venerdì 25 ottobre 2013

Flight

Un altro uomo gravato dal pesante fardello. Un castello di menzogne. Si sgraverà e poi, mondato, ritroverà una vita felice e pura? Oppure continuerà a perdersi?
L'angoscia, quasi insostenibile, che proviamo quando vediamo L'avversario, capolavoro di Nicole Garcia, qui è solo speranza che non ci sia propinato, come piatto forte, il solito polpettone. E, come sempre, si resta delusi.
Robert Zemeckis, per chi non coltiva il vezzo di storcere il naso davanti a fischiebbotti (che sono cinema da quando esiste il cinema), è un grande regista.
Grande, ma stavolta non abbastanza.
Un pilota di lungo corso, alcolizzato, deve affrontare un atterraggio di emergenza: l'aereo è un baraccone coi motori rotti. Salva 96 persone. Muoiono due hostess e quattro passeggeri. In ospedale, mentre è ancora malandato, gli fanno un prelievo del sangue. La notte prima dell'incidente e la mattina stessa aveva bevuto parecchio e sniffato coca. Si teme che il terribile ente americano per la sicurezza sui trasporti aerei (NTSB, là hanno la passione per le sigle, come i russi per i soprannomi) scopra la magagna e lo sbatta in galera per mille anni. Un amico ex pilota gli procura un avvocato molto abile, un altro la coca. In ospedale conosce una tossica; vanno a vivere insieme, ma lui, preoccupato, non smette di bere.
Il nostro spera di sfangarla in tutti i modi, poi la coscienza prende il sopravvento (il pretesto è il viso della bella hostess, amante e compagna di bagordi, purtroppo defunta nell'incidente) e lui vuota clamorosamente il sacco.
Per tutto il film ho sperato che gli andasse liscia. Che restasse un ubriacone e che non pagasse per il suo brutto vizio (tra l'altro, errore non vi è stato: è incontroverso che nessun pilota avrebbe fatto meglio di lui).
Non avrei dovuto sperare, non in Zemeckis. E non in un Zemeckis che sparge insopportabili vapori di incenso e odor di sagrestia per tutto il film.
E allora, viva il capitano Queeg, se dobbiamo parlare di pistolotti, viva l'Ammutinamento del Caine, capolavoro di Edward Dmytryk, uno che un po' ondivago lo fu anche lui, ai tempi del famigerato Comitato, ma almeno lasciava al suo capitano la solitudine, la malattia, una meritata immortalità, e a noi tutti i nostri fantasmi.

3 commenti:

andrea missaglia ha detto...

più che un film, uno spottone per AA (che, peraltro, non ne ha bisogno. Se si vuole vedere una vera storia di dannazione, redenzione e ridannazione, come da un po' di anni a questa parte, si deve ricorrere ai serial televisivi: "House of Crads"

W.B. ha detto...

A me piacciono tutti i film con D.W. perché D.W. fa sempre la stessa faccia, cioè ti guarda e anzi ti scruta e sembra che pensi pensieri profondissimi quando probabilmente dietro c'è il nulla. Questo è D.W., questa è l'America.

pim ha detto...

sono finiti i giorni del vino e delle rose, purtroppo.