ad onta del titolo che campeggia orgoglioso al posto suo, l'invettiva non è, mi auguro, l'occupazione quotidiana del sottoscritto.
nondimeno, secondo costume, quando i visceri chiamano, la mano risponde.
ebbene, uno dei più celebrati e potenti blogger italiani ha ritenuto di magnificare sul suo spazio web le virtù dell'ultima fatica letteraria della moglie, famosa almeno quanto lui, forse anche di più.
la mossa, se posso dire, non mi è sembrata di altissimo profilo.
ma le vette, sappiamo, sono poche e inaccessibili. si può anche commettere qualche peccato.
il motivo dei miei smottamenti nasce infatti altrove.
tempo fa dissi, con i mezzi di cui dispongo, della morte del senso.
credo che il libro di daria bignardi ne sia, di nuovo, viva testimonianza.
non ho letto il libro. non lo leggerò.
ne ho letto l'anticipazione, e mi basta per sentenziare che non è ben scritto.
credo che raccontare la storia di una famiglia sia una cosa commendevole.
tutti abbiamo i nostri ricordi, e le emozioni che li accompagnano. i giochi di bambini, le feste con i nonni, i modi di dire, gli scherzi, i drammi. tutti noi li conserviamo.
non tutti i racconti però dovrebbero avere dignità di pubblicazione.
conosco centinaia di persone che possiedono l'arte dello scrivere molto meglio di daria bignardi. alcuni di essi sotto sotto magari ci pensano, alla copertina e a mondadori. molti altri no. riconoscono i propri limiti.
inoltre, mi permetto, la spinta del dolore non è esclusiva dei migliori.
spinte meno nobili possono non essere considerate.
i libri andrebbero scritti dagli scrittori, come le canzoni cantate dai cantanti.
nell'età rurale, i libri li scrivevano in pochi, e li leggevano anche in pochi.
quei pochi che li leggevano sapevano in ogni caso di essere altro dallo scrittore.
oggi invece tutti scrivono libri, tutti hanno opinioni, tutti sono bravi, tutti sono artisti, tutti sono eroi.
tutti corrono in libreria a comprare federico moccia. tutti leggono qualcosa.
tutti adorano qualcuno. e tutti possiamo essere adorati.
se infiliamo una bottiglia di vino nel cesso, ci buttiamo sopra della vernice arancione a casaccio, e magari un paio di uova, poi stacchiamo il cesso dalla braga, gli diamo qualche buona martellata, lo portiamo in un museo e ci scriviamo sopra che è un'opera d'arte, ci sarà sempre qualche stronzo disposto a crederci.
hanno comprato la cacca in scatola. hanno comprato le tele tagliate di fontana.
purtroppo, se tutti siamo scrittori, nessuno è scrittore.
se fossi uno scrittore, affamato o sazio, scriverei. se avessi buone mani, farei il falegname.
ma io non possiedo alcun talento.
e infatti ho un blog.
giovedì 29 gennaio 2009
siamo tutti scrittori
scoreggiato da pim alle ore 01:08
Etichette: letteratura, luca sofri
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12 commenti:
AH, PERCHè HAI PARLATO DI FONTANA??
Magari avessi detto Borra l'ineffabile.
ho scelto fontana per quello che rappresenta.
così, se uno vuole dire male del cinema italiano, non c'è che muccino.
Geniale! sto già sbullonando il cesso!
AM
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