sabato 8 dicembre 2007

le vite degli altri

le vite degli altri non è un bel film.

mi sono fidato dei pareri entusiasti di coloro il cui consiglio stimo e così l'ho comprato in pay per view. è un film che richiede allo spettatore troppa fiducia. il presupposto che lo sorregge è davvero difficile da trovare, atteso che non ve n'è traccia nella sceneggiatura e nella regia.
chiunque lo trovi bello vada a vedersi la conversazione, il primo capolavoro di coppola. film meraviglioso.

intanto, ho appena finito di rivedere il bellissimo ubriaco d'amore, di p.t. anderson, così ho rinfrancato lo spirito.

le vite degli altri. che brutto titolo.
io fino a una certa età ho covato una sorta di rifiuto per le case degli altri, soprattutto per la cucina. odiavo mangiare cibi cucinati da altri che non fossero mia mamma o mia nonna materna.
da grande ho superato il problema, che è rimasto a lavorare sottotraccia in misura innocua.

oggi provo una moderata repulsione per la spesa degli altri. come tutti, osservo con discrezione cosa compra il mio prossimo.
e inevitabilmente non capisco, sono sgomento e leggermente disgustato.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

questo post è indissolubilmente legato al tuo precedente. hackman rivisto da poco. mai convinto sino in fondo, montaggio alla 'Baretta'. quando ti leggerò intento ad incensare improbabili quanto poco cinematografici bagni con cuffiette di gomma capirò che la mutazione sarà completa. barbaro...

pim ha detto...

bella l'idea di baretta. ma baretta è posteriore. allora mettiamola così: quale fatto, secondo il regista e i suoi spettatori liberal, provoca la redenzione del cattivo? un simile iato non c'è nemmeno nel pure brutto episodio III. sarebbe ora che la smettessimo col fellinismo ("il cinema non deve dimostrare, deve mostrare") e cominciassimo a pensare che il bello (valga anche per registucoli alla jane campion) non è solo quello che vediamo.

Anonimo ha detto...

il 'cattivo' (sonata per le persone buone...)non si redime rispetto ad idee che continuerà a ritenere giuste, ma accetterà il fatto di essere parte di una macchina che quelle idee non promuove se non verbalmente(il funzionario che usa il potere per schiacciare le persone, per costringere la donna a sottostare ai suoi vizi). i suoi ideali di socialismo vanno nella direzione della promozione della collettività attraverso la fermezza nei confronti di chi vi antepone l'individualità. comunque essa si esprima. in ogni caso la collettività degli esseri umani. quando si rende conto che proprio l'uomo viene schiacciato dal regime fantoccio del quale fa parte, sceglie di difendere l'essere umano. non c'è redenzione. è coerenza. la svolta, l'evoluzione del protagonista non è una redenzione, ma la presa di coscienza di un uomo che nella vita reale non prende parte alla realizzazione delle proprie idee...realizzazione

Anonimo ha detto...

urca, allora non avevo capito.
il film è bello non perché parla di un regime totalitario, fascista e disumano che finalmente, grazie alle idee liberali del mondo occidentale e a gorbaciov (che mi pare si veda da qualche parte) viene messo da parte. no. è bello perché propugna l'idea del socialismo, dell'uomo nuovo e buono, di un mondo giusto che però in quel momento l'uomo non riuscì a realizzare. quel mondo che però tutti sogniamo e che anche se non si è ancora realizzato, certamente quando tutti gli uomini avranno imparato la lezione e saranno "buoni" si realizzerà.

no.

il socialista dal volto umano, il protagonista del film, crede nelle proprie idee al punto da continuare per anni a leccare le buste e poi, a germania unificata, a lavorare come l'ultimo dei portalettere. crede nel sistema che l'ha punito e degradato.
il regista invece lo disprezza, magnificando la libertà che si respira nella germania federale.
e nonostante ciò ha il coraggio di volerci convincere che è giusto esaltare l'eroe del mondo che si disprezza.
un po' come i dario fo, comunisti con la barca e la villa, pronti a sfoderare adorno e i martiri vietnamiti dalla comodità della poltrona frau.

tuttavia, ripeto, il punto fondamentale non è ideologico, è diegetico.
il punto è che la "presa di coscienza" come la chiami tu non c'è. un giorno il solerte funzionario mostra convinto ai giovani apprendisti le tecniche per l'interrogatorio ed esattamente il giorno dopo, senza che nessun avvenimento (per quanto lo spettatore ne possa sapere, ciò che è un dettaglio non proprio insignificante) abbia turbato il suo animo, diventa una spia.
questo è il fulcro narrativo intorno a cui si dipana tutto il film. peccato sia stato leggermente omesso.