martedì 1 aprile 2008

sul disordine

tutti gli uomini sono ordinati o disordinati.
la divisione è netta, universale e per nulla arbitraria o gratuita.

l'uomo ordinato può rispondere a due grandi impulsi: l'impulso psicologico, che è la coazione a "mettere in ordine" o a "mettere ordine", e l'impulso razionale, cosmico. quest'ultimo, a differenza del primo, è un impulso alto. l'uomo ordinato perché spinto dall'impulso cosmico spera di riprodurre l'armonia celeste, spera di conferire un contributo a ristabilire la perfezione, minacciata continuamente dagli atti sconsiderati degli altri uomini. il primo e meno nobile impulso risponde invece a un bisogno interiore e meno lucido. ovvero estinguere il disordine interiore mediante la costruzione di un ordine esteriore che sia evidentemente apprezzabile.
l'uomo ordinato del primo tipo è dunque intrinsecamente disordinato e perciò confuso, diviso.

la natura segue il principio entropico. la materia diviene e muta, evolve. l'energia si scambia. il "momento prima" non è più riproponibile dopo. la natura è disordine.
le leggi della fisica classica confermano l'assunto.

la volontà di "mettere in ordine" o di "fare ordine" è, con tutta chiarezza, un atto di violenza verso la natura. così, tenere in ordine la scrivania è una scelta di violenza contro se stessi. l'uomo ordinato è sempre in qualche modo violento. l'uomo ordinato è problematico.

non dobbiamo confondere la ricorrenza di regole matematiche nelle manifestazioni dell'essere (i numeri di fibonacci, la sezione aurea, i frattali) con l'ordine.
l'ordine non è simmetria, armonia. l'armonia della natura, l'equilibrio delle cose è sublime disordine, è disordine allo stato più elevato. è la mescolanza, appunto, la mescolanza perfetta. secoli, millenni di intersezioni, unioni, commistioni.

pensiamo ora a enti e istituzioni che predicano il valore dell'ordine. collegi, chiese, movimenti radicali. il tratto comune è la coazione, la spinta a fare. dal momento che le cose non si mettono in ordine da sole (secondo questa idea di ordine), ci vuole qualcuno che ce le metta.
energia sprecata per fare ordine. vita da salmoni. l'uomo ordinato spende buona parte del suo tempo a fare ciò. nel momento in cui "diviene ordinato" il nostro uomo perde ogni appiglio, diventa appiglio anzi lui stesso. appiglio per norme morali e sociali, convenzioni. il prete, il colonnello, il gendarme, il buon padre di famiglia, il preside, il filosofo tedesco della morale sono necessariamente ordinati.

l'uomo disordinato, come tutti sanno e conoscono, assai di rado smarrisce qualcosa. molto più spesso capita di vedere uomini ordinati girare prima o poi con la girandola sulla testa, o con l'ascia in mano, ancora sanguinante.


nota: leggendo qualche tempo fa il catechismo della chiesa cattolica ho notato con grande interesse che la parola che definisce ogni devianza rispetto al precetto è "disordine". secondo i preti, dunque, l'uomo disordinato è immorale. puntini.

11 commenti:

FB ha detto...

sono conscio ormai del fatto di essere governato dal caos, in ogni settore. per quanto io possa lottare per cercare di tenere un minimo in ordine le mie cose, so che interverrà qualcuno che le "scompiglierà".
non per questo mi sento pronto a impugnare l'ascia, wendy.

pim ha detto...

non ancora.

@nto ha detto...

oddio,da "ordinato" ti dico che una delle più belle sensazioni che "sistemare" le cose offre è guardare l'armonia del risultato. forse hai scordato di aggiungere che il disordine è, in un certo senso, una forma d'arte. lo è certamente anche il disordine, ma ciò che importa è che non sempre l'ordine è negativo e che chi è ordiniato perde le cose o finisce a sparare sulla folla. alle volte è semplicemente stile ed altre volte ancora non coincide con metodicità o abitudine.se non ho tempo o voglia di mettere in ordine la stanza o sistemare la scrivania non lo faccio e non ne soffro per nulla

Anonimo ha detto...

grazie ivanko per il tuo contributo, che leggo con colpevole ritardo.
la voglia di ordine come desiderio casuale prende anche me, ed è cosa sana. non voglio negare che non lo sia un'attitudine.
quanto all'arte, tutto è arte.

W.B. ha detto...

Non tutto è arte.

Anonimo ha detto...

a colpi di sì e no non si va lontano, temo.

W.B. ha detto...

Questo è assai vero. Ma non si va neanche molto lontano con affermazioni indimostrate (e indimostrabili). Prima giustificami il motivo per cui affermi che "tutto è arte", poi, semmai, esprimerò un dissenso articolato (a meno che non mi trovi d'accordo con te).

Anonimo ha detto...

il discorso è presto fatto.
il perfetto non può promanare dall'imperfetto, come l'assoluto non promana dal relativo.
ora, l'arte è opera dell'uomo, essere imperfetto e caduco. l'arte come techne, o come mestiere, è, pertanto sempre estrinsecazione della capacità di produzione dell'uomo.
sostanzialmente, qualsiasi opera dell'uomo è espressione del relativo e in quanto tale tutta l'arte è arte, ovvero manifestazione del "contestualizzabile".

guénon sostiene che esista il mestiere trascendente, che richiama l'uomo al neoplatonico "uomo primordiale", il quale partecipa della dimensione ultraterrena.

per parte mia, sarei felice di considerare l'esistenza della dimensione del sublime, dell'assoluto. tuttavia, non è certo che l'abitante dell'artide o dell'africa subsahariana possa emozionarsi davanti ai mangiatori di patate o alla nona di beethoven.
anzi, è abbastanza incerto.

pertanto, per quanto noi ci si affanni a considerare dante alighieri migliore di federico moccia, sappiamo che il primo è semplicemente più bravo a utilizzare la propria tecnica, il proprio strumento.

infine, l'arte è cultura, e non natura. per questo solo motivo il taglio di fontana (che, aggiungo, pesonalmente ritengo il punto più basso dell'opera prodotta dall'uomo) è arte tanto quanto la gioconda.

W.B. ha detto...

"Il discorso è presto fatto", lo dici tu, non mi pare un tema semplice semplice. Non ho capito bene il tuo pensiero. Devo leggerti con più attenzione. Rimando il mio commento a più tardi, se mi è concesso.

W.B. ha detto...

Credo che il problema sia nominalistico, ovvero riferito ai significati che attribuiamo alle parole adoperate. L'ambiguità intrinseca del linguaggio, non risolvibile a mezzo di un codice riconosciuto e condiviso, quale il dizionario, rende legittima la tua affermazione sull'arte, soltanto perché il tuo concetto di arte è diverso dal mio. Secondo me, e seguo Salvatore Natoli, l'arte è da intendersi nel suo significato più profondo: ars ha la stessa radice di aretè, che come tutti sanno significa virtù. La virtù è concetto oggettivo, non relativo. Dunque non tutto è arte, qualcosa è arte, qualcosa d'altro non è arte, e la classificazione non dipende dal soggetto, ma dall'esistenza o meno di un atto creativo vero in quanto tale, e non solo percepito in questi termini. Ma potremmo andare avanti all'infinito.

W.B. ha detto...

Dimenticavo: quello che dici è in gran parte compatibile con quanto sostengo io, quindi è giusto.