l'omologazione, l'obnubilazione, quello che una volta si chiamava conformismo. la volontà, ontologica, di essere compresi trova un cammino semplice: un consenso automatico figlio della adesione a schemi pre-confezionati dall'industria culturale. mi vesto quindi sono, acquisto quindi sono, appaio quindi sono. niente di nuovo. mi domando se sia dunque possibile ipotizzare un sistema di libero mercato nel quale possa convivere l'istanza relativa alla ricerca del consenso privata della coazione prodotta dalle necessità indotte. dal momento che il periodo storico in cui versano e l'economia e la ricerca universitaria non mi pare dei più floridi; dal momento che neppure mi pare di intravedere alternative di qualche interesse e di qualche spessore alla sosta intelletuale del nostro paese (che non siano il révirement della plebe e dei parrucconi in ordine alla legittimità della lotta armata, il cosiddetto ceto medio essendo stato appunto reso incapace di fare e pensare), penso sia opportuno da un lato superare - è tempo - l'equazione marxista per la quale il capitale crea (sostanzialmente) l'infelicità, un mondo disuguale dunque brutto, eccetera, da un altro appunto provare a suggerire un'operazione culturale che parta dalle fondamenta del sistema (l'istruzione primaria, i mezzi di comunicazione, le famiglie) per liberare le menti dalle maglie infernali della pubblicità. per adesso mi fermo. sono stato un po' appiccicoso. alla prossima mi spiego meglio.
mercoledì 4 luglio 2007
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2 commenti:
E se fosse insita nella natura umana l'equazione mondo disuguale dunque brutto?
L'omologazione e il conformismo non soddisfano forse (nella maniera sbagliata e con una forte spinta propulsiva verso il basso) il desiderio di uguaglianza?
I pubblicitari, che sull'animo umano la sanno lunga, non fanno leva proprio su questo?
Il vero nocciolo della questione è che si è passati dal desiderare una società dove tutti avessero uguali opportunità e uguale dignità pur conservando le proprie caratteristiche e particolarità ad una società dove opportunità e dignità diverse confluiscono inesorabilmente nelle celle prefabbricate dell'industria culturale.
ciò che è insito nella natura umana è oggetto, converrai, delle più disparate teorie, tutte come sempre abbondantemente suffragate. per parte mia, credo più umana la sopraffazione e la prevaricazione che l'afflato verso l'uguaglianza. a questa stregua ritengo quindi più rivoluzionario lo spezzare il pane (il più alto gesto di Cristo non è che, simbolicamente, l'idea del condividere risorse finite...)
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