lunedì 21 aprile 2014

estratti / 8

una volta mentre stavo giocando a tennis mi sono ricordato che la sera avrei visto i miei nonni e mi sono sentito tanto felice. invece ieri stavo mangiando la peperonata e improvvisamente ho desiderato essere sulla banchina di una stazione, insieme a tante persone che aspettano il treno.

galletti che ruzzano tra gonne svolazzanti, tra sandali impiastrati di sabbia. bicchieri colmi di vino scadente, salsicce sfrigolanti tra le urla. musica a volume alto e camiciole dischiuse a mostrare fieri petti. caldo.
spunzoni arrugginiti di vecchie armi, alabarde, daghe, zagaglie, gladii, spadini, pugnali, mazze, asce, falci, stiletti, baionette, scuri, picche.

non ho mai deciso niente in vita mia, mi disse il vecchietto. come la vuoi far cominciare una conversazione con un vecchio? sulla panchina di un parco, mentre dà da mangiare ai piccioni. in coda all'ufficio postale. su un mezzo pubblico. fai tu. c'eravamo, senza dubbio, io e lui, e lui si era messo a parlare. io ascoltavo.
mi disse alla scuola dell'obbligo ti ci mandano i genitori, poi dovresti decidere tu. invece mio padre mi disse a te ti mando al liceo classico perché scrivi bene in italiano. poi mi disse macché filosofia, iscriviti a giurisprudenza. poi mi sono messo per caso a fare l'avvocato e sono andato avanti così. poi sono diventato vecchio. non ho mai deciso niente in vita mia, per la mia vita. ho sempre aspettato che qualcuno o qualcosa decidesse per me, disse. un evento, il caso, un'altra persona. volevo fare scuola di regia, volevo imparare il cinema. ma alla fine forse ero talmente vigliacco che preferivo che restasse un sogno, così da potermelo cullare e da potermici macerare nelle ore solitarie. avrei fatto volentieri il camionista.

un mio amico dice che è giusto e necessario alzarsi dal letto la mattina e io dico che ha ragione.

sono rannicchiato in posizione fetale. suona il telefono. sì signora il ricorso è stato depositato ci sentiamo per l’udienza. faccio appena in tempo a mettere giù prima di avere un altro attacco di vomito. 

se la malattia è che non vuoi curarti come fai a curarti?

le persone dormono male.
un figlio con problemi a scuola. un figlio con problemi di salute. problemi di soldi. debiti. rate da pagare. mamme nelle case di riposo da mantenere. ansie. liti con il prossimo. incomprensioni con la persona che hai sposato.
c'è gente che si alza la mattina e va a lavorare con pensieri spaventosi. c'è gente che ogni mattina si sente male appena apre gli occhi. c'è gente che ha commesso azioni orribili e lo sa e lo nasconde. tutte queste persone si alzano, incredibilmente, lo stesso, tutte le mattine si alzano e non dicono niente a nessuno ed escono di casa e si vestono e scelgono cosa mettersi e che scarpe indossare e il colore della cintura. escono e vanno a lavorare e affrontano la giornata, le telefonate, i colleghi, le altre persone. fanno la spesa, parlano, ascoltano, guidano la macchina e magari ascoltano la radio, cambiano le stazioni. c'è tanta gente così. tantissima. escono di casa, con la nausea, i crampi allo stomaco, il mal di testa. varcano la porta e voilà. la porta di casa. la fottuta porta di casa. dentro casa magari ci sono i bambini, la moglie, il marito. fanno finta di niente. il marito ha problemi sul lavoro. torna a casa e gioca coi figli. la moglie soffre, ma al marito fa trovare la camicia stirata e la cena pronta. vivono tutti così. nella sofferenza, nella solitudine, con i propri fantasmi, che la notte li tormentano e il giorno li distruggono. affrontare il posto di lavoro. sedersi alla scrivania. il terrore della telefonata. il terrore del fax. il terrore della lite con il collega, con il datore di lavoro. la rabbia. la voglia di spaccare tutto. la voglia di urlare. si sfogano come possono. chi con la violenza, chi con il pianto. e domani ancora.
non fai niente di quello che vorresti fare. che dovresti fare. vorresti dirgli senti non mi interessa quello che mi stai dicendo io ho problemi più grossi di questo. mi sto separando da mia moglie. sto perdendo il lavoro. mi portano via la casa. ho il mio amore in ospedale. sto trattenendo il vomito mentre ascolto le tue parole. faccio fatica a respirare mentre tu mi parli. mi manca l'aria. mi scoppia la testa. invece ti sorrido e ti dico eh sì, certo. hai ragione. sperando che finisca presto. prima della prossima recita.
non puoi abbandonare la partita. non sai perché, ma ti senti obbligato a farne parte. a fare parte di questo sistema. non puoi darti all'alcool, alla droga. non puoi scappare. devi restare e continuare nel tuo ruolo. e più lo fai e più sai che è sbagliato. e più sai che è sbagliato e più lo fai.

solo pochi fortunati vivono diversamente. sono gli zombi.
forse, mi vien fatto or ora di pensare, sono molti di più di quello che stimo io. magari sono quasi tutti. essi vivono, dopo tutto, lo so. che film, essi vivono, un film che contiene l'unica scazzottata che valga la pena di vedere della storia del cinema, perché i cazzotti non c'entrano niente. non come i film di quei due mentecatti, uno grosso e l'altro biondo, che menano perché il film è tutto lì. in essi vivono sono cazzotti metafisici, non ci dovrebbero nemmeno essere, si picchiano perché non dovrebbero picchiarsi. quel genio di carpenter. ci sono gli occhi della protagonista, di una bellezza inguardabile, e anche loro sono completamente inutili. c'è il finale, dove vince, diciamo, il male. e c'è tutto il resto, pochi mezzi, storia semplice, c'è anche il messaggio, di una ingenuità commovente. un capolavoro.
ecco, dico, magari sono tutti zombi. io sono zombi, tu sei zombi, lui è zombi.

voglio essere come la mia collega, quella che ho incontrato in tribunale qualche tempo fa, che mi ha detto adesso vado a fare la spesa, poi mi compro un nuovo paio di scarpe e sono felice. ed era vero, era vero.
un paio di scarpe, e sono felice.

ripensare, come in una canzone italiana, a quando tutto doveva ancora succedere.

a quando sei riuscito a scalare la montagna, sei arrivato in cima e hai urlato al cielo.

al momento in cui le tue labbra hanno incontrato le sue.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Pim nelle tue parole c'è una notevole confusione tra senso di realizzazione e soddisfazione delle sensazioni. Se volessi tornare a stare bene desentendo l'animo sereno solo a pensare a piccole cose, come quando giocavi a tennis e pensavi ai nonni, occorre cominciare a ripulire dal superfluo la vita e concentrarsi sull'essenziale, rendere l'animo vergine dai condizionamenti e dalla disperazione della vanità. Si può godere delle piccole cose, senza diventare schiavi del vacuo, come invece fa chi compra qualcosa per riempire la propria vita. Non importa se tante aspirazioni siano andate male, oggi hai sempre la libertà di compiere scelte giuste e realizzarti, piano piano, raddrizzando tutto. Basta crederci e assumere un buon atteggiamento critico, senza farsi sconti, senza procedere per illogici appagamenti. E farsi domande giuste, e cercare risposte che consolidino. Circa il valore delle scelte e la lettura della realtà per distinguere soddisfazioni da realizzazioni, suggerisco quanto prima la visione del film Interstate 60, molto curativo. Poi ne possiamo riparlare...

Paolo

Anonimo ha detto...

* sentendo

Anonimo ha detto...

* sentendo

W.B. ha detto...

Prima o poi vengo lì e ti prendo a sberloni in faccia finché non ti riprendi e ricominci a vivere. Molto più curativo di Interstate 60, che pure ha il suo perché. Ti vogliamo bene.

Anonimo ha detto...

Io le dico che ho bisogno d'attaccarmi con l'immaginazione alla vita altrui, ma così, senza piacere, senza punto interessarmene, anzi... anzi... per sentirne il fastidio, per giudicarla sciocca e vana, la vita, cosicché veramente non debba importare a nessuno di finirla.

Con cupa rabbia:

E questo è da dimostrare bene, sa? con prove ed esempi continui, a noi stessi, implacabilmente. Perché, caro signore, non sappiamo da che cosa sia fatto, ma c'è, c'è, ce lo sentiamo tutti qua, come un'angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell'atto stesso che la viviamo, è così sempre ingorda di se stessa, che non si lascia assaporare. I1 sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. I1 gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono legati. Ma legati a che cosa? A questa sciocchezza qua... a queste noje... a tante stupide illusioni... insulse occupazioni... Sì, sì. Questa che ora qua è una sciocchezza... questa che ora qua è una noja... e arrivo finanche a dire, questa che ora è per noi una sventura, una vera sventura... sissignori, a distanza di quattro, cinque, dieci anni, chi sa che sapore acquisterà... che gusto, queste lagrime...

Anonimo ha detto...

Con rispetto per l'altrui dolore, quanto scritto dal signore Anonimo più che un lascito decadente, appare in linea con la visione Emo, in originale stile retrò. Per chi non conoscesse il genere, e per rallegrare gli animi, lascio adeguato video esemplificativo sulle aporie del genere succitato...
http://m.youtube.com/?hl=it&gl=IT#/watch?v=HCAMvjU6aCs
(per doppiovubi, che non vede i link: il titolo su YouTube è "Checco e gli Emo")

Paolo

Anonimo ha detto...

Non credo che Pirandello ne saerbbe stato lusingato... ma tant'è

Anonimo ha detto...

Quell'opera di Pirandello ha avuto i suoi eredi. Quale differenza corre, come sopra esprimevo, tra un lascito decadente e una visione Emo in stile retrò? In entrambi i casi non si crede che la profonda ricerca dell'identità possa essere risposta al dolore, resta la disillusione della vita più o meno forbita e la ricerca dello sguardo altrui nel compiacimento di un dolore fine a se stesso. Quello che oggi è subcultura deviante buona per sfamare la prole (o i padri più colti) delle piccole masse senza spina dorsale è lo speculare cibo che hanno cercato le grandi borghesie novecentesche annoiate.

Paolo