per sgombrare il campo da dubbi, premetto che io non sono esattamente uno di quelli che corrono in soccorso degli zingari quando qualcuno minaccia di farli sgomberare. né, mi pare, ho mai intonato peana in onore dei salvataggi dei relitti colmi di emigranti effettuati al largo delle acque territoriali.
nondimeno, qui e ora formulo la seguente asserzione: l’immigrazione è una risorsa per un paese.
gli stati uniti d’america, come tutti sanno, sono il paese più potente del mondo grazie ai signori chang, o’grady, esposito e vasquez. noi abbiamo portato anche i corleonesi, si dice. argomento debole. non mi ci metto neanche.
l’altro giorno mi è accaduto di dover sentire mio fratello che tesseva lodi sperticate dell’australia.
l’australia, dico. il paese più stronzo del mondo.
dunque, l’australia è il sesto paese al mondo per estensione: 7.686.850 km2 . venticinque volte l’italia. la sua densità di popolazione è 2,6 abitanti per km2. per densità si trova al 228 posto su 236 paesi. dietro ci sono la mongolia, il sahara occidentale, le falkland, pitcairn (popolata solo dai discendenti degli ammutinati del bounty) la groenlandia e le svalbard.
uno dice urca con tutto quello spazio c’è posto per tutti.
infatti andare a vivere in australia è facilissimo.
se hai meno di 45 anni (altrimenti non puoi andare a vivere in australia) e per qualche motivo non hai nessuno che garantisce per te, devi dimostrare di saperti mantenere, devi avere un lavoro, devi dimostrare di poter fare quel lavoro (che deve essere incluso nell’apposito elenco governativo) anche in australia. soddisfatte queste condizioni, puoi fare domanda. la domanda verrà valutata. e ti faranno sapere.
ora, sapete bene, babbini, che l’australia è stata colonizzata che non è molto tempo dagli inglesi, alcuni dei quali sono stati mandati laggiù perché troppo pericolosi per stare in inghilterra, mentre gli altri, quelli che potevano circolare a piede libero, hanno pensato bene di sterminare tutta la popolazione autoctona.
gli australiani sono ignoranti, arroganti e bifolchi. non hanno mai espresso niente. non sono nessuno. anche oggi, che sono pieni di ricchezze, non di distinguono nella ricerca, nell’innovazione, nell’arte, nella cultura.
sono zero. l’australia è zero. il suo peso politico è zero.
dovrebbero regalarle, le loro terre. regalare le concessioni a tutti quelli che si presentano.
dovrebbero diventare una nazione, invece di restare un covo di piduisti analfabeti.
fottuta australia.
mercoledì 31 ottobre 2007
l'australia
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martedì 30 ottobre 2007
I consigli del collega
difendo il conduttore di un immobile adibito ad uso negozio.
la proprietà vuole l’immediata riconsegna sostenendo che questi non ha alcun titolo per stare dentro, poiché il contratto si è risolto con provvedimento del giudice ed è stato anche eseguito il rilascio. io sostengo che c’è stata successiva stipulazione verbale, consacrata dalla consegna delle chiavi, che consente al mio cliente la detenzione. e promuovo ricorso perché il suo diritto venga accertato dal giudice.
il proprietario nella notte cambia la serratura.
stamattina scrivo un fax al collega che difende la proprietà per dirgli che: a) pende il ricorso; b) è opportuno che il suo assistito desista dall’uso arbitrario delle proprie ragioni.
un minuto dopo la ricezione del fax mi chiama il collega
"ma lo sa chi sono i miei clienti?"
"mi sta minacciando, collega?"
"no, non la sto minacciando. lo sa o no chi sono i miei clienti?"
"lo so, certo"
"ecco, allora si regoli di conseguenza"
tralascio il resto.
ora voi numerosi lettori vi chiederete chi sono i proprietari dell’immobile.
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lunedì 29 ottobre 2007
una buona regola
ci sono film misteriosamente fortunati (il rocky horror picture show, per esempio, che a milano proiettano ininterrottamente da trent'anni, un po' come febbre da cavallo a roma) e altri film che la fortuna se la cercano, magari venendo alla luce nel momento giusto. per esempio il grande freddo. che nonostante quando uscì sembrasse il classico prodotto della cultura democratica anni '80, è un bel film. è scritto bene, c'è qualche bravo attore (kline, goldblum), qualche attore sopravvalutato (close, hurt), qualche onesto lavoratore (place, williams, tilly, berenger).
kasdan è un regista e sceneggiatore le cui qualità sono state apprezzate meno di quanto meritassero.
invece di citare i suoi titoli (wikipedia, all'uopo) cito appunto una frase dal grande freddo, che mi pare esprima una regola buona anche per i post sui blog.
"dove lavoro io abbiamo una regola: non scrivere mai niente che non possa essere letto da un uomo medio durante una cagata media"
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venerdì 26 ottobre 2007
marco ferreri
tra i paradossi che turbano me e la mia ansia di comunicare, il mio preferito è questo: c’è sempre qualcuno o qualcosa che risponde alle mie domande, senza saperlo.
oggi alla storia siamo noi si raccontava un po’ la vita e l’opera di marco ferreri.
la risposta l’ha data lui. di meglio non potevo aspettarmi.
la moglie, racconta, lo sollecita alla lettura di libri, e lui risponde " ma no, ma va’, mettersi lì, con un libro, a leggere. noiosissimo".
alla domanda "che rapporto ha col cibo?" ha risposto "un rapporto di fame".
grande ferreri. uomo intelligente, fortunato nelle amicizie, inseguitore di un indifeso ottimismo, in perenne conflitto, delicato, affaticato.
uno che aveva capito il senso delle cose. o quanto meno, che è quasi tutto, dell’importanza di una tavola.
autore di uno dei più bei film di sempre: dillinger è morto.
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"loro"
il post precedente era sul pesante.
ritengo opportuno alleggerire la zona tornando sui binari e sugli argomenti a me più cari.
la dottoressa clementina forleo, magistrato della repubblica, ha tenuto di nuovo banco (e con lei altri due magistrati) in televisione ieri sera (tre ore fa, insomma).
tra le altre cose ha dichiarato che è dovere del magistrato esporsi sui media. esporsi e finanche sovraesporsi.
ebbene, io credo che i magistrati per legge non solo non dovrebbero poter parlare; non dovrebbero nemmeno avere né un nome né un cognome. dovrebbero chiamarsi magistrati. come i soldati. come i preti.
solo la carica. solo così.
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don siegel
lo sgomento prende vieppiù piede.
il sentire del momento è nel senso del supplizio.
e il blog aiuta a stare peggio.
è un po' come i cattivi: c'è sempre uno più cattivo.
c'è sempre un altro libro, un'altra intelligenza. un'altra scoperta.
c'è sempre un passo in più da fare.
e nello stesso tempo la percezione dell'inanità dello sforzo.
tuttavia, non ho il coraggio di andare in groenlandia e stare solo tra i ghiacci, nel silenzio, senza paura. e poi, se è peggio, non invoco, e non sento la Chiamata.
vivo qui e penosamente agogno la vera atarassia.
senza preavviso mi viene in mente che sta circolando nelle sale il terzo remake del capolavoro di don siegel. ogni quindici anni lo rifanno. gli americani sono specializzati nel veicolare surrettiziamente messaggi attraverso l'apparente affermazione del loro contrario. questo perché gli americani non hanno stima dell'opera d'arte. non pensano che le opere abbiano dignità in sé, che sopravvivano al loro autore o, peggio, che gli si possano rivoltare contro. rozzi come sono, incapaci di considerare la creazione come qualcosa di diverso dal creatore, pasticciano sempre. come se l'opera fosse morta, anziché nata. ma sono anche ingenui, e per questo non colpevoli. troppo facile vedere dove si va a parare.
periodicamente ci si salva dalla fine del mondo. dagli alieni, dai virus, dai mostri.
periodicamente si scopre che era tutto un sogno, che era tutto finto.
sempre resta dunque la domanda.
e torniamo a siegel e al perché ci ripropongono gli ultracorpi.
il motivo è chiaro.
alla fine sognamo tutti di smettere di sognare.
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martedì 16 ottobre 2007
le palme selvagge
“donne, merda”
così termina “le palme selvagge” di william faulkner.
non è un romanzo. sono due storie parallele, alternate, che non si incrociano mai.
la storia di due amanti e la storia di un galeotto che salva una donna incinta.
milan kundera giudica la scelta come arbitraria e ingiustificabile e tuttavia data da un es muss sein (deve essere - una frase che a lui, par di capire, è sempre piaciuta) che la salva.
l’es muss sein di kundera è un po’ un grimaldello.
io azzardo un’ipotesi diversa.
le due storie sono unite. e sono unite proprio dalla Donna.
le donne sono i veri pilastri delle storie.
la prima è la forza, la volontà, il coraggio.
la seconda è la propulsione inconsapevole, la guida muta, il movente silenzioso.
la prima è la morte, la seconda la vita.
la prima, con il suo carattere fermo, capace di determinarsi a scelte esiziali, capace di lasciare un marito benestante e due figlie per un medico fallito, capace di lasciare la sua arte, capace di darsi un destino e seguirlo fino alla fine, è nel suo grido disperato. è la parola.
la seconda non parla mai, non se ne conosce nemmeno il nome. è simbolica. è madre.
ma è anche corpo, peso, obbligo. è il segno.
entrambe seguono i loro uomini, la prima in giro per l’america, tra miniere in mezzo ai ghiacci, città e ferrovie, la seconda sempre e solo in una barca, un legno mezzo marcio lungo un fiume mostruoso che esonda e travolge campi e paesi.
seguono e guidano. forze antiche, oscure, universali. immote e soverchianti.
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sublim
ho scritto più o meno un centinaio di canzoni. la prima a 12 anni, l'ultima a 23.
qualche mese fa la mia vena creativa, che pensavo irrimediabilmente inaridita, si è risvegliata e ha dato un nuovo frutto.
fa così: sublim, sublim, sublim sublim sublim.
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herbert marcuse
oggi cito.
cito chi ha scritto molto prima e molto molto meglio di me.
il totalitarismo democratico. la tolleranza repressiva. la non-libertà.
il libro è l'uomo a una dimensione. 1964.
"Il fatto che la grande maggioranza della popolazione accetta ed è spinta ad accettare la società presente non rende questa meno irrazionale e meno riprovevole. La distinzione tra coscienza autentica e falsa coscienza, tra interesse reale e interesse immediato, conserva ancora un significato. La distinzione deve tuttavia essere verificata. Gli uomini debbono rendersene conto e trovare la via che porta dalla falsa coscienza alla coscienza autentica, dall’interesse immediato al loro interesse reale. Essi possono far questo solamente se avvertono il bisogno di mutare il loro modo di vita, di negare il positivo, di rifiutarlo. È precisamente questo bisogno che la società costituita si adopera a reprimere, nella misura in cui essa è capace di "distribuire dei beni" su scala sempre piú ampia e di usare la conquista scientifica della natura per la conquista scientifica dell’uomo".
"Alla negazione della libertà, e perfino della possibilità della libertà, corrisponde la concessione di libertà atte a rafforzare la repressione. È spaventoso il modo in cui si permette alla popolazione di distruggere la pace ovunque vi sia ancora pace e silenzio, di essere laidi e rendere laide le cose, di lordare l’intimità, di offendere la buona creanza. È spaventoso perché rivela lo sforzo legittimo e persino organizzato di conculcare l’Altro nel suo proprio diritto, di prevenire l’autonomia anche in una piccola, riservata sfera dell’esistenza. Nei paesi supersviluppati, una parte sempre piú larga della popolazione diventa un immenso uditorio di prigionieri, catturati non da un regime totalitario ma dalle libertà dei concittadini i cui media di divertimento e di elevazione costringono l’Altro a condividere ciò che essi sentono, vedono e odorano".
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lunedì 15 ottobre 2007
ecco lui per esempio
in questo momento serena dandini sul divano della sinistra democratica e colta sta conversando amabilmente con un magistrato. si danno del tu. dietro di loro un enorme poster col suo nome.
si tratta di un uomo meridionale, bello, sicuro di sé, camicia nera con maniche rimboccate, jeans slavato, sorriso compiaciuto. alle domande della conduttrice risponde con disinvolta vanità. scrive libri. si parla dei suoi vizi, si parla del codice penale, si parla di politica, del fratellino disegnatore di fumetti. applausi. citazioni letterarie. non sbaglia una battuta. è una star.
ecco, costui è esattamente il contrario di come dovrebbe essere un magistrato.
si chiama carofiglio. gianrico carofiglio.
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domenica 14 ottobre 2007
l'uomo dell'angolo occasioni
io ti conosco, sai.
conosco tanta gente.
è bella la gente. le persone, gli altri. mi piacciono.
anche tu mi piaci. io ti guardo, ti osservo, anche se non sembra.
chissà cosa pensi di me. forse pensi che sono un po' strano, un po' stupido forse.
che buffo. può essere, non lo so.
sono quello che lavora all'angolo occasioni.
sì, nel famoso capannone, quello dei mobili.
quando sono arrivato, poco più che ragazzino, mi hanno messo all'angolo occasioni. io lo sapevo che non era un posto di grande responsabilità, ma ero contento lo stesso. e poi ero appena arrivato, mica potevo pretendere gran che. i capi l'avevano capito subito, che ero un buono. gli altri avrebbero storto il naso, avrebbero cominciato a lamentarsi. mettiamoci quello, all'angolo occasioni, si erano detti. e io ci sono andato volentieri.
l'angolo occasioni è in posto dove passano tutti. quindi posso vedere un sacco di gente. quelli che conosco già e tutti quelli che devo ancora conoscere. è un posto bellissimo.
sono passati tanti anni. e sono ancora qui.
li ho visti tutti. i miei amici, i miei compagni di classe, quelli che venivano alla mia stessa scuola, quelli del mio palazzo, del mio quartiere. e poi li ho visti crescere. ho visto i loro figli, le loro famiglie, proprio come ho visto la tua.
e poi ho visto i figli dei tuoi figli. e i loro figli.
ho visto tanta gente. me li ricordo tutti.
non è faticoso per me il ricordo, è piacevole. e mi viene facile. ogni tanto mi diverto a ricordare a qualcuno una sua frase, qualcosa di cui si era scordato, e vedere il suo stupore.
anche io però ho avuto il mio oblio. di quei giorni là non mi ricordo molto.
non mi ricordo, come invece possono altri fortunati, la luce, la mano calda, la veste bianca, il cuscino soffice, la quiete serena. niente.
quando mi hanno rimandato giù, non mi hanno detto niente. mi hanno sorriso, e basta.
ed eccomi qui. i miei occhi, i tuoi occhi.
un inganno, ma non sempre.
sono vecchio. anche se nessuno sa quanti anni ho (non lo so nemmeno io), sono vecchio.
un domani, credo, anche per me sarà il tempo di tornare. tutto sommato mi sta anche bene.
chissà come sarà, quel giorno. immagino un giorno come tutti gli altri. finisco il turno di lavoro, saluto i colleghi e torno a casa.
ecco, quel giorno sarà triste perché guarderò per l'ultima volta, commosso, i miei dischi, i miei strumenti.
magari te li prendi tu, tu che mi stai leggendo. a me va bene.
adesso te lo posso dire.
tutti mi chiamano con un soprannome, ma mi chiamo francesco, proprio come il santo.
io non sono tanto santo. direi di no.
mi hanno mandato qui non so nemmeno perché.
direi che quasi mi vergogno un po' di quello che sono.
infatti non lo dico a nessuno. vendo i mobili e basta. vendo i mobili e mi ricordo di tutti.
e li porto dentro di me.
dentro di me, per sempre.
scoreggiato da pim alle ore 23:33 4 commenti
mercoledì 10 ottobre 2007
i miei problemi con il cinema
che bello, il cinema.
è il regno della compressione.
per fare innamorare una ragazza bastano poche righe di sceneggiatura.
e quando ci si deve lasciare, o arrabbiare, si scelgono sempre le parole giuste, dette nel modo giusto.
il cinema è la vita semplificata, disidratata, liofilizzata.
ma a me non piace la vita del cinema.
mi piace la vita vera. quella con le pause, gli imbarazzi, le parole sbagliate, le facce brutte, le incomprensioni, le ripetizioni.
i corti di olmi sono un po’ così. lunghi, noiosi, estenuanti
muccino è uno che ha pensato di fare vedere la vita vera, lui e le sue urla, i suoi piagnistei. non c’è riuscito. il peggiore di tutti è gianni amelio, che ha voluto girare il film realista e poi ha detto "è cinema dalla prima all'ultima inquadratura".
quando andremo in patagonia o in umbria a ritrovare noi stessi dopo una lacerante separazione non incontreremo, nella modesta locanda ove andremo a riposarci, la barista bella e sensibile che si innamora di noi.
non incontreremo nessuno, staremo soli e torneremo soli.
quando vado al cinema non voglio vedere rappresentati i miei desideri, realizzati i miei sogni. non voglio vedere famiglie felici e cattivi in gattabuia. soprattutto non voglio vedere più persone intelligenti di quante non ne potrei incontrare uscendo dal cinema. è avvilente.
herzog e pasolini, i due esempi che mi vengono per primi, sono riusciti a non fare del cinema verità facendo del cinema puro.
alcuni registi vorrebbero disegnare, non filmare.
disegnare è meglio. disegnare è creare qualcosa che prima non esisteva. filmare è utilizzare materiale esistente. disegnare è attivo, filmare è passivo. disegnare è scopare, filmare è guardare.
quel pirla di fellini, nella sua ansia plastica, con la sua smania di fare il "regista visionario" (espressione squallida se ce n’è una) non ha saputo fare bene né una cosa né l’altra.
terry gilliam, per fare un esempio, è invece uno che fa un cinema che si avvicina al disegno.
così anche von sternberg, ophuls, wilder, per fare esempi meno evidenti.
il sottoprodotto sono i registi di videoclip
molti registi avrebbero voluto creare i loro attori. avrebbero preferito avere un po’ di terracotta sulla quale alitare.
se sapessi disegnare passerei la giornata a inventare donne con grosse tette, magari strizzate in guêpière nere, oppure con maglioni attillati, magari celesti, con le maniche corte e il collo alto, i capezzoli bene in rilievo.
poi, naturalmente, mi innamorerei di qualcuna delle mie creature e, geloso, non tarderei a godere delle disgrazie nelle quali le vedrei precipitare, per salvarle all’ultimo momento.
quelli che non sanno disegnare, scrivono.
l’ansia della creazione. se non per immagini, per suggestioni, per indizi.
il cinema, purtroppo, cancella gli errori, i malintesi, gli equivoci dell’esistenza. conosce i suoi propri errori, errori di una lingua diversa, poco interessanti.
ed è un peccato che le esigenze grammaticali sacrifichino tanta parte della nostra realtà. anche perché poi, per spirito mimetico, cerchiamo di aderire a quel linguaggio, di copiarlo. e finiamo, nella migliore delle ipotesi, col non capire più niente.
il cinema americano, più di altri, è candeggiante. pulisce le scorie della vita. concentra.
il cinema francese è sospendente. c’è sempre un non detto, un non visto, un non capito.
il cinema italiano è deprimente. c’è sempre un romano, un rimpianto, un tramonto.
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Etichette: cinema, pasolini, werner herzog
venerdì 5 ottobre 2007
io sto col Ritardato
viva raisat extra.
ho visto la puntata.
ha ragione il professore. santorre fa pena.
aveva ragione berluscone, e adesso ha ragione lui.
e hanno torto tutti gli altri.
e poi mastella è bello.
nota a margine: la forleo era, evidentemente, l'imitazione della forleo.
scoreggiato da pim alle ore 22:28 2 commenti
i magistrati, gli avvocati, le parti.
ieri sera ho visto il film l’appuntamento, di jean delannoy (1961). bello. ben girato. annie girardot emozionante.
quindi mi sono perso la puntata della trasmissione di santorre nella quale, ho poi visto, è intervenuta la clementina nazionale.
qualche parola sui magistrati.
i magistrati si rompono i coglioni.
entrano in magistratura perché essere magistrati è bello, dà lustro, onore, gloria, un po’ di danaro, e diverse immunità.
quello che non sanno quando passano il concorso è che poi devono fare le sentenze.
gli avvocati invece lo fanno solo per il grano
fare l’avvocato è facile. una volta superato l’esame, e prima o poi lo superano tutti, si comincia.
è un mestiere che può fare chiunque. non bisogna essere particolarmente intelligenti, preparati, colti, onesti.
è un po’ come fare il benzinaio, o il cameriere.
la cosa bella è che puoi chiedere al cliente quello che vuoi tu.
e allora fuoco a volontà.
i clienti, generalmente, sono brutta gente.
non è sbagliato dire che un po’ sono stati male educati dagli avvocati.
mentono, non si fidano, non pagano, scappano, ti si rivoltano contro.
già quindici anni fa sentivo dire l’orrida frase "il cliente è il tuo peggior nemico".
insomma, io cerco di fregare te, tu cerchi di fregare me. questo è il rapporto cliente-avvocato.
sopra di essi c’è il giudice.
il giudice si alza la mattina e solo al pensiero di un’udienza con 40 avvocati alle ore 9.30 gli viene il mal di testa.
infatti a volte non ce la fa. chiama la cancelleria e dice "ho mal di testa, mettete fuori dalla mia aula un cartello che le cause sono tutte rinviate a data da destinarsi". e torna a letto. o porta il bambino al parco. quando ce la fa, arriva (in ritardo) e comincia l’udienza. le cause sono sempre tante, troppe. non gliene interessa nemmeno una. sempre le solite palle. la solita gente che litiga senza motivo. e poi gli avvocati, che prendono più soldi di lui e lui gli deve pure liquidare le spese, gli avvocati che spingono i clienti a fare ‘ste cause senza motivo. all’ora di pranzo ha finito e va a casa.
a casa lo aspettano milioni di sentenze da fare. si sente male. lui cerca di farle, ma quelle più ne fai e più te ne danno da fare. è un inferno. dopo un paio d’anni di questa vita comincia a vivere in un mondo tutto suo. sogna, levita, se ne va, sparisce. resta il suo corpo. alcuni si mettono a scrivere libri, diventano ospiti fissi al processo del lunedì, scendono in campo, cambiano mestiere.
l’avvocato si alza la mattina ed è in tensione per l’udienza. vada come vada la quale, tornato in studio pensa a come portare a casa un po’ di soldi. lo studio costa. e poi deve comprare la macchina nuova. e poi c’è la famiglia. quindi si concentra sulla parcellazione. qui ognuno ha il suo sistema. verso le 19 o verso le 20 va a prendere l’aperitivo con altri stronzi come lui. dice cose che non pensa a gente che non lo ascolta e che guarda solo come è vestito. dopo l’aperitivo, a casa a rompersi i coglioni oppure fuori a cena a continuare la mascherata. dopo un paio d’anni alcuni si convincono di quello che stanno facendo e proseguono tranquilli. altri diventano dei disadattati e prima o poi finiscono con il massacrare la famiglia o nel silenzio perpetuo di un eremo.
scoreggiato da pim alle ore 13:01 2 commenti
Etichette: magistrati
giovedì 4 ottobre 2007
mercoledì 3 ottobre 2007
la chiesa democratica
questo dovrebbe essere uno strappo alla regola (che vorrebbe il blog lontano dal costume), ma non ne sono tanto convinto. né dello strappo, né quindi della regola.
parentesi. l’espressione strappo alla regola mi fa sempre venire in mente la trasmissione di cabaret “due di tutto”, una pezzentata pazzesca che davano sulla rai più di vent’anni fa in cui a un certo punto arrivava una con le bombe grosse e una maglietta con la scritta “la regola” e siccome il numero seguente sarebbe durato più di due minuti, si dava luogo allo strappo. e alla visione delle bombe.
non so quanti lettori abbia perso o guadagnato il foglio da quando il suo direttore ha scelto di mutare la linea editoriale e farlo diventare l’organo ufficiale della CEI.
avrà perso un po’ di liberali e guadagnato qualche baciapile, immagino.
l’altroieri sera da ferrara c’era il teologo vito mancuso.
il teologo. persona degnissima, s’intende, ma sempre teologo.
ieri sera si parlava della birmania.
ferrara ha esordito dicendo che in birmania “il clero si batte per la libertà”.
ora, io sono contro il relativismo.
e sono quindi a favore di un pensiero forte. rectius, del pensiero.
la sinistra ha avuto il grande demerito, tra i tanti altri, di favorire, all’alba del fallimento marxista, l’ascesa del pensiero debole, attraverso i vattimo e i cacciari.
pensiero debole che ancora oggi è portato avanti dall’intera classe politica. in questo caso, oltre tutto, filtrato dalla pochezza culturale dei suoi campioni quando non rappresentato addirittura in modo inconsapevole.
ebbene. la scelta di sposare il Pensiero s’imponeva, di fronte alla dilagante ascesa dei simpatici maomettani.
ritengo, nel mio piccolo, che la scelta di sposare la chiesa cattolica sia stata la più facile, la più comoda e la più pericolosa.
la più facile e la più comoda perché ci sono biblioteche sterminate, pensatori finissimi, strumenti infiniti.
quando hai a disposizione san tommaso, non ti serve scomodare massimo fini.
la più pericolosa perché conduce a una strada chiusa.
la chiesa cattolica non è democratica (piantiamola con questa cosa patetica che i cattolici, loro sì, ci lasciano essere atei, se vogliamo. vorrei anche vedere); essa è, anzi, espressione del pensiero reazionario nel senso deteriore del termine.
vorrei chiarire: la religione è una cosa seria (come può esserlo il male). la chiesa cattolica no.
bisognerebbe cercare di non fare confusione.
sì, perché san tommaso va bene anche a me. e anche sant’agostino.
la speculazione filosofica cristiana è, spesso, altissima.
è la filosofia anche cristiana che possiamo riguadagnare, da cui possiamo tornare a prendere le mosse.
ma non sono i papi.
per svegliare le coscienze intorpidite dal relativismo, per contrapporsi alla teocrazia islamica non è necessario vagheggiare anche da noi il potere temporale dei papi.
e poi, forse, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato non l’ha detto solo gesù.
non basta pubblicare ogni tanto un articolo su drieu la rochelle
si può, per esempio, fare ciò che la sinistra italiana, finché ne ha avuto la possibilità, ha impedito. rivalutare la storiografia cosiddetta di destra, lo spiritualismo, il tradizionalismo. per esempio riparlare di julius evola. per esempio riparlare di gnosticismo, di neoplatonismo, dello spirito liberale che animò i mutamenti politici del diciottesimo secolo. del terreno culturale sul quale nacque la massoneria.
no. il papa.
il papa, i cardinali, i teologi.
la teologia è una disciplina di eccezionale interesse.
ma per chiudere le moschee non serve.
scoreggiato da pim alle ore 15:53 11 commenti
Etichette: chiesa, giuliano ferrara, politica, relativismo
martedì 2 ottobre 2007
intorno alla verità
dice che il pm de magistris, poco amato, pare, dal ministro mastella, sta scrivendo un memoriale. dice che è già arrivato a 400 pagine.
sarà una bomba, penso io, quando uscirà.
chissà quanti memoriali stanno crescendo nei cassetti in attesa di venire alla luce.
chissà che cosa ne pensano le toghe lucane.
l’altro giorno in aeroporto sono stato tentato di comprare il libro di felice casson, la fabbrica dei veleni. mi hanno trattenuto due circostanze, una soggettiva, l’altra meno. l’altra è il fatto che il libro fa parte di una collana diretta da gianni minà. l’una che il libro, come tutti i libri di questo mondo, racconta una versione.
ed è a proposito di questo che debbo dire due parole. non avendo memoriali in gestazione, ho questi pensieri vagolanti che piano piano - qui, per l’appunto - trovano il loro povero approdo.
è da un bel po’ che giro intorno al problema della verità.
è da un po’ che cerco di trovare una spinta per cominciare.
oggi ho trovato.
nel blog di quarky viene riportato un brano di un’intervista (bellissima) a sergio givone a proposito del paradosso della verità di kierkegaard: "ecco il grande paradosso della filosofia kierkegaardiana. La verità che vale per me e che tuttavia non è soltanto qualcosa di soggettivo, perché altrimenti non sarebbe più la verità: questo è l'insegnamento di Kierkegaard. Quella di Kierkegaard è, quindi, anzitutto una filosofia del paradosso. Il paradosso consiste nel fatto che la verità per me - dunque quella verità che evidentemente è diversa dalla verità per te e dalla verità per l'altro - continua a essere qualcosa a cui io conferisco una validità universale. Non nel senso che posso dimostrare oggettivamente che è quella la verità, ma nel senso che la posso rendere oggetto di comunicazione".
ecco, è il punto centrale.
ha ragione il filosofo cristiano. è vera nel senso che la posso rendere oggetto di comunicazione.
nel mondo di oggi la verità è decisamente declinata al singolare.
io che non posso non dirmi cristiano ma che cristiano non sono cerco invece la verità universale.
e insisto nel pensare che l’unico motivo per cui siamo al mondo è che se siamo in due in una stanza e uno dice una cosa all’altro e fuori dalla stanza raccontiamo versioni divergenti ci deve essere qualcuno che sa la verità.
la doppia verità è il vero paradosso.
facendo il mio mestiere vivo e mi nutro nel sistema della doppia verità.
ogni fatto o atto può essere raccontato da due punti di vista diametralmente opposti.
e il giudice, decisamente, non è Dio.
dobbiamo leggere tutti i giornali per sperare di escerpire un minimo di verità?
dobbiamo sempre sentire l’altra campana? e poi, sarebbe sufficiente?
non esiste alcun accadimento che non sia stato oggetto di interpretazioni tra loro incompatibili.
perché?
il mio mestiere è forzare la verità. piegarla per uno scopo.
mi serve un perito che possa dire che il palazzo sta crollando? eccolo.
me ne serve un altro che dica che è più solido di un diamante? pronti.
che cosa conta? la coscienza pulita?
la coscienza potrebbe essere pulita.
sarebbe bello dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. sarebbe la cosa più bella. ma nemmeno i bambini, così puri di cuore, ci riescono.
forse proprio per quello che dice kierkegaard.
dice givone: "La forza della vita etica consiste nell'essere autosufficiente, nell'essere fondata su di sé, nel non aver bisogno di nient'altro. L'uomo davvero etico, quello che è riuscito nel costruire la sua personalità in questo capolavoro che è la vita autosufficiente, è in pace con se stesso. Sa che gli si può fare qualsiasi violenza, ma il suo cuore è puro, nel senso forte del termine, egli è inattaccabile, nessuno gli può rimproverare niente, neanche Dio. L'uomo etico, in fondo, è l'uomo che ha imparato da Kant che la religione, se ha senso, è una religione che si risolve totalmente, non tanto nei limiti della ragione in generale, ma nei limiti della ragione pratica. Questo tipo di religione autorizza l'uomo etico a ritenersi salvato; ci si salva, appunto, con la pace del cuore, ci si salva sapendosi in pace con se stessi, sapendo di avere fatto tutto quello che si poteva fare, tutto quello che era giusto fare. Ma questa autosufficienza della pace interiore - ecco il limite, ecco l'equivoco di fondo della stessa vita etica - dal punto di vista della vita religiosa è il male. E' il male radicale, poiché è la presunzione di autosalvarsi. Nel momento stesso in cui l'uomo etico, per così dire, celebra il suo trionfo, collocato su un piedistallo, asserragliato dentro una roccaforte che nessuno può smuovere, proprio nel momento della sua massima forza, compie un atto di superbia che lo condanna. Nel momento in cui crede di essere perfettamente al sicuro, egli si espone al peggiore dei peccati".
non possiamo salvarci da soli. non possiamo nemmeno cercare la verità universale.
posso essere un po’ scosso da tutto ciò? sì.
per tornare a bomba: su porto marghera istintivamente penso che la verità del libro si avvicini molto alla verità universale.
ma sono ormai troppo ferito per crederci davvero.
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Etichette: relativismo
lunedì 1 ottobre 2007
modello 5
il mio amico andreone mi ha appena telefonato per dirmi che si è dimenticato di inviare il modello 5 alla cassa previdenza avvocati. voleva sapere la sanzione.
gli ho risposto non lo so. e poi oh bella, me ne sono dimenticato anche io.
mal comune, mezzo gaudio.
forse.
e ciao ciao a 95 eurini
scoreggiato da pim alle ore 18:57 0 commenti