quando è uscito il concorso per la scuola ho detto al mio amico WB lo faccio e lo passo. e quando ho passato la preselezione e poi lo scritto e mi hanno convocato per l'orale ho pensato ormai è fatta, vado là e lo passo, l'orale è il mio forte, parlo bene in italiano, ho un eloquio stringente e forbito, non sbaglio il congiuntivo, di solito, sono un avvocato, ne ho viste di tutti i colori, qualsiasi sia l'argomento della lezione che dovrò simulare davanti alla commissione farò un figurone, prenderò un voto alto e mi piazzerò bene in graduatoria, così anche se non sarò chiamato al primo giro, perché ci sarà sicuramente qualcuno meglio piazzato, per titoli, per punteggio o per la raccomandazione, prima o poi mi chiamano e via.
il giorno prima dell'orale sono andato a estrarre la traccia e sono venuti con me mio figlio e la sua mamma, mi hanno accompagnato, e quando ho estratto la traccia ho detto che peccato, non è proprio la mia materia, ma pazienza, ho 24 ore di tempo, mi metto sotto e studio, e così ho fatto. e il giorno dopo sono tornato a messina, da solo, e ho fatto l'orale. ero il primo. dopo di me dovevano sentirne altri tre, poi avrebbero affisso i voti sulla porta della segreteria, sulla quale c'erano i voti di quelli del giorno prima, come il giorno prima c'erano quelli del giorno prima, 30, 34, 39, 32, e anche un 28, che era il minimo per entrare in graduatoria.
ho recitato la mia brava lezione e poi ho risposto malissimo alle domande sulla scuola, perché non avevo studiato niente sulla scuola, stupidamente pensavo che uno che deve sostenere un esame di diritto ed economia l'importante è che sappia qualcosa del diritto e dell'economia, non cosa succede al primo consiglio dei docenti, che uno lo impara quando ci va e non fa male a nessuno. un professore mi ha fatto una domanda sulla lezione e io ho capito che non aveva sentito niente perché l'avevo appena detto, quello che mi aveva chiesto, e poi mi hanno interrogato in informatica e in inglese, la professoressa di inglese mi ha fatto tenerezza invece a quella di informatica ero antipatico si vedeva subito e anche se era ignorante voleva far vedere che era brava, poi mi hanno chiesto ma lei una lezione così a chi la farebbe.
tre ore e 45 minuti sono rimasto dentro questa scuola dopo l'orale, e che cosa ho fatto, ho fumato un po' di sigarette, ho chiacchierato con la segretaria, alla quale ho detto il perché ero lì, perché è una cosa che si chiedevano tutti, sono andato su e giù per le scale, ho scritto i soliti sms del cazzo, sempre con questo telefono del cazzo in mano, mentre speravo che passasse in fretta il tempo così potevo tornarmene da mio figlio, con il mio 30, il mio 28, il mio 32 e giocare un po' con lui. ho guardato il campo da basket della scuola, il più misero e triste campo da basket che avessi mai visto, sembrava una prigione, con la recinzione tutta intorno, ho guardato le aule, i banchi, i corridoi, i muri. mi sono appoggiato a uno scaffale, ho premuto tutto il mio corpo contro un muro, ho appoggiato la fronte contro uno stipite, ho toccato dappertutto, sono rimasto fermo, con la mia faccia appiccicata a una parete, a un'altra parete, a un'altra parete ancora. e ancora ho respirato la scuola, ho toccato la scuola, il penitenziario che è la scuola (qualche giorno prima per scherzo ero andato davanti al mio liceo, cioè il liceo che avevo frequentato, per fare una foto e mandarla a WB, perché era anche il suo liceo, per scherzo, perché gli tornassero in mente tutte quelle cose che ci sono nella sua mente, nella mia, in quella di tutti, ho fatto la foto e gliel'ho mandata e mentre salivo in macchina si fermava un'altra macchina all'interno della quale un papà indicava col dito la scuola e spiegava ai suoi figli, seduti dietro, che quello era il suo liceo, e questa cosa mi ha ammazzato, come il prigioniero che torna a vedere il campo dove è rimasto 5 anni in mano ai suoi aguzzini, torna sul luogo delle sue lacrime, del suo orrore, l'orrore che l'accompagnerà tutta la vita, e spiega ai figli che era lì, in quella baracca, a mangiare pane e merda, mentre sognava di uscire e tornare a casa, e afferrare l'erba, e sentire il profumo dei fiori e del caffè).
e mentre facevo tutto questo, sentivo crescere in me la certezza che non ce l'avevo fatta, che mi avrebbero dato un brutto voto e che non sarei diventato un insegnante di diritto ed economia in un istituto di scuola secondaria superiore, che era il motivo per cui ero lì, diventare un insegnante, e cambiare vita, e finalmente tornare a stare vicino, più vicino, più spesso, sempre, a mio figlio. ho cominciato a percepirlo nelle facce degli altri candidati, nelle sedie, nelle corde delle tapparelle, nelle porte, nel pavimento, nei cazzi disegnati sui muri, nei volti dei membri della commissione che evitavano il mio sguardo, e incrociavano volentieri quello degli altri, e stringevano la loro mano e non la mia.
così, alle 19.30, più o meno, la segretaria, imbarazzatissima e gentile, mi ha consegnato il foglio con il voto e mi ha chiesto di firmare per presa visione, perché così dovevo fare. per consegnarmi questa sentenza, un'altra sentenza, un altro giudicato, ha ritenuto opportuno di farlo a porte chiuse, non davanti a tutti, per non mettere me in imbarazzo, visto che erano tre ore e 45 minuti che ero lì ad aspettare e avevo parlato, avevo riso, avevo discusso, avevo pensato, mi ero scambiato pareri e opinioni, allora mi ha chiamato e io sono entrato e lei ha chiuso la porta e sul tavolo ho visto il foglio e ho letto il voto, il voto che mi era stato dato, e io ho detto sorridendo evidentemente non è piaciuto, e lei mi ha stretto fortemente la mano e mi ha detto volevo farglielo vedere così, visto il voto, e poi mi ha detto comunque le auguro buona fortuna o in bocca al lupo per tutto anche per suo figlio e io volevo solo scappare via, scappare correndo, e invece ho sorriso e ho stretto la sua mano finché lei non ha ritenuto opportuno di lasciare la mia e le ho detto grazie e poi sono uscito, fendendo la massa di candidati che aspettavano fuori dalla porta e prima che mi dicessero qualsiasi cosa ho detto io che voto di merda, ma l'ho detto sorridendo, e poi ho preso le scale e sono uscito e sono salito in macchina e avevo la testa che scoppiava e non pensavo a niente, perché stavo pensando troppo, volevo fermarlo, quel dolore nero e violento che mi scorreva nel corpo al posto del sangue, dolore nelle gambe, dolore nelle mani, dolore negli occhi, dolore nella testa, dolore nella bocca. dovevo parlarne, dovevo sfogarmi, sì, dovevo urlare la mia rabbia la mia infelicità, volevo urlare per la giustizia, per il conforto, e allora ho parlato di qui e di là e poi sono andato a casa e mio figlio, che era stato istruito dalla sua mamma, mio figlio, mi è corso incontro per abbracciarmi e mi ha abbracciato. e avrei dovuto chiedergli scusa, scusa, figlio mio, che ti ho fatto anche questo, ti ho fatto sopportare che papà è stato bocciato a un esame, papà bocciato, che è una cosa che lui capisce benissimo, lui che va a scuola. e invece non gli ho chiesto scusa, non ho detto niente, gli ho detto ciao e l'ho baciato e poi la sera abbiamo giocato a calcio sul terrazzo e lui ha vinto all'ultimo tiro, dieci a nove, ma non è che vince sempre, a volte vinco io.
e intanto non smettevo, non smetto, non riesco ancora a smettere di darmi delle ipotesi, di cercare di capire perché, ne parlo con tutti e devo dire che l'ipotesi più accreditata è che mi hanno voluto punire perché sono del nord e parlo con l'accento del nord, come renato pozzetto, e loro, i siciliani, orgogliosi e superbi, non lo vogliono un avvocato di milano che arriva e si siede senza paura e anzi rilassato e tranquillo e parla a voce alta del pil e del reddito nazionale come se fosse un professore, come se facesse davvero una lezione di economia, uno che non fa come tutti gli altri, non arriva con la chiavetta usb, la infila e legge le slide del powerpoint alla commissione, non lo vogliono un avvocato del nord che si siede a gambe larghe e parla di malthus e di risorse finite e viene a fare il professore a casa loro, loro che hanno dovuto farsi il culo, loro, i loro padri e i loro nonni che non sapevano magari leggere e sono andati al nord con la valigia di cartone e sono stati chiamati terroni, terroni di merda e hanno subito le umiliazioni di una terra che li chiamava a lavorare ma poi li trattava come animali. e così anche io, per la prima volta dopo 13 anni, mi sono sentito rifiutato, respinto, respinto come scrivono sui cartelloni fuori dalle scuole, e per la prima volta mi sono sentito male ad entrare in un negozio, c'era anche mio figlio, per comprare le pizze per la cena, mi sono sentito male perché parlavo diverso, una cosa che non mi era mai successa in sicilia, avevo paura a parlare perché sapevo che alla prima frase avrebbe capito, la fornaia, che non ero di quelle parti, e allora quando mi ha chiesto il nome per la prenotazione gli ho detto il mio ma piano piano e lei non ha sentito e allora le ho detto il nome della mamma di mio figlio, vergognandomi del mio nome, della mia lingua, della mia terra.
e mentre continuo incessantemente a pensare ai miei errori, alle mie omissioni, alla mia stupidità, alla mia insipienza, alle mie speranze ridicole e alle mie illusioni perdute, mentre continua ancora a invadermi la sensazione che non è successo quello che è successo, che è un incubo e tra poco mi sveglio, comincia a formarsi dentro la mia testa una parola, si forma una parola che non dico, che non dico, che non rivolgo a nessuno, che è un pensiero, come sempre, prima che una parola, che la scrivo così, la scrivo qui, per me, per tutti, per i miei fratelli, per i miei carnefici, per dio, il mio amico dio, e la parola è semplice, ed è vera, ed è l'unica che posso dire, non ce n'è un'altra, qualcuno prima o poi lo capirà, che è la parola giusta, e la parola è grazie.
mercoledì 12 giugno 2013
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scoreggiato da pim alle ore 14:35 1 commenti
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