martedì 31 luglio 2007

fatiche spossanti

un giorno andai a cena dal mio amico alessandro.
ordinammo quantità pantagrueliche di cibo presso una specie di ristorante online. tu scegli e loro ti portano tutto a casa.
eseguito l'ordine, alessandro telefonò per conferma e disse all'interlocutore: "prepari il resto così evitiamo fatiche spossanti".
quella frase, anzi, quell'espressione mi ha sempre fatto ridere da matti, anche se lui la disse in modo serissimo, come tutto quello che dice lui.
ancora oggi, che la uso appena posso, non ho capito se fu una frase da stogonzo oppure no.

ioci causa

avevo capito male. non erano ingmar stenmark e giancarlo antognoni. erano ingmar bergman e michelangelo antonioni.
well, se avessi dovuto scegliere, avrei scelto così anche io.

le 5 domande da farsi quando si apre un blog

- se sia più nobile postare o linkare la famosa poesia del sorriso piuttosto che dare spazio alla propria arte (leggi anche: se sia più nobile presentare il petto al dardo del collega col romanzo nel cassetto piuttosto che scivolare mollemente nella citazione del saggista francese)
- se sia più alto il valore della testimonianza rispetto a quello del tramonto
- se sia preferibile il ritratto del gatto alla serrata critica letteraria
- se siano preferibili la cronaca e i brufoli ai grandi temi dell'esistenza
e infine
- se sia più alto il valore della finzione rispetto a quello della riproduzione

lunedì 30 luglio 2007

ora di andare al mare

il contenuto universale. la parola che schiude e racchiude. lo slancio panico. il gran dolore. il tocco dell'Anima.
gli è che il poeta si guarda l'ombelico, dice il tale.
si fa presto a creare, se stai male, aggiunge l'altro.
meglio un bel romanzo, con tanti personaggi, tutti vividi e complessi, dice il tale. non è mica facile, sa? bisogna averne, di fantasia.
e gli arredamenti? ogni casa diversa dall'altra, e i soffitti e i pavimenti e il bagno.
e il vestiario?
e il carattere, il linguaggio, la psicologia!
se si vuol fare un lavoro fatto bene, dice, sono ore e ore a sfogliar tomi e riviste, non si finisce più.
meccanica, orticultura, anatomia. gli orologi, la filatura, la storia della turchia.
il teatro elisabettiano, il mare, il sindacato.
e quelli che scrivono i dialoghi? ah, quelli poi. sarà mica letteratura, dico.
vuole sentirne uno? glielo faccio in quattro e quattr'otto.

- dovrei mandarle dei dispacci

- ma non si può

- insisto, mi dispiaccio, è urgente 'sto dispaccio

- lo mandi a mia sorella

- è che mi sto lavando il sedere

- oh

- nel lavandino

- beh, mia nonna ci si lavava i piedi

- quand'è così, mi stia bene, e i miei rispetti alla signora

domenica 29 luglio 2007

and again

era l'amico che non puoi aiutare, era l'amico che non ti può aiutare, era l'ignoranza, il pregiudizio, l'impotenza. era la certezza di non poter cambiare.
erano tutti quanti persi, affranti, chiusi nelle loro prigioni, con le loro paure.
era la certezza di non saper parlare.

nient'altro


Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi; fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

alka seltzer

festa di compleanno del Professore (Andreone, per gli amici)

parlato a vanvera
mangiato tanto
bevuto molto
soprattutto, troppo budino.

venerdì 27 luglio 2007

ecco il suo sciampagnino

ho comprato una piscina gonfiabile da 150cm di diametro a mio figlio.
12 euro e 90, all'auchan.
l'abbiamo messa sul terrazzo. l'abbiamo gonfiata e riempita.
poi ci abbiamo messo dentro varie cosette (bicchieri, secchiello, paperelle, maschera, e così via).
l'altro giorno eravamo tutti e due dentro lì a sguazzare e abbiamo inventato questa scenetta:
uno dice all'altro:"ecco, signore, il suo champagnino" porgendogli un bicchiere pieno d'acqua di piscina, il tutto con voce da maggiordomo (cioè nasale e affettata)
l'altro risponde. "grazie" - e si versa lo champagnino sulla testa.
poi, mentre il liquido cola sulla faccia il primo gli chiede: "com'era?"
e il secondo risponde"mmm... squisito", magari facendo il segno dell'ok.

ecco, queste cose non le vorrei dimenticare.

venerdì pesce

questo spazio è mio, no?
quindi ci scrivo quello che voglio io, giusto?
se adesso voglio scrivere la prima cosa che mi viene in mente la scrivo e buonanotte?
va bene.
allora.
per me i vegetariani sono delle teste di cazzo.

giovedì 26 luglio 2007

preti/2

va di moda flirtare con la chiesa cattolica. va di moda difendere le parole dei papi, magnificare le opere dei cardinali, pubblicare le scoregge dei curati.
noi lettori del foglio, che avevamo chiuso un occhio davanti alla difesa del buttiglione, che avevamo guardato dall'altra parte in occasione della difesa dell'embrione, che ci eravamo limitati a tossicchiare quando leggevamo le laudi a celentano, beh, noi ci siamo trovati in imbarazzo, scoprendo che il nostro quotidiano di riferimento si riferiva a camillo ruini come al "facitore del nuovo pluralismo di cultura di cui avevamo bisogno"(6.3.07). e da lì, ci siamo leggermente allontanati, dirigendoci verso testate un poco più laiche, l'osservatore romano e famiglia cristiana.
alle mie timide rimostranze circa questo révirement e comunque ogni qual volta mi sono permesso di avanzare qualche censura circa le norme che regolano la vita dei preti cattolici, il terreno culturale e le scelte politiche e ideologiche del Soglio, la discutibile attività della Chiesa mi è sempre stato risposto allo stesso modo: "ma non sei mica obbligato a essere cattolico. se vuoi, le regole sono quelle, altrimenti, sei libero di essere ateo, laico, protestante, ortodosso, musulmano, satanista, davidiano o raeliano"
ecco, io dopo tanti anni e innumerevoli tentativi non sono ancora riuscito a scardinare questo argomento.
la cosa mi sgomenta non poco.

infinite jest

quando andavo al cinema e mi davo arie da intenditore mi ricordo che mi ci voleva sempre un po' prima di riuscire a formulare giudizi che riuscissi a condividere nel tempo.
mi è accaduta la stessa cosa dopo la lettura di infinite jest, ad oggi il capolavoro di david foster wallace, che ho terminato un paio di mesi fa.
ebbene, il mio lapidario e mortale commento è questo: un grande libro, che avrebbe potuto avere il doppio, il triplo delle pagine.
mi spiego.

wallace è un drago. un fenomeno. uno scrittore formidabile.
la telefonata tra orin e hal, la storia di gately, la rota di krause chiuso nel cesso, la filmografia di j.o. incandenza, le confessioni degli AA, la descrizione della malattia di kate gompert, le follie di lenz sono tra le pagine più belle della letteratura americana degli ultimi vent'anni.
è un libro sulla ripetizione, sulla inutilità del gesto. e forse, in ultima analisi, sull'inutilità della pagina.
wallace postula la ripetitività come antibiotico. l'alcolista va alle riunioni come il tennista si allena.
allenarsi. andarci. scrivere. leggere.
l'unica speranza per sopravvivere è compiere continuamente gesti identici dei quali non conosciamo il significato.
come le formiche. sfidiamo Dio a esistere. lo scherzo infinito, appunto.
forse wallace è andato anche oltre: come il godimento marginale dato dalla Sostanza tende a diminuire, così il piacere della pagina. avrebbe potuto scriverne altre mille, di altrettanta fascinazione e profondità. la mia ipotesi è che sia stato fermato dall'editor, con la certezza che il lettore avrebbe comunque capito.
mi piacerebbe leggere infinite jest all'infinito, come i romanzi d'appendice. ogni sabato, un capitolo, fino alla morte. credo che wallace lo farebbe.
magari glielo chiedo.

mercoledì 25 luglio 2007

preti

oggi a pranzo ho detto a un mio amico una cosa abbastanza ovvia, ovvero che a mio parere tutti i preti sono fondamentalmente dei disadattati. lui ha ribadito, molto meno banalmente, che non solo lo sono, senza dubbio, ma sono anche dei parassiti, al pari degli zingari. e sono anche peggio, ha soggiunto, perché l'elemosina la chiedono con pance gonfie, bei modi e vestiti puliti.
ha aggiunto altresì, ancor meno banalmente, che i preti sanno di essere dei disadattati. lo sanno benissimo.
il mio amico ha ragione.

gli ottant'anni della roma

quasi mi dimenticavo, sempre a proposito di sport.
non riesco a immaginare niente di più bello, fresco, innovativo, utile, ecumenico, simpatico ed emozionante della festa per gli ottant'anni della roma.
eccezion fatta, si capisce, per i settantatré anni della sambenedettese.
ma ci pensate? gli ottant'anni della roma.
gli ottant'anni della roma
gli ottant'anni della roma
gli ottant'anni della roma
gli ottant'anni della roma.

il bello e il vero

mi domando a chi interessi ancora il ciclismo. mi domando se a qualcuno interessa la guerra contro il doping. mi domando perché guardiamo lo sport. a quest'ultima domanda so rispondere.
guardiamo lo sport per due motivi: il fatto fisico e il fatto estetico.
lo sport non è il regno del vero, è il regno del bello.
e come ci hanno insegnato da bambini, il bello si sottrae alle regole del mondo.
lo sport vive delle regole dello sport, che per fortuna non sono né quelle della morale, né quelle del diritto positivo.
il diritto positivo, quest'ultimo, decadente, morente relitto della civiltà occidentale, questa meravigliosa eredità che dobbiamo vedere semidecomposta. persino la ricerca della felicità ha invaso gli argini del diritto. il diritto alla felicità, il diritto alla maternità, il diritto alla serenità.
ma io divago.
da qualche tempo qualcuno si ostina, con inusitata pervicacia, a combattere il bello.
come sempre succede in questi casi, chi conduce la battaglia è convinto di essere baluardo dell'integrità e assuntore d'impegni a lui silenziosamente e universalmente demandati.
spesso chi conduce battaglie lo fa per dare un senso alla propria esistenza, al proprio ruolo o alla propria immagine. spesso chi conduce battaglie è in mala fede e non crede a quello che fa.
ma, di nuovo, non è questo il punto.
il punto è che ben johnson ha corso i cento metri in un tempo che è stato eguagliato vent'anni dopo. il punto è il cronometro. l'unico motivo per cui guardiamo i cento metri piani è il cronometro.
il punto è che marco pantani (personaggio nemmeno troppo simpatico, se vogliamo) è le sue braccia in cima all'izoard, è la smorfia sull'alpe d'huez. è il bello.
il punto è il gol di maradona all'inghilterra, messico 1986.
maradona, mcenroe, pantani. gli esempi si potrebbero moltiplicare.
l'uomo gode del sublime.
il burocrate che sotto il manto della lotta per l'equità toglie all'uomo lo spettacolo del sublime, uccide lo sport, uccide la civiltà, uccide l'uomo.
abbasso l'assassino.
viva il bello.

mercoledì 18 luglio 2007

il conformismo/3

il cinema americano ripete se stesso da sempre. la famosa battuta di irving thalberg ("i film non si fanno, si rifanno") è continuamente verificata.
come spesso accade però la ripetizione è verso il modello basso, non quello alto (ma questo, sostengo, è l'applicazione della legge naturale di cui al secondo principio della termodinamica: il calore passa dal corpo caldo al freddo, il sistema cede calore, il sistema tende all'equilibrio, il sistema è entropico. massimo disordine)
e quindi accade che nei film americani vedi sempre le stesse cose, gli stessi gesti, le stesse facce, gli stessi movimenti.
e vedi le stesse situazioni, gli stessi personaggi, gli stessi schemi.
non è il caso di scomodare christian metz, i giovani turchi, barthes, eisenstein o bazin, i quali tutti hanno già detto tutto e molto meglio di me.
la piccola riflessione che le mie scarse risorse mi consentono verte intorno alla fruizione superficiale. ovvero, non è tanto la morfologia del racconto, non è il linguaggio, non è la sintassi del film che condividono matrici uniformi, quanto, oggi, il semplice fatto estetico.
data una situazione, per esempio la coppia che litiga, vedremo: lei sul divano, lui in piedi. lei muove le braccia dalla testa verso il grembo, lui porta le mani alle tempie e le allunga verso di lei. e così via.
nell'era del digitale, anche l'animo umano è stato discretizzato.
un numero discreto di emozioni e quindi di espressioni è molto più facile da gestire.
sofferenza. paura. gioia. imbarazzo. una sensazione, una faccia.
identico discorso per i movimenti di macchina, per il montaggio, per la produzione.
ecco perchè non vado più al cinema.
il cinema è divenuto un format.

il conformismo/2

il conformismo nella civiltà occidentale conosce almeno due illustri campioni: la sinistra italiana e il cinema americano. il fatto che l'uomo di punta della prima sia un dichiarato estimatore del secondo mi pare chiuda il cerchio.
ma partiamo dall'inizio.
la sinistra italiana, dal punto di vista culturale, è afflitta da molti gravami: il settarismo, l'alterità, la consapevolezza della superiorità antropologica dei suoi rappresentanti e dei suoi elettori, l'impulso demagogico, la tendenza reazionaria. negli ultimi vent'anni queste devianze hanno assunto proporzioni imbarazzanti.
c'è un aggettivo che io utilizzavo vent'anni fa e che oggi è talmente inflazionato da divenire intollerabile. nondimeno, non so come meglio definire la politica se non come soggetto totalmente autoreferenziale.
la casalinga di voghera non odia il negro o l'albanese. la casalinga di voghera non ha pensieri. ascolta, guarda. la sua scelta elettorale è creata da un signore che solo così può legittimare la sua presenza in parlamento.
la sinistra è ancorata, sembra irrimediabilmente, al chi non è con noi è contro di noi, al "noi siamo di sinistra", slogan buono per ogni evenienza, a significare immunità, impunità.
la sinistra italiana ha scelto, secondo la lezione gramsciana, di coltivare nel suo seno la più alta istituzione culturale del paese: l'università. chiunque abbia avuto a che fare con codesta istituzione sa perfettamente che essa è il covo del più vieto corporativismo reazionario. con l'aggravante che, nella fattispecie, la cooptazione porta ai vertici professori ignoranti, miserabili e malefici.
quanto al demagogismo, ogni cantante, artista, burattinaio, professore, magistrato e romanziere conosce perfettamente le poche parole che servono per infiammare la piazza, per eccitare il pubblico, per scatenare l'applauso, per trovare il consenso.
le parole sono:
berlusconi (cirami, cirielli, condono, tangentopoli, dell'utri)
pace (guerra, bambini, bombe)
bush (petrolio, imperialismo, multinazionali)
precariato (lavoro)
operai
democrazia
popolo palestinese (israele, stati uniti, fascismo)
l'altezza culturale della sinistra italiana è degnamente esemplificata dalla famosa piastrella di luca sofri.
su radio popolare infatti tutti dicono di averne le tasche piene del Ritardato, ma lo spettro del caimano è troppo forte.
è l'"emergenza democratica", il collante. e tanto basterebbe.
alla fine, per quanto appiattiti su una linea preconfezionata, per quanto incapaci di spirito critico, erano meglio i ragazzi di una volta che, pur scopando e fumando, speravano nell'uomo nuovo, piuttosto che questi.
la sinistra italiana è rappresentata da teleimbonitori che predicano il nullismo culturale (costanzo) o, peggio, da alfieri del midcult (fabio fazio); da giornalisti in mala fede assetati di sangue (mentana), da parrucconi miliardari spocchiosi (eco), da romanzieri privi di talento (tabucchi, baricco e tanti tanti altri), da banchieri ladri e arroganti (fiorani, fazio) eccetera eccetera.
la sinistra italiana è berlusconi.
berlusconi non è di destra. berlusconi è per la lotta di classe. per l'abolizione dei privilegi, delle caste e delle barriere, per un mondo omogeneo, semplice e gaio.
è il mondo del credito al consumo, delle banche , delle finanziarie. è il mondo degli acquisti, della televisione, dell'uomo ridotto a comparsa, a oggetto. l'uomo ridotto a merce. non sono io che compro, io vengo comprato.
tutto ciò premesso, provo a essere demagogico anche io: abolizione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato; abolizione delle banche e delle finanziarie private; abolizione delle carceri; espunzione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità per colpa o da responsabilità obiettiva.
sul cinema americano, infra.

martedì 17 luglio 2007

femore spirituale

l'ex presidente emerito della repubblica nonchè magistrato (semel magistratus, semper magistratus) oscar luigi scalfaro, ha partecipato in data 16 ottobre 2001 a un incontro radiofonico con il giornalista di radio 24 giancarlo santalmassi. in quella propizia occasione il presidente ha chiuso la trasmissione con le seguenti parole: "quindi il discorso è: pensare agli altri, lavorare per gli altri, sacrificarsi per gli altri, e salire e scendere le scale del potere senza rompersi il femore spirituale, perché la rottura del femore spirituale è peggio della rottura di tutti e due i femori veri".
ecco, credo che questa icastica e fortunata metafora debba essere ricordata e tramandata. più ancora che con il celeberrimo "non ci sto", qui il presidente scalfaro - nato, mi piace ricordare, il 9 settembre 1918 - indovina un messaggio, un monito al contempo forte e premuroso. qui trova la più felice coniugazione tra politica e geriatria. la preoccupazione, evidente, per il femore osteoporotico dell'anziano si sposa perfettamente con la visione diacronica dell'impegno istituzionale.
quando sarà il suo momento, il più tardi possibile, è con questa frase che vorrò ricordarlo.

lunedì 16 luglio 2007

martedì, 23 maggio 2006

accade di trovarsi fermi al semaforo, mentre una ragazza attraversa la strada avanti a te, a braccetto col suo accompagnatore, e per un tempo piccolissimo, quando ti ha già oltrepassato, si volti indietro e guardi, forse, da qualche parte. e accade che tu, in quello sguardo, in quei capelli che qualcuno purtroppo ha voluto tagliare, in quella gonna pericolosamente azzurra e troppo corta, in quelle calze nere in una sera di fine maggio e in qualle scarpe, sì, col tacco, ma così simili a quelle che metteva tua nonna, colga una famiglia semplice e povera, un padre in canottiera, una casa modesta, una ragazza che ha cercato di farsi bella per il suo fidanzato, si è provata il vestito e si è guardata allo specchio. e accade di non riuscire a tollerarli, quello sguardo e quella immagine, e di trovare tutto così insopportabile. per rendersi conto, pochi minuti dopo, che è di te stesso, alla fine, che hai pietà.

david maria turoldo

da "Il grande male", Mondadori, 1987

Ancora un'alba sul mondo:
altra luce, un giorno
mai vissuto da nessuno,
ancora qualcuno è nato:
con occhi e mani
e sorride.


Tutto deve ancora avvenire
nella pienezza:
storia è profezia
sempre imperfetta.

Guerra è appena il male in superficie
il grande Male è prima,

il grande Male
è Amore-del-nulla.


E i torturati
in grumi neri
inutilmente
urlano.


Perdona le chiese, i preti
prima fra tutti:
dei filosofi non cancellare il nome
dalla tua anagrafe.


Per favore, non rubatemi
la mia serenità.

E la gioia che nessun tempio
ti contiene,
o nessuna chiesa
t'incatena:

Cristo sparpagliato
per tutta la terra,
Dio vestito di umanità:

Cristo sei nell'ultimo di tutti
come nel più vero tabernacolo:

Cristo dei pubblicani,
delle osterie dei postriboli,
il tuo nome è colui
che-fiorisce-sotto-il-sole.


Solo parole, o papa:
parole, e di contro
la irreparabile morte
della Parola.

Le chiese, un frastuono
gli uomini sempre
più soli
e inutili.

E il cielo è vuoto:
Dio ancor più che morto
assente!

da Canti ultimi, Garzanti, 1991

Anima mia, non pensare
male di Lui: gli è impossibile
fare altro.

E - vedrai -
il Male non vincerà.

giovedì 12 luglio 2007

della funzione socialmente utile di "blob"

nel bellissimo film "il mio nemico più caro" werner herzog racconta di come nacque la ferale attrazione per kinski. stava guardando un film in cui kinski interpreta un soldato (un personaggio minore) che, seduto su una sedia, la testa piegata sulle braccia poggiate su un tavolo, si sveglia da un sonno inquieto e irregolare. ebbene, quel risveglio folgorò herzog. e da lì aguirre e woyzeck e fitzcarraldo.

io che non sono herzog mi devo accontentare di quello che passa il mio convento: qualche mese fa su blob ho visto pochi secondi di un cantante napoletano che flirtava via satellite con una fan.

e da lì mi sono messo alla ricerca. ho pescato un canale satellitare napoletano che il lunedì (mi pare) sera trasmette le canzoni e il companatico di gianni dany. lui, proprio lui. gianni dany.
ho chiesto alla mia fidanzata, che è napoletana e che ogni tanto va giù, di portarmi un cd del nostro, ma ho ricevuto un secco no ( i vomeresi schifano i neomelodici, si sappia). la pia donna, tuttavia, mossa a compassione, l'ha poi trovato con gran scuorno su una bancarella di quartiere a milano. tutto contento ora ce l'ho e me lo sento e imparo le sue canzoni a memoria.
e se come sono certo gianni diventerà il nuovo gigi d'alessio potrò dire con orgoglio di averlo scoperto io, più o meno.
per saperne di più: http://www.giannidany.com/

mercoledì 11 luglio 2007

dottie

quel punto lì non è lì per caso.

marmi, legni.


il mio compagno di banco del liceo si è suicidato. più o meno una quindicina di anni fa. si è buttato giù dal settimo piano. era il più bravo della classe. si chiamava alberto cavina. al funerale c'eravamo tutti, tranne una, che oggi fa la giornalista al corriere. un anno e mezzo fa si è suicidato un altro mio compagno di classe, riccardo bonavita. un poeta. un amico. ci penso spesso. un mese dopo la sua morte abbiamo fatto celebrare una messa in suffragio, per ricordare lui e alberto. quelli che potevano hanno partecipato. la giornalista ha deciso di non essere presente (per rispetto, ha detto, della volontà di riccardo, che era comunista).


ieri sera mentre tornavo a casa sono passato dal parco di trenno e mi sono fermato davanti a un cimitero di guerra. io abito nel quartiere da quando sono nato (40 anni, direi) e il milan war cemetery lo conosco da sempre, ma non ci ero mai entrato, prima di ieri. al tramonto, c'era un cielo tumescente, violaceo, fresco. non c'era nessuno e ho varcato l'ingresso. mi sono messo a leggere sulle lapidi i nomi dei caduti britannici nella guerra di liberazione 1943-45. tutti ragazzi giovani, 20, 25 anni.


in fondo al cimitero c'è una cappella. mi sono avvicinato e ho visto una sorta di tabernacolo. all'interno un libro per i visitatori. l'ho aperto. ho letto il primo nome sul diario.


bonavita.


surprise!

qualche giorno fa ho letto le dichiarazioni di una moglie: "non mi volevo sposare... mio marito cominciò i preparativi per il matrimonio, le cose presero a muoversi quasi da sole e non riuscii più a fermarle... sposai *** perchè non ebbi la forza di tirarmi indietro, né di dare una delusione ai miei genitori, anche se fino all'ultimo fui tentata di dirgli di no... il giorno del mio matrimonio l'ho vissuto senza alcuna emozione, è stato un giorno come tutti gli altri... non volevo fare l'amore con mio marito perchè non ero attratta da lui".
certi mariti sono proprio fessi, dico io.

martedì 10 luglio 2007

l'uomo garnier

sono a favorire la costruzione di una poetica che abbia come riferimento il seguente slogan: "perchè io non valgo un cazzo"

nelle mani di mentana

ieri mattina alle 5 ho rivisto per l'ennesima volta manhattan, di allan stuart konigsberg. il protagonista del film, intellettuale ebreo newyorkese, ha una relazione con una ragazza di 17 anni. nel film nessuno si lamenta del fatto che lei sia minorenne, né mi risulta che qualcuno si sia stracciato le vesti invocando il dagli al pedofilo. mi è venuto in mente uno dei più bei romanzi del '900 che narra l'amore tra un maturo professore e la figliastra di 12 anni (il film capolavoro che ne seguì alzò l'età a 15). mi è venuto in mente l'orrido caso della scuola di rignano flaminio e tante altre cose ancora, di cui è sempre meno lecito anche solo parlare.

venerdì 6 luglio 2007

tumàs

rino tommasi si è un poco rimbambito. in questi giorni di wimbledon l'ho sentito dire almeno due boiate pazzesche. la prima è che justine henin sarebbe l'essere umano (sic!) che gioca meglio a tennis. la seconda che rafael nadal è un numero uno, campione, un principe, al pari di federer. dico la mia, già che sono qui.
justin henin è brutta (come tennista s'intende, come donna non è nemmeno il caso di parlarne). brutto il suo tennis, il suo gesto, la sua corsa, il suo muoversi sul campo. sono sgradevoli i suoi comportamenti, le sue mosse, le sue facce. ma soprattutto, torno al punto, il suo tennis è un tennis che non ha nulla di bello. è efficace, ma bello proprio no. quelle gambette sgraziate perennemente divaricate, la postura sul rovescio con la mano sinistra lungo la racchetta, i passettini aracnoidi avanti e indietro. un corpo infelice che genera un tennis fastidioso, legnoso, privo di grazia, di tocco, di leggerezza e in ultima analisi di femminilità. amélie mauresmo, che ha avuto in dono un fisico e dei lineamenti non meno felici, produce un tennis delicato, piacevole e bello.
quanto a nadal, è questi un individuo che con tutta evidenza potrebbe domani trovarsi a colpire la pallina con una padella per friggere, senza differenze per lui che gioca e per noi che lo dobbiamo guardare.
nadal non è un giocatore di tennis. è una specie di oplita, di picchiatore. fa bagnare le mutandine delle ragazzine, e ciò è cosa certamente commendevole, ma il tennis è un'altra cosa.
ho la presunzione di pensare che chi ama il tennis (e lo sport in generale) ama soprattutto il gesto, prima ancora del carattere. sono i mcenroe, i villleneuve, i rivera, i jordan, i montana, i tomba e così via che rendono lo sport una cosa bella da vedere. tutti amiamo ringhio gattuso ma nessuno vorrebbe avere una squadra di 11 gattuso. federer è bello, nadal è brutto. jana novotna con tutta la sua fragilità era bella e quello scemo di hewitt con tutta la sua grinta è brutto.
e tommasi è scoppiato, povero vecchietto.

mercoledì 4 luglio 2007

il conformismo

l'omologazione, l'obnubilazione, quello che una volta si chiamava conformismo. la volontà, ontologica, di essere compresi trova un cammino semplice: un consenso automatico figlio della adesione a schemi pre-confezionati dall'industria culturale. mi vesto quindi sono, acquisto quindi sono, appaio quindi sono. niente di nuovo. mi domando se sia dunque possibile ipotizzare un sistema di libero mercato nel quale possa convivere l'istanza relativa alla ricerca del consenso privata della coazione prodotta dalle necessità indotte. dal momento che il periodo storico in cui versano e l'economia e la ricerca universitaria non mi pare dei più floridi; dal momento che neppure mi pare di intravedere alternative di qualche interesse e di qualche spessore alla sosta intelletuale del nostro paese (che non siano il révirement della plebe e dei parrucconi in ordine alla legittimità della lotta armata, il cosiddetto ceto medio essendo stato appunto reso incapace di fare e pensare), penso sia opportuno da un lato superare - è tempo - l'equazione marxista per la quale il capitale crea (sostanzialmente) l'infelicità, un mondo disuguale dunque brutto, eccetera, da un altro appunto provare a suggerire un'operazione culturale che parta dalle fondamenta del sistema (l'istruzione primaria, i mezzi di comunicazione, le famiglie) per liberare le menti dalle maglie infernali della pubblicità. per adesso mi fermo. sono stato un po' appiccicoso. alla prossima mi spiego meglio.

martedì 3 luglio 2007

buoni propositi

parto animato dalla volontà di non cedere ai miei bassi istinti. il più forte dei quali, ne sono certo, è deciso a trasformare il diario di bordo in un pamphlet, una bella raccolta di invettive, strali e alti lai contro l'universo mondo. parto animato ma, sulla scorta di analoghe esperienze miseramente fallite e della bassa considerazione (che è la stessa cosa) che ho della solidità dei miei proponimenti, parto anche un poco incerto.
aggiungo: il prossimo post marcerà già nella direzione del tradimento, ma terrò a freno i successivi.