È possibile che sia Dostoevskij sia Tolstoj abbiano detto più volte nella vita le parole “cazzo” o “culo” pur non avendo mai scritto né la prima né la seconda in nessuno dei loro libri.
È possibile che vi siano persone che anche se sole in casa non scoreggino e non ruttino a bocca aperta.
Lui non aveva segreti nei cassetti. Quale sorpresa per coloro che si trovarono, più o meno volentieri, a frugare nelle sue cose e scoprirono che non c’era niente di diverso da quello che avevano visto o sentito negli anni. Non c’erano lettere mai spedite, pensieri nascosti, poesie. E non c’erano riviste strane né documenti compromettenti nel computer. Il bagno era abbastanza pulito.
La stragrande maggioranza degli esseri umani prova il frequente desiderio di commettere un reato, preferibilmente di sangue.
Gli uomini, in ascensore con una donna, sognano di abbassarsi i pantaloni davanti alla donna oppure di strozzarla, oppure entrambe le cose, non sempre nel medesimo ordine.
Era riuscito a vivere nella verità. Ad essere trasparente. Il dubbio lo colse nel finale, quando si rammentò di quei nonni borghesi, che cenavano in giacca e cravatta, con la camicia dal colletto duro e le scarpe scomode, e fuori casa non si toglievano il cappello nemmeno quando faceva molto caldo. Quei nonni, nemmeno loro avevano segreti. Erano rigidi di morale e d’aspetto, solenni nella circostanza, consapevoli del ruolo. E si rammentò di personaggi letterari, uomini noiosi e banali dalla vita uniforme e priva di prospettiva, uomini con occhiali di tartaruga, moglie bovina e impiego avvilente. Lo colse il dubbio, ed era nelle cose, ma fu presto fugato. E la memoria, che siamo noi, lo premierà per sempre.
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