il mago houdini (george marshall, 1953)
il giovane houdini, dopo aver vinto una sfida per aspiranti artisti dell'evasione, riceve una profezia di morte: un vecchio mago gli racconta di un collega tedesco che tentò un esperimento, fallito il quale non fu più lo stesso e si perdette. vede per houdini una fine ancora più tragica e lo ammonisce a non proseguire. houdini ne resta ossessionato. dopo anni di ricerche e di lettere ritornate al mittente, viene ricevuto in casa del mago tedesco dal suo assistente. il mago è appena morto, ma ha lasciato a houdini un modellino del suo tentativo. l'ossessione assume le forme di una pagoda, nella quale houdini finalmente incontrerà il suo destino.
è un'altra versione dell'uomo obbligato a inseguire la sorte. un luogo comune del cinema americano, come l'uomo braccato per il delitto che non ha commesso o il veicolo in corsa che sfonda la cancellata.
vidi il film una volta sola, da bambino, e ne fui sconvolto. la morte di un mago non è nell'immaginario di un bambino. mi ricordavo molto bene la scena dell'ultimo (fatale?) esperimento e quella, claustrofobica, sotto i ghiacci. mi ricordavo pure, incredibilmente, del delizioso, nebuloso finale, un raro esempio di understatement, per l'epoca e per il genere.
brama di vivere (vincente minnelli, 1956)
gli ultimi, disperati anni della vita di van gogh. uno strepitoso kirk douglas rende il suo omaggio - postumo, come tutti - ad un artista la cui sensibilità lo costrinse ad andarsene dal mondo. il regista ha provato a fotografare i luoghi delle tele e a riprodurli per il cinema insieme con esse. l'operazione non emoziona, ma resta comunque una prova curiosa e affascinante e il film è poco hollywoodiano abbastanza da restituire, per altro verso, un profilo umano vicino all'originale. un bel film, anche per chi conosce già la biografia del genio del colore (magari avendo letto, oltre le celeberrime lettere, il bellissimo libro di giordano bruno guerri).
c'è anche anthony quinn, attore che non mi è mai piaciuto, che interpreta un gauguin villano e manesco. dev'essere una questione di fisicità: anthony quinn fa sempre la parte del buzzurro, tutto sangue e carne, come spencer tracy, che se la tira in tutti i film, o steve mcqueen che fa sempre l'eroe solitario e quello che le donne gli cadono ai piedi a prescindere e lui non le caga neanche. dei tre, gli ultimi due sono quelli che proprio non riesco a vedere.
quasi famosi (cameron crowe, 2000)
crowe ha forse consapevolezza del suo non grande talento. è uno di quegli artigiani alla ron howard, bravi e ogni tanto capaci di qualche tocco leggero. il film è in buona parte autobiografico.
pazzi, pupe e pillole (frank tashlin, 1964)
capolavoro assoluto. tashlin ha diretto alcuni dei più bei film con jerry lewis. qui la sua comicità è a un livello apicale, punteggiata da momenti di autentico surrealismo (e una delicatissima critica, qualche anno prima di obama, al sistema sanitario americano). peccato per il titolo italiano che fa scempio dell'originale.
mare dentro (alejandro amenàbar, 2004)
un capolavoro. amenàbar è un grande regista. confrontare apri gli occhi di amenàbar con vanilla sky di cameron crowe.
la patata bollente (steno, 1979)
indecente. non me lo ricordavo così brutto. una macchia imbarazzante nella filmografia di steno - e ho detto tutto. se il senso del film, quello diciamo per i pochi, stava nella critica al sentire omofobico ben integrato nel pensiero unico del partito comunista italiano, diciamo che si poteva fare decisamente di meglio. se si trattava di sfruttare la verve comica di pozzetto, pure. per le belle tette della fenech, ogni occasione è buona.
domenica 1 luglio 2012
il mago houdini e altri film che ho rivisto oggi
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