giovedì 17 novembre 2011

tunditur unda

ma sono stato assalito da uno spettro.
stavo rivedendo alcune scene di La sottile linea rossa e ho pensato e se non ci fosse differenza tra il filmino elettorale del candidato che lo vede porgere il fiore alla bambina e camminare con il pensionato e il film di Malick in cui si sceglie di alternare gli occhi del soldato morente con il sole che si frantuma tra le foglie di un albero?
io lo so che è solo uno stupido spettro, e che gli stupidi spettri fanno pensare e dire cose stupide, però mi ha assalito, il malnato, e, come una ferita lenta a rintuzzarsi, ancora sento il suo bruciore.

11 commenti:

Anonimo ha detto...

Pim il film in questione interroga sul senso della vita e della morte con inquadrature molto provocanti, che tendono a non accompagnare correttamente il percorso emotivo dello spettatore.

Tuttavia, il fantasma di cui parli ha radici in un fondo di verità, e scorgo in ciò che scrivi dei sani anticorpi al male che lo produce. Infatti, quando lo schock emotivo delle immagini (La sottile linea rossa) o la pervasività forzosa di un messaggio (la clip del politico accanto ai deboli) tocca i sensi e l'immaginario di una persona, la prima reazione è l'orizzontalizzazione di tutti i concetti che possiedono un carico di violenza segnica. Chi è assuefatto nemmeno se ne accorge, e tende solo a rafforzare il proprio cinismo e riduzionismo a scapito della bellezza e complessità del reale.

L'anticorpo consiste proprio nel comprendere che si tratta di un "fantasma", e che che per scacciarlo bisogna evitare di farsi ancora del male dando troppo credito ai segni violenti che l'hanno evocato.

Basta spostare al di fuori di ciò che provoca turbamento irrisolto le proprie riflessioni più importanti.

Paolo

W.B. ha detto...

"Correttamente", "sani", "bisogna", "basta".
Avverbi, aggettivi e verbi che presuppongono la conoscenza del confine tra il giusto e lo sbagliato.
Io, questo confine, non lo conosco; pensavo di conoscerlo, una volta, ma adesso penso di non conoscerlo. Forse lo conosco, ma penso di non conoscerlo. O forse non lo conosco proprio.

Anonimo ha detto...

Qualora parlassimo di elementi assolutamente trascendenti o morali comprenderei (almeno in parte) lo scetticismo di Doppiovubi.

Tuttavia, qui si discute di questioni empiriche (effetti degli immagini sulla psiche e in particolare sulle reazioni emotive) e conseguentemente di valutazioni che coinvolgono scienze umane che possiedono una propria dignità gnoseologica (scienze della comunicazione, psicologia cognitiva, marketing dei media, sociologia delle narrazioni). In sostanza, parliamo di metodo.

Quindi, anziché parlare delle proprie riserve interiori (di natura morale), sarebbe opportuno che Doppiovubi si sforzasse di produrre qualche contenuto empirico di approfondimento, dato che (mi pare) non manca di conoscenze ed esperienze sul punto.

E, come per le espressioni usate per commentare Pim, quest'ultimo "sarebbe opportuno" si riferisce anzitutto a un giudizio di fatto rispetto al contributo obiettivo che ha offerto alla discussione, prima ancora che di valore sulla persona, salvo non si voglia farmi esprimere forzosamente qualche commento moralmente conveniente e trascendentalmente fondato in merito alla stima verso lo "scettico mattiniero".

Paolo

p.s. PQM Il Tribunale (della Ragione Comune) si dichiara incompetente per materia, dato che i contenziosi aventi ad oggetto l'osservanza delle distanze (altrimenti detti "confini") sono riservati al Giudice di Pace (interiore, ovvero con se stesso).

Anonimo ha detto...

Errata corrige:

*delle immagini

Paolo

pim ha detto...

il mio discorso si riduce, appunto, a una domanda sul senso ultimo (cioè primo) del cinema.
il pittore riproduce la natura, ma la natura non è la riproduzione della natura, e, spesso, è più bella di essa.
il film di Malick è un capolavoro per un semplice motivo: per quei fili d'erba mossi dal vento. tutto il film è in quei fili, e in quel vento che li muove.
l'argomento è più grande di me. sono spaesato di fronte alla rappresentazione.

Anonimo ha detto...

La domanda di Pim vale per ogni forma di rappresentazione artistica del reale. E torniamo a un discorso già fatto e interrotto in materia d'arte.

Lo spaesamento, il disorientamento, non sono segno di una caratteristica positiva di un'opera, ma rappresentano un sintomo di fastidio "estetico", neurofisiologicamente signficativo, che alcuni produttori d'artefatti contemporanei usano per indurre scosse e turbamenti nello spettatore e accattivarne il consenso.

Infatti lo spettatore scosso - e non abituato a discernere l'artefazione utilitarista delle tecniche postmoderne - attribuisce la produzione dello schock a una genialità dell'autore, che in realtà non fa altro che emulare tecniche di basso profilo non lontane da quelle utilizzate per le giostre dei Luna Park (che di artistico - si converrà - hanno ben poco).

Tra l'altro Pim, sei stato molto attento a cogliere il parallelismo con la comunicazione politica enfatizzata, è un paragone giustissimo che mette in mostra tutto il limite tecnico complessvo (anche quando è molto curata l'immagine), come nel film in questione. Esso possiede certamente contenuti validi, ma non accompagna coi giusti mezzi l'emotività dello spettatore.

Caricando i contrasti naturali e soggettivi della rappresentazione, si ottiene l'effetto opposto all'azione artistica capace di esaltare la partecipazione neurofisiologica dello spettatore in continuità con ciò che è rappresentato (questo effetto, infatti, sarebbe proprio della grande tecnica dell'artista).

Infatti, unire l'azione di guerra con mutilazioni, sparatorie improvvise e sangue alle immagini dei fili d'erba, delle farfalle e degli uccellini appena nati è un modo sornione e scaltro per aumentare l'appeal emotivo (la confusione e lo spaesamento, per l'appunto), e non per costruire un prodotto artistico d'alto livello. Un trucco, come quello del politico ripreso accanto ai deboli, che finisce per far perdere la portata del discorso del soldato protagonista sulla vita e la morte. E da qui nascono i "fantasmi", dato che il corpo (la mente) non tradisce la realtà di cui partecipa. Perché dunque li avresti chiamati in tal modo (i malnati) se non fossero altro che il prodotto di un capolavoro?

Paolo

pim ha detto...

hai ragione.
ma forse se io fossi un soldato e mi trovassi in guerra con gli anfibi e il fucile, tutto sporco e puzzolente, e avessi la certezza che la mia vita potrebbe finire da un secondo a un altro perché vedo finire e ho visto finire così la vita di ragazzi amici esseri umani che un secondo prima erano vivi e parlavano e piangevano e pensavano a casa loro e alle loro mogli e ai loro figli o alla figa o a una birra o a giocare a calcio o a biliardo e nonostante tutto continuavano a camminare nel fango e nella sabbia con il fucile e lo zaino e gli anfibi, se fossi un soldato come tutti i soldati e mi trovassi in un prato e vedessi dei fili d'erba mossi dal vento forse, dopo aver bestemmiato il mio Dio che mi ha buttato in questo posto, dopo aver maledetto la guerra, la compagnia, il plotone e gli ufficiali che le pallottole non se le prendono, penserei c'è qualcosa di più, che io non capisco e non posso capire, che l'unica cosa che posso capire prima di crepare come un povero stronzo in uno stronzo luogo è che ci sono il vento, e l'erba.

Anonimo ha detto...

TU citi -Guerra e Pace-. L'illeggibile...
Dominicus

Anonimo ha detto...

Più che "Guerra e Pace", a me pare che il "nostro" stia passando piano piano dalla parte de "I Fratelli Karamazov", dato che passa dalla dinamica narrativa a quella personale con occhio sempre più delicato...

Pim, apprezzo il tuo "forse", che volgo in senso estensivo e non alternativo. Infatti, forse potresti pensare a questo e anche ad altro, e ancora non lo sai.

E invece sono sicuro che ogni tanto qualcuno di questi pensieri di grandezza, piccolezza e incomprensibilità ti colpisca anche in Tribunale, nel mezzo delle silenti sparatorie umane, tra un'udienza e un'iscrizione a ruolo. Solo che in quella struttura modernista monumentale e dispersiva mancano fili d'erba e farfalle: suggerisco di tanto in tanto un salto ai vicini Giardini della G., un buon luogo di riflessione in attesa della battaglia.

Comunque, qui non abbiamo criticato insieme il "cosa" (l'oggetto del film, i pensieri del soldato e il messaggio, che mi paiono chiari), ma il "come".

Paolo

pim ha detto...

certo, il discorso è sul come.
e la domanda è se esista un come. ovvero se la rappresentazione contenga in sè qualcosa di ontologicamente artificioso, o meglio se l'artificio, che è lo strumento dell'artista, sia di per sé e necessariamente strumento di fantasmi.

Anonimo ha detto...

Non necessariamente, il metodo e i criteri fanno parte del bagaglio culturale complessivo dell'artista e degli scopi che si prefigge - più o meno consapevolemente - verso lo spettatore.

Si può certo discutere delle ragioni del metodo, tuttavia, la "misura" del "come" sta anzitutto negli effetti, come spiegano le neuroscienze cognitive. Oggi ho spedito a Doppiovubi un paio di articoli scientifici sul punto, che è libero di inoltrare, se desiderassi approfondire l'argomento.

Paolo