.
sulla mia carrozza salgono non meno di 30 persone. ma una sola, ho scoperto, aveva il posto prenotato sulla carrozza: una vecchia calabrese che non sapeva nemmeno come si legge il biglietto del treno.
quelle vecchie che parlano solo il dialetto. e che lo parlano anche male, cioè non parlano un bel dialetto pulito. no, parlano il dialettaccio.
perché, come qualsiasi lingua, anche il dialetto si può parlare in una infinita serie di modi, con infinite sfumature.
in treno, per esempio, è curioso indovinare come parlerà il tuo vicino. se non lo capisci subito, perché è zitto, sai che lo scoprirai presto, perché presto telefonerà a qualcuno o riceverà una telefonata.
e appena dirà la prima parola (di solito "pronto?") tu avrai già ottenuto una importante informazione: conoscerai il suo livello di istruzione.

comunque, la vecchia calabrese blocca tutta la fila di passeggeri dietro di lei perché si ferma a leggere il biglietto. proprio davanti a me. non capisce. chiede informazioni ai signori di fianco a lei.
le indicano il posto assegnatole.
è il mio.
c'erano tre posti liberi attorno a me, e lei aveva proprio quello dove sedevo io.
faccio cenno di alzarmi.
- signora vuole sedersi qui?
- ma no, tanto è lo stesso.
però si siede, e mi scalza.

allora prendo la mia piccola borsa e mi sposto da un'altra parte della carrozza - che è piena di posti vuoti, piena di posti vuoti - dove spero di restare tranquillo fino a destinazione. sarà così.
la signora calabrese durante il viaggio riceverà alcune telefonate di parenti suoi, con i quali parlerà in dialetto.
dicevo, appunto. a volte il dialetto è piacevolissimo da ascoltare, a volte dà fastidio. come l'italiano. a volte trovi gente che parla un italiano squallido, antipatico.
quando sento che la signora dice "ah?" invece di "eh?" per significare che non ha capito qualcosa che la ha detto il suo interlocutore, provo un moto di stizza. poi mi dico che non è colpa sua. che le hanno insegnato così, sua mamma e le sue zie e i suoi fratelli e sorelle.
però poteva anche sedersi da un'altra parte.

mercoledì 11 febbraio 2009

"meno male che ci sei tu"

lo so che non sai che cosa significa
che l'hai detto così, forse per farmi piacere, senza pensare, senza capire.

però (o forse proprio per questo) sentirti pronunciare quelle parole mi ha reso tanto felice.

vero come la finzione

il titolo originale, più piatto e meno presuntuoso, è stranger than fiction.

rivisto ieri sera, e riapprezzato.
diretto da Marc Foster, di cui purtroppo non ho visto altro, e molto ben scritto da Zach Helm, al suo debutto. e che debutto.
un esempio di come si possa narrare una storia inverosimile in modo totalmente inverosimile e riuscire a farsi applaudire, a commuovere, a divertire.

vero che il film tocca temi universali (il rapporto tra l'artista e la sua creazione, l'eternità, la caducità). ma non tutti sanno farlo con la dovuta leggerezza.

il caso, argomento carissimo ai registi, è appena sfiorato. e non interferisce.

comunque. will ferrell e maggie gyllenhaal sono bravissimi. emma thompson pure. dustin hoffman a me dà sempre l'aria di uno che fa l'attore. queen latifah è una bomba sexy qualunque cosa faccia. anche se le gambe accavallate della gyllenhaal sull'autobus farebbero resuscitare un morto.

citazione obbligatoria: "un uomo che sa di morire e lo accetta, è proprio il tipo d'uomo che si vorrebbe tenere in vita".

un sogno

carla signoris mi invita a casa sua.
naturalmente io sono innamorato di lei, e spero di farmela.
arrivo alla proprietà, una specie di capannone con annesso terreno, cancellata, parcheggio per le auto, vicino a una sorta di tangenziale. uno scenario periferico nel complesso poco attraente.
scopro molto presto che carla è innamorata, ricambiata, del mio amico marco p.
nel contempo vive con un compagno, o marito, da cui ha anche un figlio, o figlia.

mi invita a pranzo, ma io sono tutto nudo.
vado in bagno, nell'imbarazzo della situazione, per trovare una soluzione. mentre sono lì che armeggio con gli asciugamani, arriva lei, che con la sua dolcezza e la sua grazia mi dice che non c'è nulla di cui preoccuparsi.

non so interpretare il suo comportamento. non è ambiguo. sono io che non capisco se è solo la sua dolcezza o se in qualche modo le piaccio.

mi dà un paio di pantaloncini da calcio, sintetici, e una maglietta, intonati sull'arancione.
mi presento a tavola. il marito è molto più giovane di lei. e di me.

a un certo punto mi trovo su un divano, con lei. ci abbracciamo. io sono eccitato e speranzoso. c'è molta tenerezza da parte sua, ma niente più. nella mia mente c'è la percezione che il rapporto con marco p. non la soddisfi completamente. indovino una qualche attrazione per me, frustrata però dal senso di colpa e dall'affetto per il suo amante.

in tutto questo, mi resta oscuro lo scopo della mia presenza lì. ho avuto problemi di parcheggio. a un certo punto sono stato anche ostacolato da una scolaresca in uscita dalla scuola che si trova accanto o nella proprietà della mia ospite. una ragazza, in particolare, che ha un qualche legame con carla, sale su un'automobile e fa o dice qualcosa di estremamente simbolico, che tuttavia non colgo.

domenica 8 febbraio 2009

alla faccia di anselmo

se Dio esistesse, sarebbe già stato ospite da fabio fazio.

sabato 7 febbraio 2009

lontano

anche se sono qui
se respiro accanto a te
sono troppo lontano
dalla tua testa perfetta
indegno del tuo sonno

venerdì 6 febbraio 2009

né speranza, né salvezza.

la fatica di discernere il giusto diviene insostenibile quando ci si avvicina ad argomenti sottili.
personalmente, non vorrei mai vedere mio padre soffrire per diciassette anni per me. non vorrei vederlo apparire né sentirlo un solo minuto al mio capezzale, mentre mi porta il brodino, mi sussurra nelle orecchie, geme, non si dà pace.
non lo vorrebbe nessuno.

mio padre mi ha messo al mondo e, tutto sommato, non troverei assurdo che fosse lui a decidere della mia sorte ove non fossi in grado di esprimermi.
se un giorno dovessi trovarlo assurdo, spero che la mia ira sia limitata ai pochi minuti che mi separano dall'iniezione finale, dal cuscino caldo e morbido.
e se non ci fosse più mio padre?
se non ci fosse alcun parente?
pazienza. andrebbe bene il primo della lista.

vero. nessuno di noi può sapere che cosa proverà nel momento esatto in cui starà per morire. e anche se lo scrivessimo, anche se lo sottoscrivessimo davanti a un notaro, non cambierebbe niente.
magari in quel momento vorrei la mano di un sacerdote, chi può dire.
ma sarebbe troppo tardi.
d'altra parte, uno dei traguardi dell'età adulta è rendersi conto che non sempre è possibile tornare indietro. anzi, quasi mai.
la vita è proprio questo.

naturalmente stiamo parlando solo dell'ipotesi in cui siamo lì, attaccati alla macchina, in coma. ogni altra ipotesi non va nemmeno discussa.

ora, pensare di porre fine a una vita umana perché alcuni giudici hanno "ricostruito" la volontà del malato mi pare un gesto arrogante e stupido.
un giudice è la persona meno indicata per ricostruire qualunque cosa.

nondimeno, non riesco a trovare niente di più arrogante di uno che sceglie di essere papa. di parlare da papa, di vestire da papa, di fare il papa.
il papa è, in ogni suo istante, la persona più arrogante del mondo.

comunque vada a finire la storia di eluana englaro, una cosa è già certamente accaduta.
i preti, con tutta la cattiveria di cui sono capaci, sono riusciti a raggiungere il loro scopo: dipingere un padre come un assassino. un uomo che vaga da una clinica all'altra, da un giudice all'altro, sperando di trovare il modo di liberarsi di una figlia che è diventata un peso. un uomo che uccide.

i preti, comunque vada, hanno vinto ancora.

mercoledì 4 febbraio 2009

altri allegri eroi

non considero il cambiamento di opinione un argomento dirimente.
non è intelligente farlo, né non farlo. certamente non è intelligente discuterne.

trovo tuttavia avvilente la deliberata ostinazione.

se c'è un vescovo che, nel nobile solco della tradizione cattolica, ritiene di negare la shoah, ci può ben essere chi ritiene george w. il migliore dei presidenti e la guerra in iraq la più opportuna delle guerre. se poi quest'ultimo ha anche il coraggio di dire che la juventus è la squadra degli onesti, tanto meglio. abbiamo sicuramente capito.

nella caricatura di un quotidiano c'è tanto posto per caricature di giornalisti.

lunedì 2 febbraio 2009

zargo's lords

il primo, per me, fu Legio VII
poi venne Zargo's.



poi qualche partita a Wohrom e Okinawa.

poi passammo a Dungeons & Dragons. tutti i venerdì sera, per anni.
si faceva tardi. si mangiava il ciambellone. due si fidanzarono.

tutto quello che si vuole, ma chi ha giocato a Zargo's Lords non se lo dimentica più.
l'international team.
spettacolo.

federico buffa

Federico Buffa è il più bravo commentatore vivente in lingua italiana. forse anche qualcosa di più.
non so infatti cosa succede nella nuova zelanda, ma i commentatori inglesi o tedeschi di sky ed eurosport, per esempio, fanno abbastanza pena. e i commentatori americani di basket, con tutto il rispetto, a uno come buffa non gli portano nemmeno le scarpe.

deve essere per questioni contrattuali a me ignote che, quando il Nostro commenta accanto a Flavio Tranquillo, è quest'ultimo che saluta anche per lui, suo fido scudiero, mentre quando egli commenta accanto ad alessandro mamoli saluta prima l'uno ma poi anche l'altro.

stiamo parlando di basket.

il basket è uno sport che ho praticato poco perché sono basso di statura.
peccato per me, perché è uno sport bellissimo.

tranquillo lo centrai qualche mese fa su un volo milano-roma. sul volo c'era anche una giornalista di sky. tranquillo, che, sia detto per inciso, è un gigante, un telecronista strepitoso, un fenomeno, fece il brillante con la collega per tutto il tempo, subissandola di parole e impedendole di interporre qualsivoglia rilievo. d'altra parte, origliai, era appena tornato da una trasferta americana con annessa intervista pucci pucci con mike d'antoni. come non capirlo.
quando atterrammo, non riuscii a non rappresentargli la mia stima e i miei complimenti, ma suonai come sempre incomprensibile e mi beccai pure una risposta gelida e definitiva.

fortuna che non incontrerò mai Paul McCartney: resterei a balbettargli in faccia come un idiota per il tempo necessario a farmi allontanare.

ma dicevamo di buffa.
qualsiasi sua telecronaca è la telecronaca perfetta: piena d'amore per lo sport, tecnicissima, divertentissima, sapientissima, eclettica, colta.
il senso della telecronaca dovrebbe stare nel valore aggiunto che promana dalle parole del cronista per giungere alle orecchie si presume meno preparate dell'ascoltatore.

però noi siamo stati educati per decenni al contrario. a telecronisti che ne sapevano meno di noi.
era un fatto strano, ma come a tutto il resto ci siamo abituati abbastanza presto.
certo, c'erano, e ci sono ancora oggi, casi clamorosi.
a proposito di tennis, ad esempio, come non ricordare il leggendario Guido Oddo?
di lui leggiamo su wikipedia: "È morto all'età di ottantasei anni: la notizia venne diffusa una settimana dopo la sua scomparsa per una sua precisa volontà".

ciò che mi rende l'Oddo più misterioso.
(è proprio della morte svelare segreti e generare misteri)

ho già detto in passato sull'argomento telecronisti.
aggiungo solo che le telecronache di jacopo lo monaco e soprattutto federico ferrero durante l'australian open mi hanno fatto un po' rimpiangere le mie adorate ziette, lasciate a casa da sky come per il roland garros e lo us open.

in diretta da tampa in questo momento bruce springsteen, il camionista in cui tutti ci identifichiamo, sta entusiasmando il pubblico durante l'intervallo del superbowl.
la telecronaca dell'evento è buona. migliore certamente della musica.

Buffa, ho scoperto, è milanista.

domenica 1 febbraio 2009

s'io fossi un duo di scabre chele

ieri su radio tre ho sentito una poetessa recitare alcune sue composizioni.
pensavo fosse uno scherzo, invece era una cosa seria, almeno per l'autrice.
per chi volesse conoscerla, nulla di meglio della consultazione del suo sito.
come si vedrà, sono numerose le pubblicazioni.
debbo confessare una certa lontananza dalla poesia contemporanea.
l'unica mia fonte di cognizione è il mio amico dominicus, poeta dolente superiore a tanti altri, che però vedo troppo poco.

tra poche ore federer e il terraiolo giocheranno la finale dell'australian open.
l'australian open è il torneo più sfigato del grande slam. non ha il pathos del roland garros, il blasone di wimbledon, l'importanza dello us open. però è un bel torneo. e tutti gli anni ci sono delle grandi partite. la più bella che ricordi fu un quarto di finale tra roddick e el aynaoui finito 21-19 al quinto. quest'anno per fortuna non mi devo alzare alle cinque per vedere la partita.

io spero che vinca federer, ma più o meno come quando, alle elezioni, spero che vinca l'uno quando l'altro è romano prodi. beh, non è proprio così.
mi spiego un po'.
stasera ho visto il film del torneo di wimbledon 1971.
finale femminile: margaret smith court contro evonne goolagong.
finale maschile: john newcombe contro stan smith.
finale doppio maschile: ashe/ralston contro emerson/laver.
quell'anno vinsero tutto gli australiani (goolagong batté court).

stan smith. john newcombe. rod laver. arthur ashe.
dei signori. degli artisti.

all'epoca al cambio di campo non c'erano né sedie, né asciugamani, né paggi, né ombrelloni.
oggi invece ad ogni punto il giocatore ha diritto di farsi portare un asciugamano. e a 26 anni è già vecchio per giocare.
ken rosewall ha vinto l'australian open a 38 anni, 19 anni dopo la sua prima vittoria nello stesso torneo. il 22enne nadal fra due anni farà il giornalista sportivo, o il conduttore televisivo.

nel mondo che degenera, nadal è la degenerazione del tennis.

in sicilia il mondo degenera meno.
in sicilia sopravvive l'economia del baratto.

non è infrequente, infatti, imbattersi in uomini che per la strada vendono i prodotti della terra che coltivano, con profitto modestissimo.
i gruppi di acquisto solidale, i cosiddetti gas, muovono da posizioni critiche verso il mondo moderno, ma sono, con ogni evidenza, un'altra cosa.

e invece sarebbe semplice, per lo meno su piccola scala.
io ti vendo i miei peperoni, tu mi vendi le tue arance, l'altro l'olio, l'altro ancora il latte.

torneremo all'età rurale, alla racchetta di legno, alla poesia.

giovedì 29 gennaio 2009

siamo tutti scrittori

ad onta del titolo che campeggia orgoglioso al posto suo, l'invettiva non è, mi auguro, l'occupazione quotidiana del sottoscritto.
nondimeno, secondo costume, quando i visceri chiamano, la mano risponde.

ebbene, uno dei più celebrati e potenti blogger italiani ha ritenuto di magnificare sul suo spazio web le virtù dell'ultima fatica letteraria della moglie, famosa almeno quanto lui, forse anche di più.

la mossa, se posso dire, non mi è sembrata di altissimo profilo.

ma le vette, sappiamo, sono poche e inaccessibili. si può anche commettere qualche peccato.
il motivo dei miei smottamenti nasce infatti altrove.

tempo fa dissi, con i mezzi di cui dispongo, della morte del senso.

credo che il libro di daria bignardi ne sia, di nuovo, viva testimonianza.

non ho letto il libro. non lo leggerò.
ne ho letto l'anticipazione, e mi basta per sentenziare che non è ben scritto.

credo che raccontare la storia di una famiglia sia una cosa commendevole.
tutti abbiamo i nostri ricordi, e le emozioni che li accompagnano. i giochi di bambini, le feste con i nonni, i modi di dire, gli scherzi, i drammi. tutti noi li conserviamo.

non tutti i racconti però dovrebbero avere dignità di pubblicazione.

conosco centinaia di persone che possiedono l'arte dello scrivere molto meglio di daria bignardi. alcuni di essi sotto sotto magari ci pensano, alla copertina e a mondadori. molti altri no. riconoscono i propri limiti.
inoltre, mi permetto, la spinta del dolore non è esclusiva dei migliori.
spinte meno nobili possono non essere considerate.

i libri andrebbero scritti dagli scrittori, come le canzoni cantate dai cantanti.
nell'età rurale, i libri li scrivevano in pochi, e li leggevano anche in pochi.
quei pochi che li leggevano sapevano in ogni caso di essere altro dallo scrittore.
oggi invece tutti scrivono libri, tutti hanno opinioni, tutti sono bravi, tutti sono artisti, tutti sono eroi.
tutti corrono in libreria a comprare federico moccia. tutti leggono qualcosa.
tutti adorano qualcuno. e tutti possiamo essere adorati.

se infiliamo una bottiglia di vino nel cesso, ci buttiamo sopra della vernice arancione a casaccio, e magari un paio di uova, poi stacchiamo il cesso dalla braga, gli diamo qualche buona martellata, lo portiamo in un museo e ci scriviamo sopra che è un'opera d'arte, ci sarà sempre qualche stronzo disposto a crederci.
hanno comprato la cacca in scatola. hanno comprato le tele tagliate di fontana.

purtroppo, se tutti siamo scrittori, nessuno è scrittore.

se fossi uno scrittore, affamato o sazio, scriverei. se avessi buone mani, farei il falegname.

ma io non possiedo alcun talento.

e infatti ho un blog.

sabato 24 gennaio 2009

milano

prologo: reputo questo post miserabile, scialbo e retorico. lo lascio a testimonianza della mia difficoltà a superare certe soglie.

per me non c'è città più commovente di milano.
a milano non c'è il mare. non ci sono fiumi. non ci sono montagne, né colline, né panorami da ammirare.
a milano però un cavalcavia può emozionare, un marciapiede.

milano è una città in bianco e nero.

perché per me è la casa di ringhiera, col bagno in comune in fondo al ballatoio, con il raffreddore, il vestito della domenica. la vita di due genitori che fanno fatica, il padre stanco che la sera si ferma all'osteria, la madre che stira le camicie per i maschi, i figli che dopo il lavoro vanno alla scuola serale.
persone che non ci pensano neanche, ad essere felici.

adesso che l'hanno colorata, le hanno rubato l'anima.
se volete capire milano, dovete guardare un qualunque filmato degli anni addietro.
le macchine scure, magari con i fanali accesi, gli impiegati con le borse, o gli ombrelli, le scarpe che si bagnano nelle pozzanghere, la gente che va avanti e indietro, che prende la metropolitana.
e poi, le gru, i cantieri. i muri di cinta.
una volta i cantieri erano un simbolo di libertà, un sogno. una città che sale, che si espande.
adesso non più.
ma la città resiste, io lo so. lo vedo nelle crepe dell'asfalto, nella luce dei lampioni, nei giardini.
la città respira ancora, sotto i cartelloni, sotto le facce sorridenti.
per me milano è questa canzone qui.
e io l'aspetto.

venerdì 23 gennaio 2009

ognuno

ognuno ha il suo. i suoi, a volte.
per me è stato un viale, un pomeriggio, a catania.
un pomeriggio d'inverno, pochi secondi. io e lui nell'automobile che scende tra i palazzi, il cielo pulito, il mare in fondo alla strada, il silenzio ovunque.

a un mio amico

buono o cattivo
io lo so che cosa sei
è da un po' che lo so
tuttavia, non è quello che sei che conta

paranoid park

gus van sant è un genio, autore di almeno tre capolavori.
è un regista che raggiunge un livello di imperfezione assoluta.
toglie un momento prima, oppure indugia, a volte decide.

ieri sera ho visto paranoid park, bellissimo, piaciuto ai cahiers.
il film ci fa ricordare i momenti che avremmo dovuto vivere tutti, quando osserviamo un oggetto, la mente oppressa, e ci chiediamo il perché della sua esistenza, della sua forma e del suo colore, ovvero di come possa non sparire ad un battito di ciglia, non mutare. del fatto che esistono cose come il tempo e lo spazio. e i nostri gesti, che con essi inspiegabilmente sembrano intersecarsi.

c'è un altro grande film, completamente diverso e purtoppo impoverito dagli ultimi dieci minuti, che parla delle beffe della sorte alla vita di un ragazzo: sleepers. un film molto intelligente e commovente. il regista voleva raccontare una storia e commuovere.

invece van sant ci fa entrare in un corpo, in una testa, in gambe e braccia.
e improvvisamente, mentre stiamo per assistere alla tragedia e viverla, arriva a toglierci il respiro il più alto momento che la musica dell'uomo abbia prodotto.
ovvero Ihr stürzt nieder, Millionen?
(a casa ho solo Furtwängler, e allora ho sentito grazie all'internet Karajan, Solti, Klemperer, Toscanini, Bernstein, Abbado. siccome sono un ignorante posso solo dire quello che mi ha emozionato di più)

poi ho rivisto come l'ombra, e l'ho apprezzato ancora.
ho colto due citazioni. la prima - decisamente evitabile, qualunque ne fosse la causa - da un famoso film italiano. la seconda, il volto e il sorriso di miranda prima di girarsi e correre su per hanging rock.

tsonga ha vinto contro ljubicic al secondo turno degli open d'australia grazie a una palla corta sul 4-6 servizio ljubicic nel tie-break del terzo.

una palla.

tutti siamo tornati a casa guidando completamente ubriachi, o fatti. quelle volte non c'era nessuno a guardare. oppure, ipotesi ambiziosa, c'era qualcuno.

giovedì 15 gennaio 2009

sei dolce come il fiele

Alla bellissima Lucia dai verdi occhi come il sole: mi fai impazzire ogni volta che ti vedo bere il caffè!

caro amico,
in primo luogo il sole è giallo, a volte arancione, al massimo, se vuoi essere poeta, come mostri quando collochi il tuo aggettivo, rosso.
verde no.
verde è il mare. o il prato.
mi rendo conto che non si può dire "alla bellissima Lucia dai verdi occhi come il prato". nondimeno, la metafora appare un poco sforzata.

in secondo luogo, ci dici che impazzisci ogni volta che lei beve il caffè.
d'accordo.
ma non è chiaro se impazzisci solo in quei momenti (tant'è che metti il punto esclamativo) o anche quando lei compie altri atti. oppure la vedi solo bere il caffè? nel qual caso, sarebbe utile assumere altri dati. insomma, in una prospettiva di lungo periodo, se lei non bevesse mai più caffè, impazziresti lo stesso?

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Al conducente della linea 202 di lunedì 12 gennaio alle ore7: 42: sei come un arcobaleno che riflette il tuo sguardo nel laghetto argentato.

dunque.
devi sapere che l'arcobaleno non riflette. il laghetto, ove adeguatamente argentato, lui riflette.
il conducente, benché in divisa blu, è tuttavia dipinto come l'arcobaleno. arcobaleno che riflette il tuo sguardo. forse volevi dire il suo sguardo.
no.
forse l'arcobaleno è come uno specchio che riflette il tuo sguardo? no, perché allora si perde il senso complessivo. è il conducente, l'arcobaleno. e poi, che fine fa il laghetto?
forse è lui che guarda il laghetto argentato e quindi...ecco apparire l'arcobaleno.
mah.
per me è questa cosa dello sguardo che scompagina un poco le carte.

facciamo così. diciamo che sei come un arcobaleno sopra un laghetto.

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Al ragazzo + stylish del II anno di ing energetica:
la tua camicia viola con cravatta e gilet è qualcosa di intrigante. Un tramezzino? By sassari4evah.

il ragazzo è indubbiamente molto stylish.
la camicia viola con cravatta e gilet (sebbene non sia dato capire se si tratti di quelle camicie con la cravatta disegnata, oppure, peggio, se tutto il tris di camicia viola, cravatta e gilet sia in realtà un pezzo unico, oppure se l'autrice ritenga - ipotesi che preferiamo - che la camicia viola accompagnata da cravatta dispensi dalla menzione del colore della cravatta medesima) è un abbinamento ad un tempo classico e ricercato.
la ragazza, sembra di capire ad una prima indagine, è sarda.
di qui, l'ansia del tramezzino.
che però, di nuovo, lascia aperti ampi spazi interpretativi.
potrebbe essere che l'offerta del tramezzino scaturisca immediatamente dall'intrigo provocato dall'abbigliamento stylish del ragazzo. ovvero, quando lei è intrigata, offre il tramezzino.
forse, invece, il tramezzino, con la sua colorata farcitura, le appare come il naturale complemento per l'abbigliamento del ragazzo.
oppure potrebbe essere che la ragazza desideri puntare sul basso profilo. parto col tramezzino, informale e disimpegnato, per poi giungere a traguardi più sostanziosi.
o forse, ipotesi che peraltro giunge a ricomprendere le precedenti, il tramezzino è una metafora.

lunedì 12 gennaio 2009

elogio della banalità e dei fiori

oggi ho visto il film across the universe, di julie taymor.
un film bellissimo.
a me piacciono i film scontati, in cui sai già come va a finire. il colpo di scena è sempre un colpo basso, e insieme una dichiarazione di insufficienza. le storie scontate richiedono molta bravura.

la banalità, va da sé, è un disvalore da quando si ritiene un valore l'originalità.
ma l'originalità non ha nulla a che vedere col talento. l'uomo è creativo, non originale. è tradizionale, non banale. la memoria non è mai noiosa, la Storia mai banale.

il film riesce, emozionando spesso, a raccontare una storia d'amore e a dare un messaggio di pace, entrambi soggetti antichi. nello stesso tempo riesce nella difficilissima operazione di interpretare più di trenta canzoni dei beatles e di ricordare un decennio. una storia prevedibile dentro il momento in cui prese piede la sottocultura.

a me sarebbe piaciuto vivere al greenwich village o a londra tra il 1965 e il 1970.
mi sarebbe piaciuto vivere in un mondo in cui ognuno poteva vestirsi come voleva senza correre il rischio di sembrare uno sfigato, ovvero non degno.

il fatto che ognuno sia obbligato a indosssare un certo vestito per non incontrare il rifiuto del suo prossimo ci conduce a un mondo retto da dittatori folli, popolato da uomini decerebrati, a un consorzio coatto, di quelli deplorati dalla letteratura.
invece è il mondo democratico di oggi. di oggi, qui.
attribuisco una considerevole porzione di responsabilità a quest'uomo.

se scorro le fotografie dei miei primi anni scolastici, vedo un gruppo di ragazzi che non avevano il problema della marca delle scarpe, delle calze, dei guanti, degli occhiali.

giorgio armani è stato, in italia prima e nel mondo poi, il più grande interprete e testimone della cultura della griffe.
ciò che a mio avviso rappresenta la rovina del mondo moderno.

ricordo che quando ho provato a insegnare diritto in una scuola per pluribocciati, alla periferia povera di milano, i miei studenti quindicenni vestivano solo capi "firmati".

il libero mercato ha abolito la differenza di classe.

paradossale, no?

domenica 11 gennaio 2009

pora stella

con tutti gli stronzi che c'erano stasera a ballando con le stelle hanno eliminato proprio corinne cléry, poverina, che c'è rimasta male.
io non l'ho visto, il suo ballo, come non ho visto il ballo di nessuno, ma sono convinto che non se lo meritava, ecco.
"non me l'aspettavo", ha detto lei, mentre io scrivevo il posti precedente.
e le veniva da piangere.
stefano bettarini invece, il bravissimo calciatore, era contento di essere rimasto in gara.

sabato 10 gennaio 2009

catalogo dei telefilm

allora.

sarà che sono un vecchio. sarà che gli ultraquarantenni che si sentono in dovere di disquisire sulle virtù di serie come "lost" o "24" mi lasciano perplesso.

sarà che, più probabilmente, ho fatto indigestione di telefilm quando ero giovane.

sì. è senz'altro quest'ultimo il motivo per cui, a differenza di tanti altri, ed è una differenza per la quale non credo di provare orgoglio, non riesco ad eccitarmi alla visione del dottor house o delle newyorkesi nevrotizzate da scarpe, borse e uccelli piccoli.

quando dico che non mi piace il gelato al pistacchio, è perché io il pistacchio l'ho assaggiato tante volte.

infatti mi sono messo lì, con fatica (ci ho messo due giorni), a elencare tutti i telefilm che ho visto in vita mia.

ed è uscito il catalogo che segue (i titoli sono quelli della programmazione italiana. si tratta dei soli telefilm, con esclusione pertanto degli sceneggiati televisivi come A come andromeda, I sopravvissuti, Olocausto, Orzowei e Sandokan che ho visto per intiero, oppure più antichi come Nero wolfe e Maigret, visti pure per intiero in età adulta)

dunque.

Io ho visto tutte, dico tutte, le puntate delle seguenti serie:

Mary Tyler Moore, Hazzard, Phyllis, Alice, Harlem contro Manhattan, La famiglia Bradford, Happy days, Agente speciale, Tre nipoti e un maggiordomo, Spazio 1999, George e Mildred, Il nido di robin, Ellery queen, Ralph supermaxieroe, Attenti a quei due, Pippi calzelunghe, Charlie’s angels, Colombo, Mork & Mindy, Simon templar, Tre cuori in affitto e naturalmente Furia.

Ho visto quasi tutte le puntate di:

I robinson, I Jefferson, Perry mason, Un uomo in casa, L’ispettore derrick, La banda dei cinque, L’albero delle mele, Hardcastle & McCormick, Nata libera, Vita da strega, La casa nella prateria, Barnaby Jones, Ufo, Gli eroi di Hogan, Maude.

Ho visto molte puntate di:

Bonanza, Cannon, Quincy, Casa Keaton, Batman, L’incredibile hulk, Cuore e batticuore, L’uomo da sei milioni di dollari, Cin cin, Ironside, Petrocelli, Laverne & Shirley, Love boat, Mai dire sì, Mannix, Lou Grant, Medical center, Alfred hitchcock presenta, Arcibaldo, Arsenio lupin, Mash, Zorro, Il mio amico Ricky, Get smart, Baretta, La donna bionica, Sulle strade di San Francisco, Chips, The Bill Cosby show, The Dick Van Dyke show.

Ho visto alcune puntate (diciamo da cinque a venti, suppergiù) di:

Strega per amore, Serpico, Matlock, Agente pepper, Marcus Welby, Magnum p.i., Hotel (con citazione obbligatoria per Connie Sellecca, mio grande amore adolescenziale, più ancora di Morgan Fairchild), Supercar, Missione impossibile, Nypd, Rhoda, Falcon Crest, Moonlighting, Ellen, Sanford and son, Il commissario Köster (con il leggendario Siegfried Lowitz).

Ho visto pochissime puntate, ma le ho viste, di:

Tony e il professore, Hawaii squadra cinque zero, T. J. Hooker, Simon and Simon, Hill street giorno e notte, Kojak, Starsky e Hutch, Saranno famosi, Matt Helm, Matt Houston, Mike Hammer, Miami vice, Murphy Brown, Uno sceriffo a new york, La strana coppia, Troppo forte.

Non ho mai visto nemmeno una puntata di Star Trek, nonostante mi senta, come tutti, magneticamente attratto da Leonard Nimoy.


martedì 6 gennaio 2009

Apocalisse 3,19

e così, oggi il foglio annuncia, con un comunicato che personalmente trovo abbastanza orrendo ("lavoriamo in una casetta affacciata sul Tevere e in un appartamentino milanese con il parquet che scricchiola divinamente...facciamo cadere in deliquio i maestri del gusto, irritiamo un sacco di gente, piacciamo a una folla di lettori...non siamo indipendenti, al massimo siamo scostanti") che da lunedì il prezzo del quotidiano sale del trenta per cento.

sostanzialmente, come fece già il manifesto anni fa, non ci stiamo dentro.

certo, il foglio è "uno dei giornali più belli del mondo"; il foglio è "indiscutibilmente un successo, ha un indice di interesse e di gradimento altissimo". certo.

certo, tutto aumenta, e la milano da bere non c'è più. nondimeno, i giornali sono in salute finché c'è qualcuno che li legge. non sarà che tante volte la gente, e magari i lettori stessi del foglio, ne hanno avuto abbastanza delle leccate di culo al santo padre e ai suoi bravi?

io gli do ancora un anno di vita.

todo modo

preceduto nelle scorse settimane da una sintesi elegiaca di paolo sorrentino, regista vicino agli sguardi nebulosi, stanotte raisatcinema ha trasmesso il famoso film di elio petri, per anni dato per disperso.
il film, distribuito nel 1976 e girato nel 1975, da un romanzo di sciascia dell'anno precedente, racconta una tre giorni di esercizi spirituali dei vertici della democrazia cristiana presso una parrocchia sotterranea realizzata intorno a un cimitero catecumenale, retta da un prete "cattivo, molto cattivo" (sono i preti cattivi che fanno grande la Chiesa, dice don gaetano).

tra una meditazione e l'altra, tra nervose riunioni per le sorti del potere e paternoster, ci scappano i morti.

le prediche di mastroianni (bravo, incredibilmente) sono anche emozionanti, ciccio ingrassia è sconvolgente, volonté come sempre strepitoso.

ma la grandezza del film sta proprio nei suoi luoghi. la chiesa (costruita con la tecnica del getto di cemento armato in casseforme in legno poi lasciato faccia a vista), le catacombe, gli antri oscuri in cui vagolano come nere talpe politici disumani, come formiche che seguono piste irrazionali, che conducono febbrilmente briciole di cibo avanti e indietro, che si fermano, si interrompono, poi ripartono, il libro sacro nelle mani. le stanze dell'ostello. gli arredi minimi, le porte e i letti in legno povero, le croci semplici.
la sala dove viene officiata la messa e dove alcuni perdono la vita è il luogo più inquietante. a un certo punto vi viene servito il pranzo, o la cena, e l'ingresso di suore e pretini che conducono il carrello, sotto il soffitto basso, male e poco illuminato, al centro di una tavolata a u ove siedono questi figuri grigi, brutti, maleodoranti dà davvero la nausea.

il film purtroppo patisce i soliti drammi del cinema italiano: il doppiaggio, la difficoltà di reggere una storia pesante senza sbracare, il gusto per la maniera, la tentazione del fellinismo.
infatti, dopo una partenza severa e promettente, il film assume tratti assurdi, profetici, apocalittici (l'opera di giovanni è citata in una bellissima predica, cfr. apocalisse, 3, 15).
il finale è eccessivo, i personaggi sono, come di consueto, caricaturali e grotteschi.
senza dire che anche qui sono riusciti a infilare, malamente, la solita pubblicità surrettizia. ma stavolta al posto del punt e mes c'è lo zabov, l'indimenticato zabov.

petri fu accusato di istigare al rapimento moro. l'accusa è assurda e inconsistente.
certo volonté se lo studiò, il presidente. tanto che, riportano, il regista tagliò i primi giorni di riprese perché troppo somigliante. in ogni caso, la tensione alla mediazione è fin troppo esplicitata.
andreotti arriva per ultimo, si siede a messa già iniziata, dà disposizioni ai pochi grandi e va via.

cercando in rete ho scoperto un blogger che si chiama todomodo, il quale apprezza il basket e alcuni libri che apprezzo anch'io e tuttavia, vale la pena dirlo, se la prende con berlusconi.

io me la canto e me la suono. e non sono più fortunato di lui.

resta il ritratto del potere. un potere vischioso, disgustoso, un potere celebrato nel buio insieme col rosario. un potere espiato a piedi nudi e nel sangue, con l'assoluzione del sacerdote, peccatore più di tutti, che detesta se stesso e la sua parola, che bacia la stola con meccanico orrore.
un potere rinchiuso, frammentato, esercitato da uomini indegni, vermi, abili solo all'odio e alla preghiera.

e resta l'intrigante domanda di don gaetano: perché confessò, e non negò, e confessò?

sabato 3 gennaio 2009

una società seria

Galliani: «Vi svelo il mondo Beckham»

«È un calciatore, vive per il mestiere. Vediamo quanto renderà con le apparizioni in tv. Forse anche a Sanremo»

sono il solo a cui sfugge qualcosa?

venerdì 2 gennaio 2009

about a boy

ieri sera mi sono cuccato ben due capolavori.
il primo, che avevo visto una volta sola in tenera età, è il mitico radiazioni bx: distruzione uomo (the incredibile shrinking man) diretto da jack arnold nel 1957, da un racconto di richard matheson, che scrisse anche la sceneggiatura del film.
me lo sono rivisto con crescente emozione e sorpresa.
un uomo viene investito da una strana radiazione che lo rimpicciolisce progressivamente. la scienza medica allarga presto le braccia. la moglie afflitta può solo consolarlo. durante i suoi terribili giorni trova per un breve periodo l'affetto di una bella nana, vive in una casa di bambola, sfugge alla fame di un gatto, duella per la vita con un ragno. poi, comprende.
un film che tocca temi eterni, girato con pochissimi mezzi e grandissima intelligenza.
uno splendido film, che oggi saprebbero girare solo con dispendio di luci e magie industriali.
ma la poesia sopravvive alla macchina.
per rendere onore anche al suo primo creatore, reputo non inutile riportare le ultime parole del celebre monologo finale: "Sono così vicini l’infinitesimale e l’infinito. Ma ad un tratto capii che erano due termini di un medesimo concetto. Lo spazio più piccolo e lo spazio più vasto erano nella mia mente i punti di unione di un gigantesco cerchio. Guardai in alto come per cercare di aggrapparmi al cielo: l’Universo, mondi da non finir mai, l’arazzo argenteo di Dio sul cielo notturno. E in quel momento trovai la soluzione all’enigma dell’infinito. Avevo sempre pensato nei limiti della mente umana, avevo ragionato sulla natura. L’esistenza ha principio e fine nel pensiero umano, non nella natura. Sciogliersi, diventare il nulla, le mie paure svanivano, e venivano a sostituirle l’accettazione. La vasta maestà del creato doveva avere un significato, un significato che io dovevo darle. Sì. Più piccolo del più piccolo avevo un significato anch’io. Giunti a Dio non vi è il nulla: io esisto ancora".

prima di questo gioiello avevo visto, con il medesimo godimento di tutte le occasioni precedenti, about a boy, diretto da due fratelli dal talento sprecato, anche questo tratto da un romanzo, dicono celebre.
il soggetto è l'inaspettata amicizia di un uomo di 35 anni, superficiale e benestante per grazia ricevuta, con un ragazzino di 12, gravato da madre hippy depressa.
prima di quello, sempre ieri, avevo visto blade runner: the final cut.
blade runner, in tutte le sue forme, appartiene a pieno diritto alla categoria dei film sopravvalutati.

agli artisti regolarmente piace dire che non guardano mai le loro opere. è una bugia, la cui pietosa causa è tuttavia comprensibile. nessuna opera d'arte resiste allo sguardo del suo autore. il romanzo non può finire. la pubblicazione equivale a una mutilazione. di qui il desiderio delle fiamme, o, nella declinazione deteriore, della revisione. queste versioni final cut/director's cut sono commoventi ma inutili.
ora, nella versione "definitiva" il regista ha tolto del tutto la voce off, presentissima nella prima edizione. mentre lo guardavo ho detto giusto la voce off è davvero pesante, dovrebbero eliminarla sempre. poi ho visto about a boy che mi ha messo subito a tacere, così imparo.

per me i film perfetti sono quelli che riesco a rivedere decine di volte in tutta serenità, senza alzate di sopracciglia o improvvisi sbadigli. di questa nobile classe fa parte about a boy.

il ragazzino (nicholas hoult) è dolcissimo, hugh grant bravissimo, la sceneggiatura molto divertente. tutto è calibrato, tutto è al suo posto.

a me piacerebbe essere amico di un ragazzino. sono convinto che, tra una partita a pes e l'altra, saprebbe insegnarmi tante cose. credo che, come era abitudine antica, giunti intorno ai 40 dovremmo adottare dei giovani virgulti, ovvero farci adottare.

stasera invece c'era fargo, che come tutti mostrano di sapere è un capolavoro.
al suo fianco, in contemporanea, c'era malice - il sospetto. il confronto rivelava la differenza di approccio verso il mezzo meccanico. al servizio della storia nel secondo caso, consustanziale all'opera nel primo.