ieri sera ho visto il film l’appuntamento, di jean delannoy (1961). bello. ben girato. annie girardot emozionante.
quindi mi sono perso la puntata della trasmissione di santorre nella quale, ho poi visto, è intervenuta la clementina nazionale.
qualche parola sui magistrati.
i magistrati si rompono i coglioni.
entrano in magistratura perché essere magistrati è bello, dà lustro, onore, gloria, un po’ di danaro, e diverse immunità.
quello che non sanno quando passano il concorso è che poi devono fare le sentenze.
gli avvocati invece lo fanno solo per il grano
fare l’avvocato è facile. una volta superato l’esame, e prima o poi lo superano tutti, si comincia.
è un mestiere che può fare chiunque. non bisogna essere particolarmente intelligenti, preparati, colti, onesti.
è un po’ come fare il benzinaio, o il cameriere.
la cosa bella è che puoi chiedere al cliente quello che vuoi tu.
e allora fuoco a volontà.
i clienti, generalmente, sono brutta gente.
non è sbagliato dire che un po’ sono stati male educati dagli avvocati.
mentono, non si fidano, non pagano, scappano, ti si rivoltano contro.
già quindici anni fa sentivo dire l’orrida frase "il cliente è il tuo peggior nemico".
insomma, io cerco di fregare te, tu cerchi di fregare me. questo è il rapporto cliente-avvocato.
sopra di essi c’è il giudice.
il giudice si alza la mattina e solo al pensiero di un’udienza con 40 avvocati alle ore 9.30 gli viene il mal di testa.
infatti a volte non ce la fa. chiama la cancelleria e dice "ho mal di testa, mettete fuori dalla mia aula un cartello che le cause sono tutte rinviate a data da destinarsi". e torna a letto. o porta il bambino al parco. quando ce la fa, arriva (in ritardo) e comincia l’udienza. le cause sono sempre tante, troppe. non gliene interessa nemmeno una. sempre le solite palle. la solita gente che litiga senza motivo. e poi gli avvocati, che prendono più soldi di lui e lui gli deve pure liquidare le spese, gli avvocati che spingono i clienti a fare ‘ste cause senza motivo. all’ora di pranzo ha finito e va a casa.
a casa lo aspettano milioni di sentenze da fare. si sente male. lui cerca di farle, ma quelle più ne fai e più te ne danno da fare. è un inferno. dopo un paio d’anni di questa vita comincia a vivere in un mondo tutto suo. sogna, levita, se ne va, sparisce. resta il suo corpo. alcuni si mettono a scrivere libri, diventano ospiti fissi al processo del lunedì, scendono in campo, cambiano mestiere.
l’avvocato si alza la mattina ed è in tensione per l’udienza. vada come vada la quale, tornato in studio pensa a come portare a casa un po’ di soldi. lo studio costa. e poi deve comprare la macchina nuova. e poi c’è la famiglia. quindi si concentra sulla parcellazione. qui ognuno ha il suo sistema. verso le 19 o verso le 20 va a prendere l’aperitivo con altri stronzi come lui. dice cose che non pensa a gente che non lo ascolta e che guarda solo come è vestito. dopo l’aperitivo, a casa a rompersi i coglioni oppure fuori a cena a continuare la mascherata. dopo un paio d’anni alcuni si convincono di quello che stanno facendo e proseguono tranquilli. altri diventano dei disadattati e prima o poi finiscono con il massacrare la famiglia o nel silenzio perpetuo di un eremo.
venerdì 5 ottobre 2007
i magistrati, gli avvocati, le parti.
scoreggiato da pim alle ore 13:01
Etichette: magistrati
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2 commenti:
spero che ci sia una terza via, per te. per esempio, potresti cercare di essere il primo che crede nel suo lavoro e che crede nella sua vita: sinceramente penso che tu ci stia riuscendo. stamattina sono arrivato in studio e tutti (4 persone) mi hanno detto che non ho azzeccato neanche un colore: indosso un paio di pantaloni color prugna tessuto ruvido e una polo a maniche lunghe azzurra. avrei voluto mettere anche un maglioncino color panna bruciata, invece ho ripiegato su un maglioncino azzurro pastello. evidentemente ho commesso qualche errore di abbinamento, ma non me ne sono accorto: il colore per me è uno stato mentale.
credo nella funzione socialmente utile del mio lavoro. non credo in coloro che la esercitano. credo nel valore altissimo della giustizia. credo che coloro che la dovrebbero amministrare non ne siano capaci, non la vogliano amministrare, non abbiano la benché minima coscienza del loro ruolo.
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