domenica 29 settembre 2013

sì, sono un handicappato / 2

l'altro giorno la mia ex moglie ha messo il suo non leggero piede sui miei occhiali, i quali occhiali erano per terra in quanto a me piace dormire per terra, cioè sdraiato sul pavimento, e quando sto per addormentarmi, visto che la cosa che desidero di più al mondo, quando ho sonno, è riuscire ad addormentarmi, non è che sul più bello mi alzo e metto gli occhiali in un luogo sicuro così che non possano essere pestati, con l'ovvio rischio, che poi è la certezza, che non riuscirò a prendere sonno.
il bello è che l'avevo avvertita, la ex moglie, del fatto che avrei messo gli occhiali di fianco a me, per terra. ma non c'è stato, purtroppo, niente da fare.
il piede, evidentemente guidato da forze oscure, si è posato con tutta la giabatta sulla montatura, ha svelto la vitina che tratteneva la lente, la lente è schizzata fuori procurandosi una bella scalfittura, la montatura si è squadernata sviluppandosi in una forma repellente e la vitina non è più tornata al suo posto, in quanto, come poi si è scoperto, si era deformato anche il filetto.
ed ecco che mi sono trovato senza occhiali.
a questo punto ritengo opportuno dire che io porto gli occhiali da quando avevo sei anni, cioè dal primo giorno di scuola. quindi concludo che porto gli occhiali da 40 anni tondi tondi, appena compiuti.
non è stata, questa che sto raccontando, l'unica volta che mi sono trovato senza occhiali. è successo altre volte. la cosa diversa, che poi è il motivo per cui ne scrivo, è che stavolta per la prima volta mi sono reso conto che sono un disabile.
sì, perché mi sono reso conto che senza occhiali non posso fare nulla di quello che normalmente faccio durante la giornata. guardare la tv, leggere, scrivere, lavorare o cazzeggiare al computer, guidare, fare la spesa, tutto.
cioè, praticamente, se non avessi gli occhiali sarei costretto a stare a letto e sentire la radio, oppure a svolgere una professione in cui se ci vedi poco, poco importa, come, che so, il sempre citato scaricatore di porto, o il modello, che più o meno sono la stessa cosa.
sono un disabile. certo c'è chi sta peggio. ma non è questo il punto.
il punto è che credo che i difetti della vista siano la patologia più frequente nella popolazione mondiale.
e questa è una cosa che dà da pensare.
il giorno dopo sono andato, a piedi, da un ottico, il quale nel tempo di un'oretta ha sistemato tutto e mi ha ridato la mia vita.
appena tornato a casa ho lavorato, ho giocato a gta V, ho lavato i piatti, ho apparecchiato la tavola e ho scaldato le pietanze.
dopo il pasto, ho messo a parte la mia ex moglie di codeste mie riflessioni sulla disabilità.
lei ha fatto mostra di comprendermi, poi come sempre si è sentita in dovere di fornire un suo contributo personalissimo alla questione, per non sembrare meno invalida o meno derelitta dell'interlocutore, e quindi ha soggiunto che lei senza occhiali più che vederci male ci sente male, cosa che il suo parrucchiere ha capito che non è molto tempo, essendosi accorto che mentre le pratica l'acconciatura e, come è consuetudine, le parla, ella non gli risponde, essendo appunto senza occhiali.



mercoledì 18 settembre 2013

della comparsa della musica

ogni volta che scrivo su un argomento che non sia il tennis o i Beatles vengo aggredito da un sentimento di insopportabile inadeguatezza. tale sentimento, una morsa intorno al collo, mi accompagna peraltro in ogni istante della mia vita, e mi lascia respirare troppo poco perché possa pensare di affrontare in modo degno temi qualsivoglia.

nell'asfissia, nell'afasia che mi costringe, tento di approcciare una nuvola.

prima ero su youtube e ascoltavo alcune isolated tracks di alcune canzoni dei Beatles e mi è successo di pensare che anche se ho letto quasi tutto quello che è possibile leggere, anche se so come e quando quella data canzone fu composta, quanti take ci vollero, quante sessioni, a quale ora cominciò la registrazione, quanto durò, come venne mixata, chi era l’ingegnere ad Abbey Road quel giorno, chi suonava cosa, anche se so tutte queste cose, non so come stava il cantante, cosa aveva bevuto, cosa aveva mangiato, non so che tempo faceva fuori, se piovve prima o dopo o durante, non so se telefonò qualcuno, se ci furono discussioni, non so come si sentiva, se era triste, se era allegro, non so come si sentiva, non so che cosa provava, che cosa significava per lui registrare quel giorno quella canzone, se era soddisfatto, se non lo era, se non ci pensava nemmeno e aveva la testa tra le nuvole, non so nulla di tutto questo.
mentre è questo quello che conta, come ti senti in un dato momento.
perché io lo so come mi sentivo quando sentii per la prima volta I want to hold your hand (e la cosa stupefacente di questa canzone è che quasi tutti si ricordano dov'erano e cosa facevano quando la ascoltarono la prima volta, come quando si partecipa a una catastrofe, perché I want to hold your hand è un pezzo che contiene in sé qualcosa di trascendentale, di ineffabile, non catturabile, non è solo l’eterodossia del si maggiore dopo il mi, c’è qualcos'altro - ed è di questo che sto parlando - una canzone che non è nemmeno facilmente cantabile, sono più cantabili di sicuro le simpatiche e massoniche arie di Papageno, e a questo proposito mi preme assolutamente dire che qualunque pezzo di Giovanni Allevi è più bello di qualunque cosa scritta da  Schöenberg, o da Stockhausen, o da Berio, o da Nono, o da Boulez, perché sono per la fondazione di un nuovo futurismo), so come mi sentivo quando sentii Sade che cantava It’s paradise, so come mi sentivo.
questa, come tutti sanno, è la caratteristica straordinaria delle opere d’arte (anche di quelle brutte, purtroppo), che ci sono milioni di persone che associano un’emozione a un momento della loro vita, quando di quella opera d’arte hanno fruito, mentre l’artista no. ogni giorno milioni di persone si cambiano sms e mail e faccine e con esse testi di canzoni, video di canzoni, musica di canzoni. ogni minuto le vite di milioni di persone sono trascinate, guidate, salvate, forse distrutte dall'opera d’arte.

ho la tosse. mi si chiude il naso.

la cosa meravigliosa e allo stesso tempo spaventosa dell’arte è il sentimento di proprietà che instilla nell'animo di ognuno.
sì, è la vecchia storia dell’opera d’arte che appena nata si stacca dal suo autore e vive di vita propria. vecchia ma non per questo meno vera.
le opere d’arte appartengono alle persone, non agli autori. l’opera d’arte è schiava, schiava di tutti, ognuno ha la sua, ognuno possiede la canzone, la possiede e ne è proprietario. non si sente come proprio nulla come si sente la proprietà e il possesso dell’opera d’arte.
il diritto distingue l’una e l’altra cosa, il sentimento no. come il bambino, non fa differenze.
sento la proprietà di un comodino perché l’ho comperato, ho speso del denaro e me lo sono portato a casa, me lo guardo e me lo lustro. ma è un sentimento di appartenenza che deriva da un fatto barbaro, ovvero dalla corresponsione di un prezzo verso la consegna di un bene, ciò che è la cosiddetta causa del contratto, lo schema negoziale astratto sussunto dall'ordinamento positivo come meritevole di tutela. che è cosa diversa dal sentire. infatti il comodino non è mio per sempre. può rompersi, posso venderlo, posso donarlo per spirito di liberalità, posso permutarlo. al momento del mio distacco da esso, potrò forse avere qualche piccolo rimpianto, forse una piccola, tiepida lacrima potrà solcare la mia guancia, ma una volta che se n’è andato, se n’è andato.
invece l’opera no. non mi abbandona mai. è mia per sempre. il legame sentimentale che ho con essa potrà subire qualche affievolimento, come tutti i legami, ma l’opera, la mia opera, morirà con me. quando sarò sdraiato nel mio letto di dolore mi torneranno nelle orecchie quelle note, negli occhi quelle immagini.  

mi manca l’aria.

alcuni hanno congetturato, e poi approfondito, il legame tra matematica e musica.
matematica nella musica. matematica della musica.
ma tutto è matematica. sono matematica le onde del mare, matematica il giorno e la notte, matematica le foglie.
c’è tuttavia qualcosa che la matematica non riesce a carpire. ed è, appunto, il mistero generato da una sequenza di note.
una sequenza di numeri può provocare stupefazione, può meravigliare o stordire la verifica puntuale di una regola. ma la scoperta di una legge universale è per gli scienziati. il successo di una vita di ricerche, di ampolle e di infinite notti a provare combinazioni. è, certamente sì, anch'esso brivido lungo la schiena. ma è altra cosa.
è altra cosa rispetto al mistero contenuto nel si bemolle, e alla differenza tra esso e il re. e alla infinita serie di variazioni sullo stesso re, ognuna delle quali ha un suo sapore, un suo colore. e la domanda è: perché un’armonia in tono minore che si chiude in maggiore ispira ottimismo e compiutezza, mentre un finale in minore ci colma di melanconia?
io non ho studiato antropologia. ho studiato solo qualche libro di diritto. io non so come avrebbe reagito un abitante di un villaggio del centrafrica nel 1824 ascoltando l’ultimo movimento della nona. se si sarebbe messo le mani sulle orecchie. davvero la voce di Caruso che squarciava fiumi e alberi dal grammofono di Fitzcarraldo era sentita dagli indios come da lui?

poco sangue, poco ossigeno ancora.

non è affare mio, l’argomento. che ne so io, del movimento armonico? di che cosa sto parlando? non so nemmeno leggere il pentagramma e sputo a destra e a manca sulle barbe di grandi uomini. io non sono Galileo. sono nella caverna, ed è già tanto se riesco a trovare qualcosa da mangiare.

le braccia mi si allungano lungo il corpo. vado a scrivere una comparsa conclusionale.

giovedì 5 settembre 2013

richard gasquet

richard gasquet mi ha tolto il fiato.
ha battuto david ferrer, il piccolo nadal, al quinto giocando un tennis magnifico, un tennis che non si vede mai.

più ancora del numero impressionante di rovesci lungolinea vincenti così perfetti da lasciare a bocca aperta, voglio ricordare una volée bassa incrociata stretta di rovescio che è la cosa più bella che ho visto su un campo da tennis in un match maschile negli ultimi cinque anni.

e quindi, anche se sabato perderà in semifinale con la merda con il punteggio (vediamo di quanto sbaglio) di 7/6 6/4 6/3, lo ringrazierò per tutta la vita solo per quello.

chapeau.