giovedì 29 gennaio 2009

siamo tutti scrittori

ad onta del titolo che campeggia orgoglioso al posto suo, l'invettiva non è, mi auguro, l'occupazione quotidiana del sottoscritto.
nondimeno, secondo costume, quando i visceri chiamano, la mano risponde.

ebbene, uno dei più celebrati e potenti blogger italiani ha ritenuto di magnificare sul suo spazio web le virtù dell'ultima fatica letteraria della moglie, famosa almeno quanto lui, forse anche di più.

la mossa, se posso dire, non mi è sembrata di altissimo profilo.

ma le vette, sappiamo, sono poche e inaccessibili. si può anche commettere qualche peccato.
il motivo dei miei smottamenti nasce infatti altrove.

tempo fa dissi, con i mezzi di cui dispongo, della morte del senso.

credo che il libro di daria bignardi ne sia, di nuovo, viva testimonianza.

non ho letto il libro. non lo leggerò.
ne ho letto l'anticipazione, e mi basta per sentenziare che non è ben scritto.

credo che raccontare la storia di una famiglia sia una cosa commendevole.
tutti abbiamo i nostri ricordi, e le emozioni che li accompagnano. i giochi di bambini, le feste con i nonni, i modi di dire, gli scherzi, i drammi. tutti noi li conserviamo.

non tutti i racconti però dovrebbero avere dignità di pubblicazione.

conosco centinaia di persone che possiedono l'arte dello scrivere molto meglio di daria bignardi. alcuni di essi sotto sotto magari ci pensano, alla copertina e a mondadori. molti altri no. riconoscono i propri limiti.
inoltre, mi permetto, la spinta del dolore non è esclusiva dei migliori.
spinte meno nobili possono non essere considerate.

i libri andrebbero scritti dagli scrittori, come le canzoni cantate dai cantanti.
nell'età rurale, i libri li scrivevano in pochi, e li leggevano anche in pochi.
quei pochi che li leggevano sapevano in ogni caso di essere altro dallo scrittore.
oggi invece tutti scrivono libri, tutti hanno opinioni, tutti sono bravi, tutti sono artisti, tutti sono eroi.
tutti corrono in libreria a comprare federico moccia. tutti leggono qualcosa.
tutti adorano qualcuno. e tutti possiamo essere adorati.

se infiliamo una bottiglia di vino nel cesso, ci buttiamo sopra della vernice arancione a casaccio, e magari un paio di uova, poi stacchiamo il cesso dalla braga, gli diamo qualche buona martellata, lo portiamo in un museo e ci scriviamo sopra che è un'opera d'arte, ci sarà sempre qualche stronzo disposto a crederci.
hanno comprato la cacca in scatola. hanno comprato le tele tagliate di fontana.

purtroppo, se tutti siamo scrittori, nessuno è scrittore.

se fossi uno scrittore, affamato o sazio, scriverei. se avessi buone mani, farei il falegname.

ma io non possiedo alcun talento.

e infatti ho un blog.

sabato 24 gennaio 2009

milano

prologo: reputo questo post miserabile, scialbo e retorico. lo lascio a testimonianza della mia difficoltà a superare certe soglie.

per me non c'è città più commovente di milano.
a milano non c'è il mare. non ci sono fiumi. non ci sono montagne, né colline, né panorami da ammirare.
a milano però un cavalcavia può emozionare, un marciapiede.

milano è una città in bianco e nero.

perché per me è la casa di ringhiera, col bagno in comune in fondo al ballatoio, con il raffreddore, il vestito della domenica. la vita di due genitori che fanno fatica, il padre stanco che la sera si ferma all'osteria, la madre che stira le camicie per i maschi, i figli che dopo il lavoro vanno alla scuola serale.
persone che non ci pensano neanche, ad essere felici.

adesso che l'hanno colorata, le hanno rubato l'anima.
se volete capire milano, dovete guardare un qualunque filmato degli anni addietro.
le macchine scure, magari con i fanali accesi, gli impiegati con le borse, o gli ombrelli, le scarpe che si bagnano nelle pozzanghere, la gente che va avanti e indietro, che prende la metropolitana.
e poi, le gru, i cantieri. i muri di cinta.
una volta i cantieri erano un simbolo di libertà, un sogno. una città che sale, che si espande.
adesso non più.
ma la città resiste, io lo so. lo vedo nelle crepe dell'asfalto, nella luce dei lampioni, nei giardini.
la città respira ancora, sotto i cartelloni, sotto le facce sorridenti.
per me milano è questa canzone qui.
e io l'aspetto.

venerdì 23 gennaio 2009

ognuno

ognuno ha il suo. i suoi, a volte.
per me è stato un viale, un pomeriggio, a catania.
un pomeriggio d'inverno, pochi secondi. io e lui nell'automobile che scende tra i palazzi, il cielo pulito, il mare in fondo alla strada, il silenzio ovunque.

a un mio amico

buono o cattivo
io lo so che cosa sei
è da un po' che lo so
tuttavia, non è quello che sei che conta

paranoid park

gus van sant è un genio, autore di almeno tre capolavori.
è un regista che raggiunge un livello di imperfezione assoluta.
toglie un momento prima, oppure indugia, a volte decide.

ieri sera ho visto paranoid park, bellissimo, piaciuto ai cahiers.
il film ci fa ricordare i momenti che avremmo dovuto vivere tutti, quando osserviamo un oggetto, la mente oppressa, e ci chiediamo il perché della sua esistenza, della sua forma e del suo colore, ovvero di come possa non sparire ad un battito di ciglia, non mutare. del fatto che esistono cose come il tempo e lo spazio. e i nostri gesti, che con essi inspiegabilmente sembrano intersecarsi.

c'è un altro grande film, completamente diverso e purtoppo impoverito dagli ultimi dieci minuti, che parla delle beffe della sorte alla vita di un ragazzo: sleepers. un film molto intelligente e commovente. il regista voleva raccontare una storia e commuovere.

invece van sant ci fa entrare in un corpo, in una testa, in gambe e braccia.
e improvvisamente, mentre stiamo per assistere alla tragedia e viverla, arriva a toglierci il respiro il più alto momento che la musica dell'uomo abbia prodotto.
ovvero Ihr stürzt nieder, Millionen?
(a casa ho solo Furtwängler, e allora ho sentito grazie all'internet Karajan, Solti, Klemperer, Toscanini, Bernstein, Abbado. siccome sono un ignorante posso solo dire quello che mi ha emozionato di più)

poi ho rivisto come l'ombra, e l'ho apprezzato ancora.
ho colto due citazioni. la prima - decisamente evitabile, qualunque ne fosse la causa - da un famoso film italiano. la seconda, il volto e il sorriso di miranda prima di girarsi e correre su per hanging rock.

tsonga ha vinto contro ljubicic al secondo turno degli open d'australia grazie a una palla corta sul 4-6 servizio ljubicic nel tie-break del terzo.

una palla.

tutti siamo tornati a casa guidando completamente ubriachi, o fatti. quelle volte non c'era nessuno a guardare. oppure, ipotesi ambiziosa, c'era qualcuno.

giovedì 15 gennaio 2009

sei dolce come il fiele

Alla bellissima Lucia dai verdi occhi come il sole: mi fai impazzire ogni volta che ti vedo bere il caffè!

caro amico,
in primo luogo il sole è giallo, a volte arancione, al massimo, se vuoi essere poeta, come mostri quando collochi il tuo aggettivo, rosso.
verde no.
verde è il mare. o il prato.
mi rendo conto che non si può dire "alla bellissima Lucia dai verdi occhi come il prato". nondimeno, la metafora appare un poco sforzata.

in secondo luogo, ci dici che impazzisci ogni volta che lei beve il caffè.
d'accordo.
ma non è chiaro se impazzisci solo in quei momenti (tant'è che metti il punto esclamativo) o anche quando lei compie altri atti. oppure la vedi solo bere il caffè? nel qual caso, sarebbe utile assumere altri dati. insomma, in una prospettiva di lungo periodo, se lei non bevesse mai più caffè, impazziresti lo stesso?

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Al conducente della linea 202 di lunedì 12 gennaio alle ore7: 42: sei come un arcobaleno che riflette il tuo sguardo nel laghetto argentato.

dunque.
devi sapere che l'arcobaleno non riflette. il laghetto, ove adeguatamente argentato, lui riflette.
il conducente, benché in divisa blu, è tuttavia dipinto come l'arcobaleno. arcobaleno che riflette il tuo sguardo. forse volevi dire il suo sguardo.
no.
forse l'arcobaleno è come uno specchio che riflette il tuo sguardo? no, perché allora si perde il senso complessivo. è il conducente, l'arcobaleno. e poi, che fine fa il laghetto?
forse è lui che guarda il laghetto argentato e quindi...ecco apparire l'arcobaleno.
mah.
per me è questa cosa dello sguardo che scompagina un poco le carte.

facciamo così. diciamo che sei come un arcobaleno sopra un laghetto.

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Al ragazzo + stylish del II anno di ing energetica:
la tua camicia viola con cravatta e gilet è qualcosa di intrigante. Un tramezzino? By sassari4evah.

il ragazzo è indubbiamente molto stylish.
la camicia viola con cravatta e gilet (sebbene non sia dato capire se si tratti di quelle camicie con la cravatta disegnata, oppure, peggio, se tutto il tris di camicia viola, cravatta e gilet sia in realtà un pezzo unico, oppure se l'autrice ritenga - ipotesi che preferiamo - che la camicia viola accompagnata da cravatta dispensi dalla menzione del colore della cravatta medesima) è un abbinamento ad un tempo classico e ricercato.
la ragazza, sembra di capire ad una prima indagine, è sarda.
di qui, l'ansia del tramezzino.
che però, di nuovo, lascia aperti ampi spazi interpretativi.
potrebbe essere che l'offerta del tramezzino scaturisca immediatamente dall'intrigo provocato dall'abbigliamento stylish del ragazzo. ovvero, quando lei è intrigata, offre il tramezzino.
forse, invece, il tramezzino, con la sua colorata farcitura, le appare come il naturale complemento per l'abbigliamento del ragazzo.
oppure potrebbe essere che la ragazza desideri puntare sul basso profilo. parto col tramezzino, informale e disimpegnato, per poi giungere a traguardi più sostanziosi.
o forse, ipotesi che peraltro giunge a ricomprendere le precedenti, il tramezzino è una metafora.

lunedì 12 gennaio 2009

elogio della banalità e dei fiori

oggi ho visto il film across the universe, di julie taymor.
un film bellissimo.
a me piacciono i film scontati, in cui sai già come va a finire. il colpo di scena è sempre un colpo basso, e insieme una dichiarazione di insufficienza. le storie scontate richiedono molta bravura.

la banalità, va da sé, è un disvalore da quando si ritiene un valore l'originalità.
ma l'originalità non ha nulla a che vedere col talento. l'uomo è creativo, non originale. è tradizionale, non banale. la memoria non è mai noiosa, la Storia mai banale.

il film riesce, emozionando spesso, a raccontare una storia d'amore e a dare un messaggio di pace, entrambi soggetti antichi. nello stesso tempo riesce nella difficilissima operazione di interpretare più di trenta canzoni dei beatles e di ricordare un decennio. una storia prevedibile dentro il momento in cui prese piede la sottocultura.

a me sarebbe piaciuto vivere al greenwich village o a londra tra il 1965 e il 1970.
mi sarebbe piaciuto vivere in un mondo in cui ognuno poteva vestirsi come voleva senza correre il rischio di sembrare uno sfigato, ovvero non degno.

il fatto che ognuno sia obbligato a indosssare un certo vestito per non incontrare il rifiuto del suo prossimo ci conduce a un mondo retto da dittatori folli, popolato da uomini decerebrati, a un consorzio coatto, di quelli deplorati dalla letteratura.
invece è il mondo democratico di oggi. di oggi, qui.
attribuisco una considerevole porzione di responsabilità a quest'uomo.

se scorro le fotografie dei miei primi anni scolastici, vedo un gruppo di ragazzi che non avevano il problema della marca delle scarpe, delle calze, dei guanti, degli occhiali.

giorgio armani è stato, in italia prima e nel mondo poi, il più grande interprete e testimone della cultura della griffe.
ciò che a mio avviso rappresenta la rovina del mondo moderno.

ricordo che quando ho provato a insegnare diritto in una scuola per pluribocciati, alla periferia povera di milano, i miei studenti quindicenni vestivano solo capi "firmati".

il libero mercato ha abolito la differenza di classe.

paradossale, no?

domenica 11 gennaio 2009

pora stella

con tutti gli stronzi che c'erano stasera a ballando con le stelle hanno eliminato proprio corinne cléry, poverina, che c'è rimasta male.
io non l'ho visto, il suo ballo, come non ho visto il ballo di nessuno, ma sono convinto che non se lo meritava, ecco.
"non me l'aspettavo", ha detto lei, mentre io scrivevo il posti precedente.
e le veniva da piangere.
stefano bettarini invece, il bravissimo calciatore, era contento di essere rimasto in gara.

sabato 10 gennaio 2009

catalogo dei telefilm

allora.

sarà che sono un vecchio. sarà che gli ultraquarantenni che si sentono in dovere di disquisire sulle virtù di serie come "lost" o "24" mi lasciano perplesso.

sarà che, più probabilmente, ho fatto indigestione di telefilm quando ero giovane.

sì. è senz'altro quest'ultimo il motivo per cui, a differenza di tanti altri, ed è una differenza per la quale non credo di provare orgoglio, non riesco ad eccitarmi alla visione del dottor house o delle newyorkesi nevrotizzate da scarpe, borse e uccelli piccoli.

quando dico che non mi piace il gelato al pistacchio, è perché io il pistacchio l'ho assaggiato tante volte.

infatti mi sono messo lì, con fatica (ci ho messo due giorni), a elencare tutti i telefilm che ho visto in vita mia.

ed è uscito il catalogo che segue (i titoli sono quelli della programmazione italiana. si tratta dei soli telefilm, con esclusione pertanto degli sceneggiati televisivi come A come andromeda, I sopravvissuti, Olocausto, Orzowei e Sandokan che ho visto per intiero, oppure più antichi come Nero wolfe e Maigret, visti pure per intiero in età adulta)

dunque.

Io ho visto tutte, dico tutte, le puntate delle seguenti serie:

Mary Tyler Moore, Hazzard, Phyllis, Alice, Harlem contro Manhattan, La famiglia Bradford, Happy days, Agente speciale, Tre nipoti e un maggiordomo, Spazio 1999, George e Mildred, Il nido di robin, Ellery queen, Ralph supermaxieroe, Attenti a quei due, Pippi calzelunghe, Charlie’s angels, Colombo, Mork & Mindy, Simon templar, Tre cuori in affitto e naturalmente Furia.

Ho visto quasi tutte le puntate di:

I robinson, I Jefferson, Perry mason, Un uomo in casa, L’ispettore derrick, La banda dei cinque, L’albero delle mele, Hardcastle & McCormick, Nata libera, Vita da strega, La casa nella prateria, Barnaby Jones, Ufo, Gli eroi di Hogan, Maude.

Ho visto molte puntate di:

Bonanza, Cannon, Quincy, Casa Keaton, Batman, L’incredibile hulk, Cuore e batticuore, L’uomo da sei milioni di dollari, Cin cin, Ironside, Petrocelli, Laverne & Shirley, Love boat, Mai dire sì, Mannix, Lou Grant, Medical center, Alfred hitchcock presenta, Arcibaldo, Arsenio lupin, Mash, Zorro, Il mio amico Ricky, Get smart, Baretta, La donna bionica, Sulle strade di San Francisco, Chips, The Bill Cosby show, The Dick Van Dyke show.

Ho visto alcune puntate (diciamo da cinque a venti, suppergiù) di:

Strega per amore, Serpico, Matlock, Agente pepper, Marcus Welby, Magnum p.i., Hotel (con citazione obbligatoria per Connie Sellecca, mio grande amore adolescenziale, più ancora di Morgan Fairchild), Supercar, Missione impossibile, Nypd, Rhoda, Falcon Crest, Moonlighting, Ellen, Sanford and son, Il commissario Köster (con il leggendario Siegfried Lowitz).

Ho visto pochissime puntate, ma le ho viste, di:

Tony e il professore, Hawaii squadra cinque zero, T. J. Hooker, Simon and Simon, Hill street giorno e notte, Kojak, Starsky e Hutch, Saranno famosi, Matt Helm, Matt Houston, Mike Hammer, Miami vice, Murphy Brown, Uno sceriffo a new york, La strana coppia, Troppo forte.

Non ho mai visto nemmeno una puntata di Star Trek, nonostante mi senta, come tutti, magneticamente attratto da Leonard Nimoy.


martedì 6 gennaio 2009

Apocalisse 3,19

e così, oggi il foglio annuncia, con un comunicato che personalmente trovo abbastanza orrendo ("lavoriamo in una casetta affacciata sul Tevere e in un appartamentino milanese con il parquet che scricchiola divinamente...facciamo cadere in deliquio i maestri del gusto, irritiamo un sacco di gente, piacciamo a una folla di lettori...non siamo indipendenti, al massimo siamo scostanti") che da lunedì il prezzo del quotidiano sale del trenta per cento.

sostanzialmente, come fece già il manifesto anni fa, non ci stiamo dentro.

certo, il foglio è "uno dei giornali più belli del mondo"; il foglio è "indiscutibilmente un successo, ha un indice di interesse e di gradimento altissimo". certo.

certo, tutto aumenta, e la milano da bere non c'è più. nondimeno, i giornali sono in salute finché c'è qualcuno che li legge. non sarà che tante volte la gente, e magari i lettori stessi del foglio, ne hanno avuto abbastanza delle leccate di culo al santo padre e ai suoi bravi?

io gli do ancora un anno di vita.

todo modo

preceduto nelle scorse settimane da una sintesi elegiaca di paolo sorrentino, regista vicino agli sguardi nebulosi, stanotte raisatcinema ha trasmesso il famoso film di elio petri, per anni dato per disperso.
il film, distribuito nel 1976 e girato nel 1975, da un romanzo di sciascia dell'anno precedente, racconta una tre giorni di esercizi spirituali dei vertici della democrazia cristiana presso una parrocchia sotterranea realizzata intorno a un cimitero catecumenale, retta da un prete "cattivo, molto cattivo" (sono i preti cattivi che fanno grande la Chiesa, dice don gaetano).

tra una meditazione e l'altra, tra nervose riunioni per le sorti del potere e paternoster, ci scappano i morti.

le prediche di mastroianni (bravo, incredibilmente) sono anche emozionanti, ciccio ingrassia è sconvolgente, volonté come sempre strepitoso.

ma la grandezza del film sta proprio nei suoi luoghi. la chiesa (costruita con la tecnica del getto di cemento armato in casseforme in legno poi lasciato faccia a vista), le catacombe, gli antri oscuri in cui vagolano come nere talpe politici disumani, come formiche che seguono piste irrazionali, che conducono febbrilmente briciole di cibo avanti e indietro, che si fermano, si interrompono, poi ripartono, il libro sacro nelle mani. le stanze dell'ostello. gli arredi minimi, le porte e i letti in legno povero, le croci semplici.
la sala dove viene officiata la messa e dove alcuni perdono la vita è il luogo più inquietante. a un certo punto vi viene servito il pranzo, o la cena, e l'ingresso di suore e pretini che conducono il carrello, sotto il soffitto basso, male e poco illuminato, al centro di una tavolata a u ove siedono questi figuri grigi, brutti, maleodoranti dà davvero la nausea.

il film purtroppo patisce i soliti drammi del cinema italiano: il doppiaggio, la difficoltà di reggere una storia pesante senza sbracare, il gusto per la maniera, la tentazione del fellinismo.
infatti, dopo una partenza severa e promettente, il film assume tratti assurdi, profetici, apocalittici (l'opera di giovanni è citata in una bellissima predica, cfr. apocalisse, 3, 15).
il finale è eccessivo, i personaggi sono, come di consueto, caricaturali e grotteschi.
senza dire che anche qui sono riusciti a infilare, malamente, la solita pubblicità surrettizia. ma stavolta al posto del punt e mes c'è lo zabov, l'indimenticato zabov.

petri fu accusato di istigare al rapimento moro. l'accusa è assurda e inconsistente.
certo volonté se lo studiò, il presidente. tanto che, riportano, il regista tagliò i primi giorni di riprese perché troppo somigliante. in ogni caso, la tensione alla mediazione è fin troppo esplicitata.
andreotti arriva per ultimo, si siede a messa già iniziata, dà disposizioni ai pochi grandi e va via.

cercando in rete ho scoperto un blogger che si chiama todomodo, il quale apprezza il basket e alcuni libri che apprezzo anch'io e tuttavia, vale la pena dirlo, se la prende con berlusconi.

io me la canto e me la suono. e non sono più fortunato di lui.

resta il ritratto del potere. un potere vischioso, disgustoso, un potere celebrato nel buio insieme col rosario. un potere espiato a piedi nudi e nel sangue, con l'assoluzione del sacerdote, peccatore più di tutti, che detesta se stesso e la sua parola, che bacia la stola con meccanico orrore.
un potere rinchiuso, frammentato, esercitato da uomini indegni, vermi, abili solo all'odio e alla preghiera.

e resta l'intrigante domanda di don gaetano: perché confessò, e non negò, e confessò?

sabato 3 gennaio 2009

una società seria

Galliani: «Vi svelo il mondo Beckham»

«È un calciatore, vive per il mestiere. Vediamo quanto renderà con le apparizioni in tv. Forse anche a Sanremo»

sono il solo a cui sfugge qualcosa?

venerdì 2 gennaio 2009

about a boy

ieri sera mi sono cuccato ben due capolavori.
il primo, che avevo visto una volta sola in tenera età, è il mitico radiazioni bx: distruzione uomo (the incredibile shrinking man) diretto da jack arnold nel 1957, da un racconto di richard matheson, che scrisse anche la sceneggiatura del film.
me lo sono rivisto con crescente emozione e sorpresa.
un uomo viene investito da una strana radiazione che lo rimpicciolisce progressivamente. la scienza medica allarga presto le braccia. la moglie afflitta può solo consolarlo. durante i suoi terribili giorni trova per un breve periodo l'affetto di una bella nana, vive in una casa di bambola, sfugge alla fame di un gatto, duella per la vita con un ragno. poi, comprende.
un film che tocca temi eterni, girato con pochissimi mezzi e grandissima intelligenza.
uno splendido film, che oggi saprebbero girare solo con dispendio di luci e magie industriali.
ma la poesia sopravvive alla macchina.
per rendere onore anche al suo primo creatore, reputo non inutile riportare le ultime parole del celebre monologo finale: "Sono così vicini l’infinitesimale e l’infinito. Ma ad un tratto capii che erano due termini di un medesimo concetto. Lo spazio più piccolo e lo spazio più vasto erano nella mia mente i punti di unione di un gigantesco cerchio. Guardai in alto come per cercare di aggrapparmi al cielo: l’Universo, mondi da non finir mai, l’arazzo argenteo di Dio sul cielo notturno. E in quel momento trovai la soluzione all’enigma dell’infinito. Avevo sempre pensato nei limiti della mente umana, avevo ragionato sulla natura. L’esistenza ha principio e fine nel pensiero umano, non nella natura. Sciogliersi, diventare il nulla, le mie paure svanivano, e venivano a sostituirle l’accettazione. La vasta maestà del creato doveva avere un significato, un significato che io dovevo darle. Sì. Più piccolo del più piccolo avevo un significato anch’io. Giunti a Dio non vi è il nulla: io esisto ancora".

prima di questo gioiello avevo visto, con il medesimo godimento di tutte le occasioni precedenti, about a boy, diretto da due fratelli dal talento sprecato, anche questo tratto da un romanzo, dicono celebre.
il soggetto è l'inaspettata amicizia di un uomo di 35 anni, superficiale e benestante per grazia ricevuta, con un ragazzino di 12, gravato da madre hippy depressa.
prima di quello, sempre ieri, avevo visto blade runner: the final cut.
blade runner, in tutte le sue forme, appartiene a pieno diritto alla categoria dei film sopravvalutati.

agli artisti regolarmente piace dire che non guardano mai le loro opere. è una bugia, la cui pietosa causa è tuttavia comprensibile. nessuna opera d'arte resiste allo sguardo del suo autore. il romanzo non può finire. la pubblicazione equivale a una mutilazione. di qui il desiderio delle fiamme, o, nella declinazione deteriore, della revisione. queste versioni final cut/director's cut sono commoventi ma inutili.
ora, nella versione "definitiva" il regista ha tolto del tutto la voce off, presentissima nella prima edizione. mentre lo guardavo ho detto giusto la voce off è davvero pesante, dovrebbero eliminarla sempre. poi ho visto about a boy che mi ha messo subito a tacere, così imparo.

per me i film perfetti sono quelli che riesco a rivedere decine di volte in tutta serenità, senza alzate di sopracciglia o improvvisi sbadigli. di questa nobile classe fa parte about a boy.

il ragazzino (nicholas hoult) è dolcissimo, hugh grant bravissimo, la sceneggiatura molto divertente. tutto è calibrato, tutto è al suo posto.

a me piacerebbe essere amico di un ragazzino. sono convinto che, tra una partita a pes e l'altra, saprebbe insegnarmi tante cose. credo che, come era abitudine antica, giunti intorno ai 40 dovremmo adottare dei giovani virgulti, ovvero farci adottare.

stasera invece c'era fargo, che come tutti mostrano di sapere è un capolavoro.
al suo fianco, in contemporanea, c'era malice - il sospetto. il confronto rivelava la differenza di approccio verso il mezzo meccanico. al servizio della storia nel secondo caso, consustanziale all'opera nel primo.