mercoledì 19 ottobre 2011

al commissariato

oggi sono andato al commissariato di polizia.
ci sono andato volontariamente, non mi hanno chiamato loro.
una volta mi hanno chiamato, e io mi sono agitato come un pazzo. il poliziotto voleva solo avere alcune informazioni.
la prossima volta che mi chiamano, mi sa che è anche l’ultima.

comunque, ci sono andato perché dovevo denunciare il furto di una moto. la moto di una mia amica. me l’aveva prestata visto che lei non la usava mai. io l’ho usata un po’ e mi sono pure divertito. poi l’ho parcheggiata davanti al mio studio. è rimasta lì ferma per un paio di mesi e poi non l’ho vista più.
forse l’hanno considerata una res nullius.

sì perché ho scoperto questa cosa, da una mia collega. che quando una cosa, per esempio una bici, anche se legata con la sua brava catena e tutto, è ferma nello stesso posto da un apprezzabile periodo di tempo, diciamo qualche mese, è da considerarsi res nullius e quindi chiunque può tagliare la catena, anche davanti a testimoni, e portarsela via. sono certo che hanno fatto così anche con la moto della mia amica. con la quale, nullius o meno, resta la figura di merda, oltre al danno.

c’ero stato anche l’anno scorso, allo stesso commissariato. a denunciare il furto della vespa. la vespa era della mia ex moglie. io ho anche una moto di mia proprietà, ma quella non me la possono rubare, perché se l’è già cattata l’esattore delle tasse.

i commissariati di polizia sono luoghi squallidi. sono lasciati andare. le pareti sono sporche, il pavimento è sporco, ai muri sono appesi cartelli vecchi come il cucco, le porte cigolano, i battenti non si chiudono bene, le maniglie delle porte ballano, le finestre hanno i vetri opachi e unti perché mai lavati. come tutti i luoghi in cui vive l’uomo, il commissariato riflette l’animo di coloro che lo vivono.
i poliziotti che stanno all’ufficio denunce non si divertono. il mio poliziotto però era un ragazzo giovane, di primo pelo. gentile. perché la denuncia fosse valida ci voleva anche la firma del suo superiore, un uomo rozzo, alto, meridionale, con una incredibile mandibola quadrata. uno che parla al massimo del volume, uno di quei funzionari meridionali che si lamentano, davanti a tutti, che devono fare sempre tutto loro.
il mio poliziotto ha steso la denuncia, io l’ho letta, e poi lui ha chiesto al superiore di firmarla. ma siccome non era ancora stampata il superiore gli ha detto che non aveva tempo da perdere e che sarebbe tornato dopo. il giovane ha provato a dirgli che era questione di un minuto, ma il superiore ha infilato la porta ed è fuggito. allora il mio poliziotto mi ha detto intanto la stampo, lei si accomodi pure in sala d’attesa, poi quando torna il superiore le do la sua copia, così mi porto avanti con le altre denunce.
il superiore è tornato dopo venti minuti.

tempo totale dell’operazione: un’ora e dieci minuti.
ovvero 70 minuti, così ripartiti:
prima attesa nella sala d’attesa: 35 minuti
stesura denuncia: 15 minuti
attesa poliziotto superiore: 20 minuti

in sala d’attesa devi prendere un numerino.
siccome, stupidamente, non mi ero portato niente da leggere, dopo aver letto tutto quello che si poteva in quella sala, compresi i comunicati rivolti a chi è vittima di stalking o ha perso il bancomat, e compreso, per intiero, il quotidiano Leggo (che rispetto al passato contiene molte meno inserzioni di società di finanziamento e molte più inserzioni di personaggi che comprano oro per contanti, ciò che mi dice qualcosa), mi sono concentrato sugli oggetti. in particolare la mia attenzione si è soffermata sul simbolo che sta sul distributore dei numerini all’ingresso.
l’ho anche fotografato.




ora, io immagino che l’intenzione del simbologo fosse quella di simboleggiare che col numerino non si salta la coda, cioè non si fanno i furbi, ovvero che si rispetta l’ordine di arrivo al numerino.
tuttavia, anzi proprio per questo, non capisco quella curva che parte dalle gambe e arriva alla testa dell’omino. una curva che sembra una specie di lungo fallo, o cazzo, che arriva a insinuarsi nel cervello. oppure, al contrario, una protuberanza del cranio che si unisce ai genitali, senza soluzione di continuità.
a complicare l’esegesi sta la barra rossa trasversale, che universalmente dovrebbe stare a significare il divieto.

acci, l’ho capito adesso.

divieto di comportarsi come delle teste di cazzo.

5 commenti:

pim ha detto...

aggiornamento:
mi ha chiamato la polizia - municipale, stavolta, o locale che dir si voglia - e mi ha detto che la moto se la sono presa loro perchè secondo loro risultava abbandonata.

di andare a ritirarla presso il comando di zona.

al ritiro della denuncia ci pensano loro.

Anonimo ha detto...

Il pivello allo sportello era proprio un pivello: 1. poteva firmarla lui la denunzia falsificando la firma del superiore 2. avrebbe dovuto guardare l'elenco dei veicoli rimossi o, almeno, fare una visura al SAR, risparmiandosi un sacco di lavoro

Condore termale ha detto...

Silvio, il tuo blog mi piace troppo.
Mi dispiace non lasciare commenti illuminati come quelli dei tuo lettori abituali o come quelli della mia metà, ma comunque ti leggo spesso.
Saluti dalla campagna termale.

pim ha detto...

grazie, o buon Condore.

PanexpoArchLab ha detto...

Sembra che a nessuno importi nulla del simbolo sul distributore dei numerini per la coda ma è anni che cerco di interpretarlo. Anche per me è un pisellone a cui si attacca la testa. Divieto di comportarsi come una testa di cazzo è stupendo! ma troppo colto. Sicuramente il simbologo ha pensato a qualcosa molto più terra terra ed infatti nessuno ci arriva, tant'è vero che molti distributori sono rotti, i numerini pencolano fuori, altri tra cui il sottoscritto stando in coda hanno passato il tempo tentando di aggiustarlo... il tutto fregandosene del simbolo...