martedì 12 dicembre 2017

#siamotuttistupratori

Oramai è tempo, confessiamolo: siamo tutti stupratori. Inutile girarci intorno, lasciamo cadere la maschera, tanto in buona parte ce l'hanno già strappata. Il maschio è ontologicamente stupratore, hanno ragione le vecchie femministe americane degli anni '70 del secolo scorso. Come diceva Andrea Dworkin, lo stesso atto sessuale che si consuma con la penetrazione è violenza. Quando vediamo una donna che ci piace, anche poco, magari è solo un gesto, un vestito, uno sguardo, la scollatura, le gambe, le scarpe, i piedi, le cosce, il viso, i capelli, insomma quando sentiamo quella vibrazione lì, il nostro impulso è quello di prenderla, chi davanti, chi di dietro, chi a modo suo. E se con quella non ci va bene, o ci rifiuta, un minuto dopo ne arriva un'altra che va altrettanto bene. Sono tutte prede potenziali, e sono pure tante. Certo, ci piace corteggiare, ci piace essere romantici, fare doni, scrivere poesie, ma alla fine vogliamo arrivare lì, in penetralibus.
Fin da quando siamo piccoli ci abituiamo a quella presenza in mezzo alle gambe, ci giochiamo, lo tocchiamo, lo vediamo cambiare di dimensione e consistenza, lo guardiamo, lo spostiamo, lo misuriamo, da soli o in compagnia. A un certo punto cominciamo a masturbarci e non smettiamo più. E', il membro, l'epitome della mascolinità. Il nostro essere estroflessi, apollinei, razionali, come scrive Camille Paglia. Il nostro organo sessuale prima di essere tale è l'espressione più pura del pensiero e dell'ontologia maschile. Che è violenza, lotta, dominio. Anche solo fare la pipì come la facciamo noi non è che l'espressione della volontà di potenza, di possesso del territorio. Così come, con ogni evidenza, lo è l'eiaculazione. Grazie al nostro pisello siamo maschi, ci chiamiamo maschi, ci comportiamo da maschi. E lui ci conduce dove sa.
Quando subiamo un torto, desideriamo risolvere la faccenda da uomini, cioè a botte. Quando vediamo una donna attraente, desideriamo possederla, lì, in quel momento, non importa se in mezzo alla strada o per le scale. Oggi la nostra esistenza di maschi, per tutta la sua durata a partire dall'età della ragione, è contrassegnata dalla repressione del nostro istinto. Ci diciamo e riconosciamo che si tratta di un compromesso sano, non siamo mica nel far west. E' un mondo civilizzato, un consorzio maturo di persone evolute che si danno e condividono regole per una pacifica convivenza. Un mondo in cui la violenza non esiste più, ed è sublimata dai giochi della playstation o dalle partite di calcio, ultime tristi metafore della guerra.
Il diritto e la cultura hanno represso la nostra istintualità di maschi relegandoci prima nel sacro vincolo del matrimonio, con contestuale sanzione dell'obbligo di fedeltà, poi, nel mondo moderno dominato dal femminile, nell'impossibilità anche solo di esprimere una parola.
Come ho già scritto più e più volte, il mondo di oggi veleggia con sicurezza verso l'annientamento di tutto ciò che è maschio. Il diritto, l'industria culturale, il commercio, lo sviluppo software, la famiglia vanno in questa direzione. Donne e omosessuali hanno in mano le leve del comando. A sovrintendere il modo in cui prendiamo decisioni, desideriamo, comperiamo, andiamo in vacanza, ci vestiamo, guardiamo film e tv, cresciamo i nostri figli, ovvero in poche parole viviamo non sono maschi eterosessuali.
Come abbiamo visto, hanno ragione le donne a dire che sono tutte molestate, anche nell'accezione che si dà oggi al termine molestia. Ma lo saranno sempre meno, nel mondo dei prossimi anni in cui scomparirà definitivamente il maschio per lasciare posto solo alle femmine. Ieri un uomo poteva permettersi di tirarlo fuori in ascensore o piazzare la mano su un sedere, oggi si va in galera per una parola non gradita. Dire a una donna che ha un bel seno significa violare la sua libertà. E non è punto il caso di interrogarsi sul perché tutte queste donne molestate rivendichino il diritto a mostrare seni, gambe e culi per poi arrabbiarsi quando qualcuno fa loro un complimento.
Io, se avessi una Porsche, e se per caso la lasciassi parcheggiata con le chiavi inserite nel quadro e me la rubassero, non so se me la prenderei con il ladro, e sono abbastanza certo che se raccontassi l'accaduto ai miei amici maschi mi darebbero dello stronzo. Ma questo è certamente un altro discorso, e lo si farà, più o meno, nel 2097, quando saremo tornati all'età del bronzo e potremo riprendere a palpare.

mercoledì 8 marzo 2017

8 marzo forever

Favorevolissimo alla festa della donna.

giovedì 2 febbraio 2017

Gianfranca

La madre di mia nonna aveva due figli. Il primogenito, maschio, si chiamava Gianfranco, ed era il preferito della mamma. La seconda, mia nonna, Lucilla. Gianfranco morì per un fatto improvviso che non aveva dieci anni. Quando andarono a informarla della tragedia, la mia bisnonna si trovava con mia nonna e d'impulso disse: "non poteva morirmi questa invece?".
Mia nonna portò l'orrendo fardello di quella frase per tutta la vita.
Per tutta la vita cercò l'amore di sua madre, un gesto, una carezza, un complimento.
Quando aveva 90 anni la mia bisnonna cadde per le scale e si ruppe il femore, Venne portata in ospedale e da lì non uscì più. Mia nonna aveva cercato in tutti i modi di strapparla alla morte. Vedendo che si lasciava andare a poco a poco, le portava tutti i giorni cose buone cucinate o preparate da lei sperando che mangiasse, Pochi giorni prima della fine la madre in qualche modo si scusò con mia nonna e le disse che aveva sbagliato. Le parole esatte non le sa più nessuno ormai, ma mia nonna se le fece bastare. Non distrussero il fardello, ma so che lo resero più leggero.
Appena morto Gianfranco, la mia bisnonna aveva messo in azione il marito per un altro figlio. Era nata una femmina. Fu chiamata Gianfranca.
Per tutta la vita mia zia visse con l'orrendo fardello di una vita da sostituta.
Sposò un uomo che non la amava e che la trattava come una serva. Non avendo alcuna stima di se stessa accettò una vita infelice, amara. Ciononostante, si mostrava sempre allegra, sempre vitale.
Devastata dal cancro, ebbe una morte atroce,
L'unica cosa che fui in grado di fare per lei fu dedicarle un pensiero il giorno che superai l'esame di procedura penale comparata. Era morta da poco, e mi ricordo che uscendo in via Bergamini mi volsi al cielo e dissi Franca è per te. Non so perché lo dissi, era un modo per far arrivare la mia gioia a una persona che ne aveva vista poca. Mi vergogno di questo fatto. Ma è quello che è successo.
Adesso scrivo questo post pensando a mia zia Franca, che visse sempre accanto al fantasma del fratello premorto, e a mia nonna, che per tutta la vita attese una parola da sua madre.
Mia nonna non fu una buona madre per mia madre. Mia madre crebbe con la Franca, che le fece da mamma e da sorella maggiore. Con sua madre non andò mai d'accordo.
La Franca ce la mise tutta per essere una buona madre per i suoi due figli. Non so quanto riconobbero i suoi sforzi.





aspettando il pasticciere

essendo l'umiliazione di noi stessi e degli altri, in ogni forma possibile, il tratto distintivo dell'oggi, ad onta del dilagare dei "mi piace", che ne costituiscono invero il versante necessario, non stupisce che un film ORRIDO come Whiplash sia stato coperto di elogi da parte della critica compatta. addirittura ho letto di qualcuno che ha scomodato nientemeno che Il Soccombente di Thomas Bernhard, a suffragare discendenze letterarie alte.
Whiplash, del giovanissimo e stronzissimo Damien Chazelle tratta dell'educazione sentimentale di un giovane aspirante batterista attraverso la sua continua umiliazione da parte del suo insegnante.
la frase centrale del film, che racchiude la poetica del regista, è che non bisogna mai dire a uno che ha fatto un buon lavoro (good job), anzi è la cosa peggiore che gli si può dire, perché se gliela si dice questo smette di impegnarsi, mentre invece se lo si mortifica in ogni modo diventerà davvero bravo.
non stupisce dunque nemmeno che un musical che ha come protagonista Ryan Gosling sia stato già giudicato, dalla stessa critica, un capolavoro.
io già odio Ryan Gosling (questione di faccia, di gesti, di ruoli, di atteggiamenti, di comportamenti); già Chazelle non mi è simpatico, figuriamoci.
preferisco aspettare, a questo punto, un musical imperniato sulla figura di un pasticciere trotzkista nell'Italia degli anni'50.