venerdì 6 dicembre 2013

c.p.c.v.l.p.v. / 1

martedì 3 dicembre 2013

la consapevolezza della finitezza

queste cose le ho già scritte, almeno io.
c'è sempre un momento preciso.
un momento in cui scopri la letteratura (per me, come per milioni di brufolosi, fu l'inaspettato incontro con Raskolnikov), un momento in cui scopri che c'è qualcuno che ha bisogno di te, proprio di te (di solito è un fantolino), un momento in cui scopri il dolore, un momento in cui scopri che il dolore non finisce e non ha limiti, un momento - adesso ci vuole una bella risata - in cui scopri la tua donna a letto con un altro.

e poi c'è il momento in cui ti rendi conto non solo del terribile fatto (qualcuno te l'aveva detto e tu non gli avevi creduto) che non diventerai un astronauta, né un agente segreto, né il presidente del mondo, né una famosa rockstar, né un famoso regista di film porno, né un atleta olimpico, ma soprattutto che le cose più grandi di te non sono il cielo e le montagne. non sono le stelle e l'universo. quelli sono lì per un altro scopo, che è quello di farti capire che sono lì per un altro scopo, en abyme, come gli specchi che riflettono specchi (gli specchi che riflettono specchi sono come pensare al senso dell'esistere, dal momento che non esiste alcun senso dell'esistere che non sia il pensare al senso dell'esistere). e, quindi, ti rendi conto che le cose più grandi di te sono cose semplici, cose di tutti i giorni, cose che fanno tutti, cose alla portata di tutti.
la grande scoperta (prima un gravame sulla schiena, poi un caro amico), è la consapevolezza che queste cose semplici, alla portata di tutti, che tutti maneggiano con estrema disinvoltura, per te sono inarrivabili, incomprensibili, inafferrabili.

per me il momento preciso in cui ho capito tutto questo è stato quando l'insegnante di matematica una bella mattina d'inverno si è presentata in classe, si è seduta, ha fatto l'appello di rito, si è alzata, è andata alla lavagna e ha scritto questo:

y = (f)x


lì, è finito tutto.