17 settembre
decido di cambiare la parabola. montare e smontare impianti satellitari è un'attività che mi provoca piacere. decido di dedicare parte del mio prezioso sabato, un sabato normalmente occupato da film, lacrime e seghe, alla ricerca di materiali specifici. trovo un indirizzo. non è lontano. dieci minuti in macchina.
nel negozio ci sono due addetti. uno, antipatico, sa quello che dice, l'altro no. sono sfortunato: il primo è già impegnato a servire un cliente pieno di problemi. con delle mosse cerco di attendere che si liberi, ma il secondo si fa sotto e io come al solito non riesco ad oppormi. cerco di spiegare quello di cui ho bisogno. non capisce. io stesso faccio fatica a spiegarmi, perchè cerco di essere conciso e rapido, ma sono fosco e titubante. il secondo non può aiutarmi. interpella frettolosamente il primo, il quale è sempre alle prese col cliente problematico e pensa, con i dati di cui dispone, che io non abbia idea di quello che cerco. il che è anche vero, ma non nella circostanza. il secondo mi guarda e non ha più niente da dirmi. il primo sta ancora maltrattando il cliente e non ha tempo né voglia di darmi retta. non riesco a resistere. esco. appena fuori mi lascio andare a un flebile oh signùr. una donna che sta legando la bicicletta pensa che sia rivolto a lei e mi guarda male. mi accorgo che ho una macchia di unto sulla polo. polo che peraltro mi ingrassa.
torno in macchina e sento un dibattito su natura e cultura, al quale partecipa naturalmente salvatore natoli, che parla come un avvocato meridionale, minaccioso e gagliardo. un professore tedesco non è d'accordo con lui. il moderatore di radiotre palesa un'ignoranza avvilente.
mi viene la nausea.
vado in un centro commerciale. le persone che vedo mi rattristano. mi assale una leggera angoscia. passo e ripasso gli stessi scaffali più volte, sperando che qualcosa si materializzi sotto i miei occhi di morto che cammina. chiedo a un commesso. il pezzo che cerco arriva giovedì prossimo.
esco dal negozio brico ed entro al supermercato. devo comprare poche cose. trovo facilmente l'olio e il dentifricio, ma ho difficoltà con l'alcool. chiedo a una commessa. mi dà le indicazioni del caso. non lo trovo. come d'abitudine, vagolo come un sonnambulo tra gli scaffali finchè trovo un secondo commesso. trovo l'alcool. non mi sento molto bene. una ragazzina di dieci anni che indossa una maglietta dei beatles mi dà sollievo (un sollievo pari a quello che proverebbe un uomo che non mangia da tre giorni di fronte alla consegna di un krisproll, ma pur sempre un sollievo). non ci sono molte ragazzine di dieci anni che indossano magliette dei beatles. vorrei farle un sorriso, ma papà e mamma potrebbero male interpretare.
salgo in macchina. l'angoscia è stata sostituita dalla rabbia. a voce alta dico sono stufo di vedere gente che non sa nulla di quello di cui dovrebbe sapere tutto. commessi di libreria che non leggono libri, parabolisti che non capiscono le parabole.
la voce di mio figlio, che mi racconta delle sue preoccupazioni, mi placa un poco.
grazie al mio fedele telefono, trovo un altro posto. l'ultima chance. è dall'altra parte di milano. ci arrivo dopo un'ora. il commesso è antipaticissimo ma, nonostante i miei soliti farfugliamenti, risolvo con lui il problema e mi posso portare a casa il pezzo fondamentale, un tubo verticale con due staffe.
appena uscito dal negozio, comincia a piovere. dovrebbe essere un temporale. appena la pioggia si fa grossa e pesante, parcheggio la macchina nel primo posto utile e scendo. e cammino in mezzo alla strada, solo, con la mia faccia da scemo, e piano piano mi inzuppo.
domenica 18 settembre 2011
estratti dal diario di pim
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