il mio problema è che non accetto gli altri per quello che sono. se per esempio un mio amico è vegetariano gli rompo il cazzo, gli dico che sbaglia, che la carne è buona, cerco di fargli cambiare idea. non mollo. insisto, sono antipatico, a volte insopportabile. vado avanti fino alla morte. è una guerra che non mi stanco mai di combattere. mai. allo stesso modo se uno mi dice che l'arte cosiddetta moderna è bella, oppure il cinema italiano contemporaneo è molto buono, o che nel mondo occidentale, oggi, esiste l'omicidio di genere (nel senso di uomini che uccidono donne in quanto donne). urlo. urlo come un pazzo, non riesco a trattenermi, anche se sono a cena ospite di persone per bene. divento furibondo. faccio figure di merda, mi rendo ridicolo. non posso farci niente. non voglio essere diverso da quello che sono, come le cassiere che si fanno tatuare i serpenti, oppure "libera" "mia", i nomi dei figli o le frasi delle canzoni di vasco rossi come "sally", una canzone di merda che non significa un cazzo e che invece bilioni di persone sono felici di latrare tutti insieme tutti contenti e a tutta strozza.
nonostante, ovvero date, le mie difficoltà con il prossimo, ci sono persone che vorrei incontrare e persone che invece no.
naturalmente parlo di persone che non mi conoscono, persone più o meno famose.
per esempio paul mccartney, il mio idolo vivente, che io reputo il più grande musicista del ventesimo secolo. ecco, lui non vorrei incontrarlo perché penso che sarebbe troppo verticale la situazione. macca si comporta come dio con chiunque, da eric clapton al presidente degli stati uniti. ha un ego talmente smisurato che occupa tutto lo spazio fisico disponibile. no, non è cosa. io piccolo piccolo che gli chiedo di suonarmi yesterday e lui che magnanimamente si degna di strimpellare qualche stanca nota e subito si congeda lasciandomi ansante e balbettante.
a proposito di macca, ho visto le prime tre puntate (di sei) di McCartney 3,2,1, una miniserie in (raffinato si dice) bianco e nero in cui il nostro chiacchiera della sua musica con il leggendario produttore discografico rick rubin. macca gigioneggia come al solito, racconta aneddoti già noti (certamente a chi guarda la serie), suonicchia, mastica la cicca, cerca di spiegare la genesi delle canzoni, fa la figura dell'ignorante che è. peccato.
non vorrei incontrare francesco maria colombo, che è un altro mio idolo vivente. credo che il mio abbigliamento, qualsiasi esso fosse, la mia stessa figura, il mio corpo, la mia voce, tradirebbero all'istante la mia origine piccolissimo borghese e sono certo che prestamente mi allontanerebbe, senza nemmeno un sorriso.
ecco invece uno che vorrei proprio incontrare è il copywriter (o l'art director, che belli questi titoli in lingua inglese, come tutte le parole inglesi che si usano sul lavoro, tutte belle, piene di significato e soprattutto indispensabili, per dare un senso alla nostra esistenza, al nostro lavoro, al nostro essere qui, nel mondo, a fare cose che servono, che ci consentono di tornare a casa e dire che abbiamo lavorato, abbiamo prodotto, oppure ci siamo arrabbiati, abbiamo provato emozioni, insomma la giornata ha avuto un senso, oggi e domani ancora, sempre di più, sempre più senso) della pubblicità di facile.it quella dove c'è un povero stronzo, un poveretto, un essere miserabile, patetico, anche di aspetto poco gradevole (Paolo, si chiama) il quale naturalmente è felice, ed è felice perché "in soli 3 minuti" ha risparmiato "quasi 500 euro" e sulla polizza rc auto grazie a facile.it e siccome è felice naturalmente BALLA, balla, da solo, in casa sua, con delle mosse assurde, dei passi, delle coreografie sgangherate, scopiazzate male, male eseguite, a metà tra l'improvvisazione e il teatro d'avanguardia. "lui è Paolo", ed è felice. salta e scivola e spara. e poi si rivolge a noi che lo guardiamo e ci parla, come un amico,
vorrei incontrare quello che ha creato questa pubblicità per guardarlo. guardare la sua faccia. dev'essere senz'altro la faccia di una persona straordinaria. sì, perché io solo a vederlo, Paolo che balla, mi sono precipitato sul sito facile.it per vedere se risparmiavo qualcosa sulle mie polizze. così come ho comprato l'acqua minerale che beve alessandro del piero, mangio la pizza che mangia alessandro gassman, guido la vespa come pier capponi.
vorrei incontrare demetrio volcic, che è ancora vivo ma sempre più vecchio, come tutti i vivi, per chiedergli un miliardo di cose, a lui che ha visto cambiare letteralmente il mondo davanti ai suoi occhi, e ha avuto la fortuna di raccontarlo per lavoro. quante cose che non gli chiederò se ne andranno con lui.
federico buffa, che era un mio idolo e un po' è rimasto tale, come si sa l'ho incontrato, e nell'occasione nonostante tutti i miei sforzi mi ha ignorato anche con una certa razionale freddezza. ebbene sono certo, anzi certissimo, che se avessi fatto contattare buffa da un addetto stampa (conosco alcuni giornalisti) per chiedergli un'intervista da postare su youtube non solo mi avrebbe detto sì, ma mi avrebbe trattato con estrema educazione e gentilezza. ho visto tutto quello che è possibile vedere con f. buffa su sky, e tutto quello che è possibile vedere sul web, tutto. molto materiale anche più di una volta. e ho visto il nostro molto spesso sdilinquirsi e sperticarsi in complimenti eccessivi rivolti al suo interlocutore di turno (linus e nicola savino, per esempio, che non sono proprio platone e aristotele, ringraziati fino alle lacrime; daniele de rossi appellato quale "entità spirituale" (sic!), daniele adani riverito come un maestro di calcio, di vita, di saggezza. e così via. ed è tutto merito di una cosa. la targhetta. la targhetta può tutto.
quindi adesso è il momento di parlare dell'importanza della targhetta.
mettiamo di incontrare per strada una donna bellissima. giovane, perfetta. è probabile che, se non siamo cristiano ronaldo o non possediamo sostanze a otto zeri, ove tentassimo di entrare in contatto, ancorché casto, con essa, saremmo respinti con perdite. la soluzione? basta avere una targhetta. non siamo cristiano e non siamo milionari, ma guarda caso siamo registi, siamo giornalisti, siamo fotografi, lavoriamo nel mondo della tv o della moda. la ragazza sarà nelle nostre mani. un regista può far fare a un'attrice (o a un attore) praticamente qualsiasi cosa voglia. ma non per la persona che è, solo per il ruolo che ricopre. così come se incontro il buffa al bar non vorrà scambiare una parola con me, se lo invito a un simposio sarò ascoltato attentamente e subissato di complimenti. questa regola è universale e come dice qualcuno non soffre eccezioni.
non conta quindi quello che sei, ma quello che rappresenti.
ed è strano, forse, a pensarci bene. perché sarà anche vero, come dicono da molti anni ormai, che viviamo nella civiltà dell'apparire (e non dell'essere) ma è anche vero che viviamo nell'era dell'affermazione di noi stessi, della nostra individualità, del nostro pensiero, delle nostre convinzioni, sbraitate senza remore e senza vergogna in tutto l'orbe (anche io, come si è visto, vado fiero delle mie convinzioni e delle mie idee e anche io le vado sbraitando in tutto l'orbe). forse però le due cose non sono in contraddizione: l'autocelebrazione sui c.d. social network non è altro che uno dei modi in cui si concreta l'affannosa ricerca di un ruolo socialmente (appunto) rilevante.
non so. proverò a chiedere a Paolo.