giovedì 26 novembre 2020

Su Maradona

Federico Buffa ieri sera ospite d'eccezione nel salottino (Anna Billò, la signora De Araujo, e i suoi ospiti Capello Costacurta e Condò) dedicato ai commenti del dopo partita (Champions League, con la consueta grande prestazione dei nerazzurri) ha provato a fornire con un breve monologo di tre minuti un suo piccolo ritratto di Diego Maradona.

Vero che il Buffa si esprime meglio sulle lunghe distanze (il suo "storie mondiali" dedicato a Messico 1986 e intitolato "Diegoooo" è da vedere, come tutte le altre puntate) e personalmente l'ho sempre preferito in diretta (la vetta della telecronaca di un evento sportivo è una qualsiasi partita di NBA commentata da Buffa e Tranquillo), tuttavia anche nel breve tempo concessogli avrebbe certamente potuto fare meglio.

qui il video 
https://sport.sky.it/calcio/2020/11/25/maradona-federico-buffa-ricordo

Ebbene, io che sono un suo ammiratore da tempi lontani (c'è la prova) credo che anche per il Buffa sia cominciata (è una legge fisica) la parabola discendente.
Non che uno non possa legittimamente adorare Maradona, ma per quanto mi riguarda ci sono dei limiti.
1) L'uomo e il calciatore
Buffa cita, condividendola, una frase di Mario Sconcerti, uno che in tutta la sua vita non è mai riuscito a dire una cosa giusta. E infatti dice che nel caso di Maradona, a differenza di Pelé (!) non si può e non si deve separare l'uomo dal calciatore. L'uno è anche l'altro. Francamente, una boiata pazzesca.
Come molto spesso accade (Alberto Tomba, John Lennon, quanti altri) l'uomo è molto, molto diverso e molto meno grande dell'artista.
Maradona è nato in un quartiere miserabile ma grazie al suo immenso talento è diventato ricco e famoso, ha vinto scudetti e campionati del mondo ed è considerato da molti il più forte calciatore di sempre (per me no, resta Edson Arantes). Bene. Ma è lui che, da ex miserabile, ha organizzato il suo matrimonio hollywoodiano che neanche il sultano del Brunei. E ai giornalisti tenuti fuori dal cancello che provavano a dire qualcosa ha pensato bene di sparare qualche fucilata. E' lui che si è fatto e strafatto di cocaina e per questo sospeso per doping più volte, lui amico di camorristi, lui che ha sparso figli a destra e a manca senza riconoscerli (o essendovi costretto), lui che, ricchissimo, si è fatto pignorare l'anello di diamanti all'aeroporto in quanto grande evasore. Lui che ha pianto tutte le volte in cui non era il caso, lui che ha giurato fedeltà e amore a squadre, persone, donne, uomini che poi ha regolarmente tradito. Lui che parla in terza persona. Lui che si è sempre dichiarato fiero e orgoglioso del gol fatto con la mano ai mondiali. Un uomo modesto, con tante macchie, un attore vecchio e sfatto che non è più in grado di recitare una battuta e che vive di un'immagine, un simulacro di sé stesso, privo di qualsiasi consapevolezza, fagocitato dal suo stesso mito.
E poi, diciamocelo, Maradona è sempre stato antipatico. Insopportabile, frignone, vittima, sempre sopra le righe, sempre una parola di troppo, sempre esorbitante, tracimante, retorico, melodrammatico. Il classico terrone, nella sua accezione deteriore. L'epitome del peggior meridionale. Quello che si lamenta perché sono tutti contro di lui, lui che viene dal niente e che combatte contro i potenti, lui che incarna il grande sogno di riscatto di tutti i poveri del mondo, lui che con il suo numero dieci si carica sulle spalle i destini di tutti i diseredati. Ecco, il riscatto.
2) Il riscatto del sud
Maradona è un simbolo. E' il simbolo del riscatto dei poveri contro i ricchi. Chi è stato, anche se solo per poco, a Napoli, ha compreso immediatamente che Maradona per i napoletani, per tutti i napoletani, non è una leggenda, un eroe, un mito. E' un santo. E come un santo viene venerato. La sua icona appare in ogni esercizio commerciale, contornata da lampadine, stemmi, chincaglierie, reliquie. A lui si rivolgono preghiere, lui è il Salvatore. Così come i santi sono puri e immacolati, così anche lui, qualsiasi cosa abbia mai detto o fatto (compreso mandarci affanculo in diretta planetaria - italia '90) non è "perdonato", prima ancora non è mai colpevole. Lo scudetto del Napoli del 1987 è stato il riscatto del sud martoriato e negletto contro il nord opulento e arrogante. E lui ne è stato il simbolo, l'alfiere, il Cid. Grazie a lui e solo a lui finalmente il sud si è preso la sua rivincita dopo secoli di oppressione. Qualsiasi napoletano, a prescindere dal censo e dal livello di istruzione, vi dirà che tutto è cominciato con il saccheggio del Banco di Napoli ad opera del Regno d'Italia. L'unità d'Italia ha arricchito il nord e indebolito il sud, dicono. E da lì, l'odio per lo Stato che latita, che non aiuta, che non c'è. La necessità di arrangiarsi, come si può e come si deve. Ma poi arriva Lui e, seppure per poco, seppure per un giorno, come in un sogno, cambia tutto. Oggi vinciamo noi. Vinciamo noi. E in un orgasmo collettivo non ci sono più la plebe e i nobili, Chiaia e Fuorigrotta, i Quartieri e Posillipo, il Vomero e la Sanità, Mergellina e Materdei. Siamo tutti insieme, tutti napoletani, tutti meridionali, tutto il sud, tutto il mondo di chi ha perso sempre e non ha vinto mai. E va bene così, viva Dieguito, che ha inventato un sogno e poi lo ha inverato. Ma lasciamolo lì, lasciamolo per quello che è stato, il gol su punizione alla Juve (1985), quello all'Inter (1985), quello al Milan (1988), quello - per me il più bello -  alla Grecia con la nazionale argentina (1994), e tutti gli altri magnifici gesti compiuti sul campo. Tranne la mano, però, la celeberrima "mano de Dios", la mano di Maradona che è Maradona, la mano come simbolo, di nuovo, perché a noi è consentito anche rubare. No, consentitemi: il riscatto dei popoli oppressi, se tali sono - e se ne può anche discutere - non avviene con i gol. Avviene con la presa di coscienza e con la lotta. E puoi anche andare da Fidel e dal Papa, e lanciare proclami e invettive e incontrare Kusturica (orrido il documentario e penoso il commento del Buffa, per chi lo trova) e fare il fratello di tutti e piangere con tutti, ma non sarai per questo un santo. Lasciamoli stare, i santi, che sono un'altra cosa. Non chiedete a Valentino Rossi di salvare la vostra anima o pagarvi le rate del mutuo, accontentatevi di guardarlo mentre guida la moto. E così il pibe: non la mano, ma il piede sinistro che, da dentro l'area di rigore, sfiora un pallone che come un batuffolo bianco prende il volo e pianissimo ma velocissimo allo stesso tempo, contro ogni legge fisica (qui sì) supera la barriera e si insacca imparabilmente sotto la traversa.